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disse la donna. “Ok, lascia che ti aiutiamo ad alzarti, Kevin. Posso portarvi qualcosa?”

      “Voglio solo parlare con qualcuno,” disse Kevin.

      La donna si morse il labbro, poi annuì. “Ok, vedo cosa posso fare.”

      Così all’improvviso, pareva che tutto il suo atteggiamento fosse mutato.

      “Aspettate qui. Sedetevi. Vado un attimo a vedere se c’è in giro qualcuno che possa almeno parlare con te, magari farti vedere il posto. Anche se a dire il vero non c’è poi molto da vedere.”

      Kevin si sedette con sua madre. Avrebbe voluto dirle tutto quello che aveva appena visto, ma dal suo volto vedeva che le avrebbe fatto solo del male. Aspettò allora in silenzio.

      Alla fine venne fuori una donna. Doveva avere una cinquantina d’anni e indossava un abito scuro che suggeriva che dovesse prendere parte a quel genere di meeting dove un abbigliamento più informale non sarebbe andato bene. C’era qualcosa in lei che diceva che potesse essere un’insegnante, forse qualcosa nella curiosità con cui guardava Kevin. Porse la mano a sua madre e poi a lui.

      “Ciao, Kevin,” disse. “Sono la dottoressa Elise Levin. Sono il direttore dell’istituto.”

      “Se ne occupa lei?” chiese Kevin sentendo un’ondata di speranza. “Della roba degli alieni?”

      La donna sorrise divertita. “Penso che tu stia descrivendo la cosa troppo forzatamente. Molta della ricerca riguardante forme di vita extraterrestre viene svolta altrove. La NASA fornisce i dati, vengono coinvolte alcune università e spesso, dove possiamo, prendiamo il tempo di altra gente che sta al telescopio. Ma sì, sono responsabile di questo istituto e delle cose che si svolgono qui.”

      “Allora devo raccontarle,” disse Kevin. Stava parlando più rapidamente di quanto avrebbe voluto, cercando di tirare fuori le parole prima che questa adulta avesse il tempo di non credergli. “Stanno succedendo delle cose. So che sembra strano, ma vedo delle cose, c’è una sorta di conto alla rovescia…”

      Come poteva spiegare il conto alla rovescia? Non erano come dei numeri, non c’era un punto ovvio che si potesse definire come conclusivo. C’era solo una debole pulsazione che si presentava insieme al messaggio nel suo cervello, diventando regolarmente e quasi impercettibilmente più rapida mentre si dirigeva verso qualcosa che Kevin non riusciva a intuire.

      “Perché non me ne parli mentre diamo un’occhiata in giro?” suggerì la dottoressa Levin. “Ti faccio vedere alcune delle cose che facciamo qui.”

      Condusse Kevin e sua madre attraverso i corridoi dell’istituto, e a essere onesti, Kevin aveva pensato che sarebbe stato più entusiasmante. Aveva pensato di trovarlo meno somigliante a un blocco di uffici.

      “Pensavo che ci fossero dei grossi telescopi qui, o laboratori pieni di attrezzatura per fare test sulle cose che vengono dallo spazio,” disse Kevin.

      La dottoressa Levin scrollò le spalle. “Abbiamo dei laboratori, e facciamo dei test sui materiali di tanto in tanto, ma non abbiamo telescopi. Stiamo lavorando con Berkeley per costruire una gamma dedicata di radiotelescopi, però.”

      “E allora come cercate gli alieni?” chiese la madre di Kevin. Sembrava stupita quanto Kevin per l’assenza di telescopi giganti e attrezzatura per l’ascolto.

      “Lavoriamo con altra gente,” disse la dottoressa Levin. “Chiediamo o ingaggiamo tempo su telescopi e sensori. Lavoriamo con dati dalla NASA. Proponiamo loro suggerimenti su luoghi dove potrebbero cercare, o tipi di dati che potrebbero aver bisogno di raccogliere. Mi spiace, so che non è esaltante come la gente a volte pensa. Qui, venite con me.”

      Li condusse in un ufficio che almeno sembrava un po’ più interessante di alcuni degli altri spazi. C’erano un paio di computer, un sacco di poster relativi al sistema solare, alcune riviste che avevano citato il lavoro del SETI e dei mobili che parevano essere stati progettati appositamente per essere ergonomici, di stile e probabilmente comodi come un blocco di cemento.

      “Lasciate che vi mostri alcune delle cose su cui stiamo lavorando,” disse la dottoressa Levin indicando immagini di grossi telescopi in costruzione. “Stiamo cercando di sviluppare dei radiotelescopi che possano essere tanto potenti da cogliere le frequenze radio dall’ambiente piuttosto che aspettare che qualcuno ci invii un segnale.”

      “Ma io penso che qualcuno ci stia inviando dei messaggi,” disse Kevin. Doveva farglielo capire.

      La dottoressa Levin fece una pausa. “Volevo chiederti se fai riferimento alla teoria secondo la quale ciò che alcune persone pensano che le emissioni radio ad alta frequenza da una pulsar possano essere dei segnali riconoscibili, ma non è così, vero?”

      “Vedo delle cose,” disse Kevin. Cercò di spiegare le visioni. Le disse del paesaggio che aveva visto, e del conto alla rovescia.

      “Caspico,” disse la dottoressa Levin. “Ma devo chiederti una cosa, Kevin. Capisci che il SETI esplora queste cose con la scienza, cercando prove reali? È l’unico modo in cui possiamo farlo, e dobbiamo essere certi che tutto ciò che troviamo sia reale. Quindi devo chiederti, Kevin: come fai a sapere che ciò che vedi è reale?”

      Kevin aveva già cercato di spiegarlo a Luna. “Ho visto dei numeri. Quando sono andato a cercarli, è venuto fuori che sono la localizzazione di una cosa che si chiama sistema Trappist 1.”

      “Uno dei candidati più promettenti per la vita aliena,” disse la dottoressa Levin. “Lo stesso, Kevin, capisci il mio problema adesso? Dici di aver visto questi numeri, e io ti credo, ma magari li hai visti perché li hai letti da qualche parte. Non posso reindirizzare le risorse del SETI sulla base di questo, e in ogni caso non sono sicura di cos’altro potremmo fare trattandosi del sistema Trappist 1. Per una cosa del genere, avrei bisogno di qualcosa di nuovo. Qualcosa che non avresti potuto ottenere in altro modo.”

      Kevin aveva la chiara sensazione che stesse cercando di dissuaderlo in modo gentile, ma lo stesso la cosa gli faceva male. Come poteva fornire loro una cosa del genere? Poi pensò a quello che aveva visto nella lobby. Doveva averlo visto per un motivo, no?

      “Penso…” Non era certo di doverlo dire o no, ma sapeva di doverlo fare. “Penso che stiate per inviare un segnale da qualcosa che si chiama Pioneer 11.”

      La dottoressa Levin lo guardò per un paio di minuti. “Mi spiace, Kevin, ma la cosa non mi pare molto probabile.”

      Kevin vide sua madre accigliarsi. “Cos’è la Pioneer 11?”

      “È una delle sonde che la NASA ha inviato nello spazio,” spiegò la dottoressa Levin. “Ha volato attraverso il nostro sistema solare inviando dati, ed è stata tanto veloce da inviarli oltre i limiti del sistema solare. Sfortunatamente l’ultimo contatto che abbiamo avuto risale al 1995, quindi davvero non penso che…”

      Si fermò quando il telefono iniziò a suonare, tirandolo fuori con l’apparente intenzione di voler ignorare la telefonata. Kevin vide il momento in cui si fermò a fissarlo.

      “Scusate, a questa devo rispondere,” disse. “Sì, pronto, cosa c’è? Puoi aspettare un momento, sono nel mezzo di… ok, se è così urgente. Un segnale? Mi stai chiamando perché la NASA ha dei segnali in ingresso? Ma la NASA ha sempre…” Fece un’altra pausa e guardò verso Kevin, l’incredulità ovvia sul suo volto. Lo stesso, parlò. “Posso provare a indovinare?” disse al telefono. “Avete appena avuto un qualche genere di segnale dalla Pioneer 11? Davvero? No, non posso dirtelo. Non sono certa che mi crederesti.”

      Ripose il telefono e fissò Kevin come se l’avesse visto per la prima volta in quel momento.

      “Come hai fatto?” gli chiese.

      Kevin scrollò le spalle. “L’ho visto mentre aspettavo nella lobby.”

      “L’hai visto? Nello stesso modo in cui hai visto il paesaggio alieno?” La dottoressa Levin lo squadrò, e Kevin ebbe l’impressione che stesse cercando di decidere qualcosa. Forse di capire in quale modo l’avesse

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