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Con infinita cura, nota solo a coloro che lavoravano con i veleni, afferrò un dardo. “Felene, c’è una cosa che volevo dirti da quando siamo partite.”

      “Cosa, principessa?” chiese Felene con un sorrisino di scherno.

      “È semplice,” rispose Stefania sorridendo a sua volta. “Non chiamarmi principessa!”

      La sua mano scattò, il dardo scintillò alla luce del sole portandosi verso la pelle scoperta del volto di Felene.

      Il dolore le si sprigionò nel polso e ci volle a Stefania un momento per rendersi conto che Felene aveva sollevato il gomito e lei ci era andata a sbattere contro con il braccio. La mano di Stefania si aprì in uno spasmo e il dardo rimbalzò a terra.

      E poi il dolore si propagò alla guancia quando Felene la schiaffeggiò, abbastanza forte da farla quasi ruotare. Non era il delicato e femmineo schiaffetto di una nobildonna. Era il colpo dato da un marinaio e c’era del peso in esso, tanto che Stefania si sedette pesantemente sulle tavole del ponte.

      “Pensi che sia stupida?” chiese Felene. “Pensi che non sappia che lavori a questa cosa da quando siamo partite?”

      “Io…” iniziò Stefania, ma il ronzio nelle orecchie non le permise di andare avanti.

      “Sei fortunata che porti in grembo il figlio di Tano, o adesso ti darei direttamente in pasto agli squali!” disse Felene seccamente. “Oh sì, ho visto i segni! E ora sono dibattuta se venderti a un mercante di schiavi, ucciderti non appena il figlio di Tano sarà nato o semplicemente dire che l’intera faccenda è stata un cattivo affare e tornare subito a Delo!”

      Stefania fece per alzarsi in piedi e Felene la spinse di nuovo giù. “Oh no, principessa, puoi startene dove sei. È più sicuro per tutti noi così, fino a che non troverò un pezzo di fune per legarti all’albero maestro.”

      Allora Stefania guardò oltre, verso Elethe. Le diede un minimissimo cenno, sperando che bastasse.

      Bastò. La damigella sguainò una lama corta e curva e si lanciò in avanti. Sembrava che Felene fosse pronta anche per quello però, perché si girò e parò il primo colpo con il suo pugnale già pronto in mano.

      “Peccato,” disse Felene. “Avremmo potuto divertirci un sacco. Sono sopravvissuta all’Isola dei Prigionieri. Pensate che non possa gestire voi due?”

      Stefania dovette sedersi ad ammirare il combattimento che seguì per un momento, e non solo perché la testa le stava ancora girando per lo schiaffo di Felene. Normalmente non aveva tempo per i giochi di lame, o per le attente abilità dei guerrieri. Quelle due però facevano danzare i loro coltelli alla luce del sole mentre si muovevano, con le mani che afferravano a vicenda le braccia dell’altra, alla ricerca dei giusti angoli. Stefania vide Felene scegliere un calcio basso, e poi schivare un colpo. Si portò vicino ad Elethe, lottando con lei mentre entrambe cercavano di conficcare le loro armi al posto giusto.

      Fu a quel punto che Stefania si alzò in piedi, sguainò il suo coltello e lo piantò nella schiena di Felene.

      Stefania la vide cadere in ginocchio, il volto colto dalla sorpresa mentre metteva una mano sulla ferita. Il suo coltello cadde sul ponte mentre le sue dita si aprivano.

      “Non sono per niente stata sull’Isola dei Prigionieri,” disse Stefania. “Quale di noi è più furba?”

      Felene si girò verso di lei, ma Stefania vide che anche quello le costava fatica. Sorrise ad Elethe.

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