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fece l’intero viaggio di ritorno a casa in autobus sentendosi ferito e svuotato. Era talmente triste da non riuscire neanche a leggere il suo libro.

      Arrivò alla sua fermata e scese nell’aria frizzante della sera. La pioggia gli batteva in testa, inzuppandolo completamente. Non se n’era quasi accorto, tanto era consumato dal suo personale dolore.

      Quando raggiunse la sua nuova casa, Oliver ricordò di non avere ancora una sua chiave. Entrare poteva rivelarsi un altro crudele colpo in una giornata già disperatamente misera. Ma non aveva scelta. Bussò alla porta e si preparò.

      La porta si aprì di scatto. Lì davanti a lui, con un sorriso demoniaco stampato in faccia, c’era Chris.

      “Sei in ritardo per la cena,” disse guardandolo torvo, lampi di piacere che gli illuminavano gli occhi. “Mamma e papà stanno sclerando.”

      Dall’interno della casa Oliver poteva sentire la voce acuta di sua madre. “È lui? È Oliver?”

      Chris si voltò e gridò la sua risposta: “Sì. E sembra un ratto annegato.”

      Guardò ancora Oliver, la sua espressione quasi di gioia per essere ormai vicino al confronto. Oliver lo spinse ed entrò in casa, passando oltre il tozzo corpo di Chris. Una scia di gocce cadde a terra dai suoi abiti fradici, creando una pozza ai suoi piedi.

      Sua madre corse nel corridoio e si fermò dalla parte opposta fissandolo. Oliver non riusciva a capire se la sua espressione fosse di sollievo o di rabbia.

      “Ciao, mamma,” disse con tono docile.

      “Ma guardati!” esclamò lei. “Dove sei stato?”

      Se si sentiva sollevata per il ritorno di suo figlio, era brava a mascherarlo e non vi diede seguito con un abbraccio né alcun altro gesto simile. La madre di Oliver non era solita elargire abbracci.

      “Dovevo fare una cosa dopo scuola,” rispose Oliver in modo evasivo. Si tolse di dosso il maglione zuppo.

      “Una lezione di nerd?” si intromise Chris. Poi rise fragorosamente della sua stessa battuta.

      Mamma allungò una mano per prendere il maglione di Oliver. “Dammi qua. Dovrò lavarlo,” sospirò pesantemente. “E adesso entra. La tua cena si sta raffreddando.”

      Spinse Oliver in salotto. Immediatamente Oliver notò che le cose nella sua nicchia erano state messe in disordine e spostate. All’iniziò pensò che fosse perché vi era stato trascinato un materasso e tutto vi era stato appoggiato sopra, ma poi vide la trappola a fionda posata sulla sua coperta. Accanto ad essa c’era la sua valigia, i ganci di sicurezza aperti e il coperchio spalancato. E poi vide con orrore che tutti i suoi cavi per il mantello dell’invisibilità erano stati sparpagliati sul pavimento, piegati e aggrovigliati come se qualcuno li avesse calpestati.

      Oliver capì subito che quella era opera di Chris e gli lanciò un’occhiataccia. Suo fratello lo stava guardando, aspettando la sua reazione.

      “Sei stato tu?” chiese Oliver.

      Chris si infilò le mani in tasca e dondolò sui talloni, mostrandosi innocente. Scrollò le spalle. “Non ho idea di cosa tu stia parlando,” disse con un sorrisino che la diceva lunga.

      Fu la gocciolina che fece traboccare il vaso. Dopo tutto quello che era successo negli ultimi due giorni, con il trasloco, l’orribile esperienza a scuola e la perdita del suo eroe, Oliver non aveva più le forze di sopportare anche questo. La rabbia esplose dentro di lui. Prima di avere anche solo la possibilità di pensare, andò a grandi passi verso Chris.

      Si lanciò con forza contro suo fratello, ma Chris quasi neanche barcollò per l’impatto: era grande e grosso, e chiaramente si aspettava che Oliver si scagliasse contro di lui. E ovviamente si stava godendo i tentativi del fratello di lottare contro di lui, perché si mise a ridere con forza. Era talmente grosso rispetto a lui, che gli fu sufficiente mettere una mano sulla testa di Oliver per spingerlo indietro. Oliver si dimenava senza alcun effetto, cercando inutilmente di colpire Chris.

      Dal tavolo della cucina loro padre esclamò: “RAGAZZI! BASTA LITIGARE!”

      “È Oliver,” rispose Chris. “Mi è saltato addosso senza motivo.”

      “Sai esattamente qual è il motivo!” gridò Oliver, i pugni che volavano a vuoto, incapaci di raggiungere il corpo di Chris.

      “Perché ho messo i piedi sopra ai tuoi strani cavetti?” sibilò Chris, tanto sottovoce che nessuno dei genitori poté sentirlo. “O perché ho rotto quella stupida fionda a molla? Sei così strambo, Oliver!”

      “ODIO questa famiglia!” gridò Oliver.

      Corse nella sua nicchia, raccolse tutti i cavi danneggiati e i pezzi di filo distrutti, le leve spezzate e il metallo piegato e gettò tutto nella valigia.

      I suoi genitori arrivarono di gran carriera.

      “Come osi!” gridò suo padre.

      “Ritira quello che hai detto!” strillò sua madre.

      “Ora l’hai davvero combinata grossa,” disse Chris con un sorriso malvagio.

      Mentre tutti gli gridavano contro, Oliver capì che c’era solo un posto dove poteva scappare. Il suo mondo di sogno, il luogo della sua immaginazione.

      Strizzò gli occhi e isolò tutte le voci.

      Poi improvvisamente si trovò lì, nella fabbrica. Non quella piena di ragnatele che aveva visitato prima, ma una versione pulita, dove tutte le macchine brillavano e scintillavano sotto le luci chiare.

      Oliver stava lì ad ammirare la fabbrica in tutta la sua gloria di un tempo. Ma proprio come nella vita reale, non c’era nessun Armando ad accoglierlo. Nessun alleato. Nessun amico. Anche nella sua immaginazione, Oliver era completamente solo.

      *

      Solo quando tutti furono andati a dormire e la casa si trovò avvolta nella più completa oscurità, Oliver si sentì in grado di lavorare alle sue invenzioni per aggiustarle. Voleva essere ottimista mentre armeggiava con tutti i pezzi nel tentativo di rimetterli al loro posto. Ma ogni sforzo fu inutile. Era stato tutto distrutto. Tutte le bobine di filo e i cavi erano danneggiati oltre ogni speranza. Avrebbe dovuto ricominciare tutto daccapo.

      Gettò i pezzi nella valigia e sbatté con forza il coperchio. Con entrambi i ganci di chiusura rotti, il coperchiò rimbalzò in alto e ricadde indietro restando spalancato. Oliver sospirò pesantemente e si accasciò stanco sul materasso, infilandosi sotto alla coperta.

      Dovette essere per pura stanchezza e sfinimento se fu capace di dormire quella notte. Eppure dormì, e subito si perse nei suoi sogni, trovandosi alla finestra, intento a guardare l’albero allampanato dall’altra parte della strada. Lì c’erano l’uomo e la donna che aveva visto la sera precedente, e come allora si tenevano per mano.

      Oliver picchiò la mano contro il vetro della finestra.

      “Chi siete?” gridò.

      La donna sorrise. Era un sorriso gentile, più gentile addirittura di quello della signorina Belfry.

      Ma nessuno dei due parlò. Lo fissavano e basta, entrambi sorridendo.

      Oliver aprì la finestra. “Chi siete?” gridò ancora, ma questa volta la sua voce fu sommersa dal vento.

      L’uomo e la donna se ne stavano fermi lì stringendosi la mano, i sorrisi caldi e invitanti.

      Oliver iniziò a scavalcare la finestra. Ma subito le due figure baluginarono e sobbalzarono, come se fossero ologrammi e le luci che li proiettavano avessero subito un’interferenza. Stavano iniziando a scomparire.

      “Aspettate!” gridò Oliver. “Non andate via!”

      Cadde dall’altra parte della finestra ed attraversò di corsa la strada. Si facevano sempre più sbiaditi a ogni passo che lui faceva.

      Quando arrivò davanti a loro erano appena

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