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atterrò sulla pista, vibrando e perdendo velocità per potersi fermare vicino al terminale.

      “Siamo arrivati,” esclamò Keira a Cristiano.

      L’uomo annuì, con espressione emozionata. “Non riesco a crederci del tutto,” mormorò.

      “A dir la verità, nemmeno io!” rispose lei.

      La sua decisione dell’ultimo minuto di invitare Cristiano a casa era stata, beh, leggermente ridicola. Ma in nessun momento del viaggio aveva sentito di aver preso la decisione sbagliata, né di essere stata troppo frettolosa. Le sembrava così giusto averlo a fianco a sé.

      Alla fine l’aereo si fermò del tutto e il segnale della cintura di sicurezza lampeggiò. I due si alzarono in contemporanea, e Cristiano recuperò la piccola sacca da viaggio in pelle da sotto il sedile, l’unica valigia che aveva portato con sé. Keira prese la borsetta e si misero in fila per sbarcare con il resto dei passeggeri.

      Si godette la sensazione di poter stendere liberamente le gambe per la prima volta dopo ore. Passare quasi un giorno intero in aereo stava diventando un evento fin troppo comune per lei, anche se non avrebbe cambiato il suo mestiere per nulla al mondo. Quante persone avrebbero fatto carte false pur di passare tre settimane a girare l’Italia per lavoro? Si rendeva conto della sua fortuna, a essere una scrittrice di viaggio, e il Viatorum, la rivista per cui scriveva, stava diventando molto più di un semplice mestiere per lei. Aveva degli amici lì, come Nina, la sua editrice, e Elliot, il suo capo, per non parlare di uno scopo. Le opportunità che il Viatorum le aveva concesso erano la realizzazione di un sogno.

      Ma durate il suo ultimo viaggio in Italia aveva guadagnato molto più della pubblicazione di un articolo sotto il suo nome. Là aveva trovato l’amore con Cristiano.

      Mentre aspettavano al ritiro bagagli l’arrivo della sua grande valigia da viaggio, riusciva a percepire la fretta di Cristiano di uscire dall’aeroporto e iniziare a esplorare la città. Capiva bene la sua impazienza. Anche lei la sentiva.

      Alla fine apparve la valigia sul nastro trasportatore. Comportandosi come sempre da gentiluomo, Cristiano avanzò per prenderla e poi insistette per portarla per lei.

      Emersero rapidamente dall’aeroporto, pieni di anticipazione ed eccitazione.

      Presero la metropolitana per la zona della città dove si trovava l’appartamento di Bryn e salirono i gradini per l’uscita. L’aria era molto fredda e Keira sentì una folata di vento gelido soffiare su di loro. Cristiano trasportò la valigia su per le scale per lei, poi si fermò sul marciapiede, riappoggiandola a terra. Keira non era mai stata particolarmente felice all’idea di fare la lavatrice, ma all’improvviso il pensiero di aprire e sistemare la borsa fu molto piacevole!

      Il marciapiede pulsava di energia, affollato di persone indaffarate che si affrettavano tra gli impegni delle loro vite. Cristiano sembrò sconcertato da quella scena, come se non riuscisse a capire perché tutti corressero tanto.

      Mentre si avviavano per le poche vie che separavano la stazione del metrò dall’appartamento di Bryn, l’uomo si guardò intorno, con gli occhi sgranati per la meraviglia. Keira trovò adorabile il suo entusiasmo innocente, e si chiese se lei stessa fosse sembrata tanto elettrizzata durante il loro viaggio in Italia.

      “C’è così tanto da vedere,” disse Cristiano a Keira. “Un palazzo, e poi un altro e un altro ancora! È gigantesca!” Ma poi mentre parlava iniziò a tremare e a battere i denti. “Fa sempre così freddo?”

      Portava uno dei suoi eleganti vestiti italiani, magnifico ma molto poco pratico. Prese a strofinarsi le braccia. Keira fece lo stesso, cercando di riscaldarlo sotto la stoffa sottile.

      “Solo in questo periodo dell’anno,” spiegò. “Dovremmo procurarti un giaccone più caldo.” Fece un cenno verso un vicino negozio di abiti molto noto. Era un grande outlet che vendeva ultimi capi a prezzi stracciati. “Possiamo trovare qualcosa per te là.”

      A giudicare dall’espressione di Cristiano, capì che non era molto colpito dalla sua scelta!

      “Sarebbe meglio aspettare e trovare un negozio come si deve,” rispose lui. “Posso sopportare il freddo ancora un po’.”

      “Preferisci congelare che essere vestito male anche solo per il momento?” Keira lo stuzzicò.

      “Ovviamente,” replicò Cristiano con un ghigno.

      Ma non appena ebbe pronunciato quelle parole, una potente folata di gelido vento autunnale si abbatté su di loro. Keira rabbrividì, stringendosi tra le proprie braccia e poi guardò Cristiano.

      “Poverino,” disse ridendo. “Non sei più in Italia!”

      Presto l’uomo cedette, e lei lo guidò nel negozio dalle luci fluorescenti. Cristiano esaminò gli appendiabiti carichi di giacche a vento dai colori sgargianti con espressione poco entusiasta. Alla faccia dei loro giorni di shopping tra eleganti negozi alla moda italiani, pensò Keira.

      Alla fine trovò una giacca nera imbottita, una versione economica del tipo di abito che un raffinato uomo italiano avrebbe potuto indossare, e l’acquistò.

      “Dieci dollari,” commentò, scuotendo la testa. “Cadrà a pezzi in una settimana.”

      “Ti deve durare solo fino a quando non troviamo il Gucci più vicino,” scherzò lei.

      Ripresero il cammino, girando l’angolo per la strada di Bryn e attraversandola tutta prima di fermarsi davanti a uno sciatto palazzo in arenaria. Era coperto di graffiti recenti, balaustre che sembravano rotte da poco e piante morte.

      “Quindi è questo?” chiese Cristiano, guardando l’alto edificio davanti a loro.

      Dire che sembrava poco impressionato era un eufemismo. Le sue aspettative dovevano essere state smontate dallo squallido quartiere in cui viveva Bryn. Probabilmente si doveva sentire come lei quando si era ritrovata a Napoli.

      Keira si augurò che non fosse troppo deluso, perché di lì in avanti le cose sarebbero diventate solo più strane.

      “Mia sorella è un po’… beh… diciamo pazza,” lo avvisò. “È meglio se ti prepari.”

      Cristiano rise, convinto chiaramente che stesse facendo un’altra delle sue battute.

      ‘Pover’uomo,’ pensò lei. ‘Non ha idea di cosa lo aspetta!’

      CAPITOLO DUE

      Il fatto che Bryn si fosse completamente dimenticata che Keira sarebbe tornata quel giorno fu immediatamente chiaro non appena entrarono nel suo appartamento.

      Era in condizioni disastrose. C’erano scarpe e vestiti sparsi ovunque, una collezione di bicchieri da vino sporchi sul bancone della cucina e contenitori vuoti di patatine e salse sopra il tavolino da caffè, che era anche ricoperto da uno strato di briciole. Keira sussultò a quello spettacolo. Che cosa avrebbe pensato Cristiano?

      A completare quell’immagine di caos totale, Bryn stessa era sdraiata sul divano, russando rumorosamente. Aveva il trucco sparso per tutta la faccia. Il suo luccicante abito di paillettes la copriva a malapena. La bocca dipinta di rosso era spalancata.

      Keira fece una smorfia e guardò l’orologio. Non era nemmeno tanto tardi. Bryn doveva aver fatto una delle sue maratone di bevute del sabato, che iniziavano a mezzogiorno per poi attraversare tutti i bar della città fino al ritorno a casa e al divano, dove finiva per svenire.

      Appena dietro di lei sentiva Cristiano che aspettava, esitante. Era troppo spaventata per voltarsi e vedere la sua espressione. Sì, gli aveva anche detto di prepararsi, ma quello era persino peggio di quanto si fosse aspettata!

      Keira gettò la borsetta per terra e al rumore Bryn si svegliò con uno scatto. Si rizzò a sedere con uno sbuffo sorpreso. Ondeggiando, si toccò la massa di capelli annodati in cima alla testa. Poi fissò la sorella attraverso gli occhi strizzati.

      “Sei a casa?” domandò.

      “Già,”

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