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      “Che cosa succede se va bene e lei vuole fare parte della mia vita? Delle nostre vite.”

      Kevin era seduto sulla sua sdraietta, intento a fissare i pupazzetti attaccati sul davanti. Mackenzie lo guardò mentre diceva l’ultima parte, facendo di tutto per non pensare all'immagine di sua madre nell’incubo, seduta su quella maledetta sedia a dondolo.

      “Te la caverai, solo con Kevin?”

      “Penso di poterlo gestire. Passeremo un po’ di tempo tra uomini.”

      Mackenzie sorrise. Cercò di rivedere Ellington come quando l'aveva conosciuto, due anni e mezzo prima, ma era difficile. Era maturato tantissimo, ma allo stesso tempo era anche diventato più vulnerabile con lei. Non le avrebbe mai mostrato il suo lato premuroso e un po’ imbranato, quando si erano conosciuti per la prima volta.

      “Allora ci vado. Due giorni e basta – solo perché così non dovrò affrontare andata e ritorno nello stesso giorno.”

      “Certo. Prendi una stanza in un hotel. Una buona, con la vasca idromassaggio. Dormi fino a tardi. Dopo sei mesi passati ad imparare a essere una mamma e a rivedere costantemente i tuoi ritmi del sonno, penso che te lo meriti.”

      Le sue parole di incoraggiamento erano sincere e, sebbene non lo avesse detto esplicitamente, Mackenzie era sicura di conoscere il motivo. In sostanza, Ellington aveva rinunciato a qualsiasi tipo di normale figura di nonni da parte della sua famiglia; magari, se fosse stata in grado di riparare in qualche modo il rapporto con sua madre, Kevin avrebbe potuto avere una nonna quasi normale. Voleva chiedergli se fosse davvero così, ma decise di non farlo. Magari l’avrebbe fatto una volta saputo l’esito del viaggio.

      Prese il portatile, si sedette sul divano e andò online per acquistare i biglietti. Quando finì di compilare tutti i campi e fece l'ultimo clic del mouse, le sembrò che il peso del mondo le fosse stato sollevato dalle spalle. Chiuse il portatile e tirò un gran sospiro. Guardò in basso verso Kevin, ancora nella sua sdraietta, e gli rivolse un sorriso luminoso, arricciando il naso in una smorfia giocosa. Fu ricompensata da un sorriso che gli spuntò lentamente sulle labbra.

      “Ok” disse guardando Ellington ancora in cucina, intento a lavare i piatti. “Ho comprato i biglietti. Il mio volo parte domattina alle undici e mezza. Puoi andare tu a prendere l'ometto all'asilo?”

      “Sì. Poi avrà inizio una due-giorni di totale dissolutezza. Temo che nessuno dei due sarà più lo stesso.”

      Sapeva che si stava sforzando per infonderle ottimismo. In parte aveva funzionato, ma la sua mente era già concentrata su qualcos'altro: un'ultima commissione che avrebbe voluto affrontare prima di lasciare Washington.

      “Senti, se per te va bene, potresti anche portarlo tu all'asilo? Penso di aver bisogno di parlare con McGrath.”

      “Hai finalmente preso una decisione anche su questo?”

      “Non lo so. Voglio tornare. Non so cos’altro potrei fare nella mia vita, onestamente. Ma... essere una madre... Voglio dare a Kevin quello che non ho mai avuto io, per quanto riguarda un genitore, capisci? E se tutti e due lavoriamo come agenti dell'FBI... che tipo di vita sarebbe per lui?”

      “Argomento pesante” commentò lui. “So che ne abbiamo parlato già altre volte in passato, ma non penso che sia una decisione che devi prendere in questo momento. Però hai ragione: parlane con McGrath. Non si sa mai cosa passi per la testa di quell'uomo. Forse c’è qualche alternativa per aggirare il problema. Magari... che so... un ruolo diverso?”

      “Intendi non più come agente?”

      Ellington scrollò le spalle e si avvicinò per sedersi accanto a lei. “Ecco perché mi sembra di poter davvero capire quello che stai passando” disse, prendendole la mano. “Non riesco davvero a vederti essere altro se non un’agente.”

      Lei gli sorrise, sperando che si rendesse conto di essere bravissimo a sapere sempre la cosa giusta da dire. Era la spinta che le serviva per prendere il telefono e fare una telefonata a McGrath, anche se l’orario d’ufficio era finito da ore. Non l'aveva fatto spesso nella sua carriera – e mai quando non si trattava di un caso – ma improvvisamente la questione le sembrava urgente.

      La sensazione si intensificò mentre aspettava che McGrath rispondesse.

      ***

      Si era aspettata che McGrath sarebbe stato irritato per essere costretto a riceverla ad un'ora così mattiniera, invece, quando alle otto Mackenzie trovò la porta del suo ufficio già aperta, vide McGrath già appollaiato dietro la sua scrivania. Aveva una tazza di caffè tra le mani, mentre sfogliava una piccola pila di dossier. Quando sollevò lo sguardo sentendola entrare, il sorriso sul suo volto sembrava sincero.

      “Agente White, è così bello vederla” disse.

      “Lo stesso vale per me” disse Mackenzie, prendendo posto dall’altro lato della scrivania.

      “Ha un aspetto riposato. Il bambino ha finalmente iniziato a seguire ritmi normali?”

      “Abbastanza.” Si sentiva già a disagio. McGrath non era tipo da perdersi in convenevoli. L'idea che fosse davvero felice di vederla di nuovo nell'edificio le passò per la testa, facendola sentire un po’ in colpa per il motivo alla base dell'incontro che aveva richiesto.

      “Allora, ha chiesto lei questo incontro, e ha circa mezz'ora prima del mio prossimo impegno” disse. “Che succede?”

      “Ecco, il mio congedo di maternità termina lunedì prossimo. E ad essere sincera, non so se sono pronta a tornare”.

      “È una questione fisica? So che riprendersi da un cesareo può essere estenuante e richiedere molto tempo.”

      “No, non è quello. I dottori mi hanno praticamente dato il via libera per tutto. A dirla tutta, mi sento combattuta sul da farsi.” Si allarmò nel sentire le lacrime pungerle gli occhi.

      Apparentemente, anche McGrath se n’era accorto, ma fece del proprio meglio per apparire disinvolto mentre parlava girandosi dall’altra parte, per darle modo di asciugarsi le lacrime in privato.

      “Agente White, lavoro al Bureau da quasi trent'anni, ormai. In tutto questo tempo, ho visto innumerevoli agenti donne sposarsi e avere figli. Alcune di loro hanno lasciato il Bureau, oppure hanno accettato un ruolo con meno rischi. Non posso starmene seduto qui e dirle che capisco quello che sta passando, perché sarebbe una bugia. Ma l'ho già visto. A volte è successo con agenti che non mi sarei mai aspettato di veder andare via. Era di questo che voleva parlare?”

      Lei annuì. “Voglio tornare. Mi manca il mio lavoro... più di quanto mi piaccia ammettere, davvero. Onestamente, non so nemmeno cosa le sto chiedendo. Forse qualche altra settimana? So che è come chiedere una specie di favore speciale, ma non posso prendere questa decisione adesso.”

      “Il meglio che posso fare è concederle un'altra settimana. Se vuole. Oppure può tornare subito e posso assegnarle qualche incarico da scrivania. Ricerche, statistiche, sorveglianza a distanza, qualcosa del genere. Le interesserebbe?”

      Onestamente, niente di tutto ciò la interessava. Ma almeno era qualcosa. McGrath le aveva dimostrato che aveva diverse opzioni a sua disposizione.

      “Forse sì.”

      “Bene, si prenda il fine settimana per pensarci su. Magari se ne vada da qualche parte e metta ordine tra i suoi pensieri.”

      “Oh, certo che vado da qualche parte. Torno in Nebraska per andare a trovare una persona.”

      Non era sicura del perché glielo avesse detto. Si chiese se fosse sempre stato così facile parlare con McGrath, o se adesso si fosse come ammorbidito, rendendo più semplice approcciarsi a lui. Era strano. Era stata via solo per tre mesi e McGrath improvvisamente sembrava una persona diversa, più premurosa, più amichevole.

      “Mi fa piacere sentirlo. Lascerà Ellington da solo con il bambino? Non è un po’ temerario?”

      “Non lo so” ammise con un sorriso.

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