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altro, l’uomo aveva allungato il braccio all’indietro e aveva colpito il ragazzo in viso, facendolo sbattere contro una macchina lì vicina. Keri sentì il ripugnante rumore di uno schianto. Vide l’uomo prendere un coltello da un fodero assicurato alla cintura e tuffarlo nel petto del ragazzo. Lo estrasse e aspettò un secondo per vedere il ragazzo ruzzolare a terra prima di completare il giro per raggiungere di corsa il sedile del conducente.

      Keri costrinse ciò che aveva visto fuori dai suoi pensieri e si concentrò solo sul raggiungere il furgone. Sentì il motore avviarsi e vide il furgone cominciare a muoversi. Era a meno di sei metri di distanza.

      Ma il veicolo stava ormai prendendo velocità. Keri continuò a correre ma sentiva il suo corpo stava cedendo. Portò lo sguardo sulla targa, pronta a memorizzarla. Non c’era.

      Cercò le chiavi, poi si ricordò che erano nella borsa, al parco. Tornò al punto in cui si trovava il ragazzo, sperando di prendere le sue e la sua macchina. Ma quando arrivò lì, vide che la sua ragazza era china su di lui, a piangere senza controllo.

      Alzò di nuovo lo sguardo. Il furgone era lontanissimo adesso, e spostandosi aveva sollevato una scia di polvere. Non aveva una targa, nessuna descrizione da fare, nulla da offrire alla polizia. Sua figlia era sparita e lei non sapeva cosa fare per riaverla.

      Keri cadde a terra accanto alla ragzza e cominciò a piangere di nuovo, e i loro lamenti di disperazione era indistinguibili l’uno dall’altro.

      Quando aprì gli occhi era di nuovo nella casa di Denton. Non ricordava di essere uscita dal capanno né di aver attraversato l’erba morta. Ma in qualche modo era arrivata nella cucina di Rivers. Due volte in un giorno solo.

      Stava peggiorando.

      Tornò nel soggiorno, guardò Denton negli occhi, e disse, “Dov’è Ashley?”

      “Non lo so.”

      “Perché il suo cellulare è in tuo possesso?”

      “L’ha lasciato qui ieri.”

      “Stronzate! Ha rotto con te quattro giorni fa. Ieri lei non è stata qui.”

      Il viso di Denton crollò all’assalto verbale incontrollato.

      “Okay, gliel’ho preso.”

      “Quando?”

      “Oggi pomeriggio, a scuola.”

      “Gliel’hai fregato di mano?”

      “No, l’ho urtata dopo l’ultima campanella e gliel’ho sfilato dalla borsa.”

      “Chi possiede un furgone nero?”

      “Non lo so.”

      “Un tuo amico?”

      “No.”

      “Qualcuno che hai assunto?”

      “No.”

      “Come ti sei fatto quei graffi sul braccio?”

      “Non lo so.”

      “Come ti sei fatto quel taglio sulla testa?”

      “Non lo so.”

      “Di chi è il sangue sul tappeto?”

      “Non lo so.”

      Keri spostò il peso da un piede all’altro e cercò di trattenere la rabbia che le saliva nel sangue. Capì che stava perdendo la battaglia.

      Lo guardò fisso e disse, senza emozione, “Te lo chiederò un’altra volta: dove si trova Ashley Penn?”

      “Vaffanculo.”

      “Risposta sbagliata. Riflettici mentre ti portiamo alla stazione di polizia.”

      Si voltò, esitò un attimo, e poi d’un tratto si rigirò di nuovo e lo colpì col pugno chiuso, forte, con ogni grammo di rabbia che aveva in corpo. Lo prese dritto alla tempia, nello stesso punto della precedente ferita. Quella si aprì, e il sangue schizzò ovunque, e un po’ atterrò sulla camicetta di Keri.

      Ray la fissava incredulo, raggelato. Poi rimise Denton Rivers in piedi con un unico forte strattone e disse, “Hai sentito la signora! Muoviti! E non andare più sbattere la testa su altri tavolini da caffè.”

      Keri gli sorrise ironica per le sue parole ma Ray non le ritornò il sorriso. Sembrava inorridito.

      Qualcosa del genere poteva costarle il lavoro.

      Non le importava, però. Tutto ciò che le importava adesso era far parlare quel teppistello.

      CAPITOLO CINQUE

      Lunedì

      Sera

      Keri guidava la Prius con Ray nel posto del passeggero mentre seguivano la volante che aveva chiamato per portare Rivers alla stazione di polizia. Keri ascoltava in silenzio Ray che parlava al telefono.

      Il capitano in carica della divisione della West Los Angeles era Reena Beecher, ma sarebbe stata messa al corrente della situazione dal capo della Divisione Pacific dell’Unità reati gravi, il capo di Keri e Ray, il tenente Cole Hillman. Era lui che Ray stava aggiornando in quel momento. Hillman, o “Martello,” come lo chiamavano alcuni dei suoi sottoposti, aveva giurisdizione su persone scomparse, omicidio, furto e crimini sessuali.

      Keri non era una sua fan. A lei Hillman sembrava più interessato a pararsi il culo piuttosto che a metterlo a rischio per risolvere i casi. Forse l’anzianità sul lavoro l’aveva addolcito. Non si faceva scrupoli ad aggredire detective che non ripulivano i loro schedari – per la loro gestione dei casi aperti. Nonostante il soprannome “Martello”, che lui sembrava adorare. Ma secondo Keri era un ipocrita che si arrabbiava quando non chiudevano i casi e quando rischiavano per risolvere gli stessi casi. Keri pensava che un soprannome più appropriato fosse “stronzo”. Ma dato che non poteva chiamarlo così, la sua piccola ribellione consisteva nel non chiamarlo mai con il suo soprannome preferito.

      Keri correva per le strade di città, cercando di stare al passo con l’auto della polizia di fronte a lei. Lì accanto, Ray ricapitolava per Hillman come una chiamata di metà pomeriggio su un’adolescente sparita da un paio d’ore si fosse improvvisamente trasformata in un potenziale sequestro di persona vero, che riguardava la figlia quindicenne di un senatore degli Stati Uniti d’America. Descrisse il filmato del furgone, la visita a casa di Denton Rivers (omettendo alcuni dettagli) e tutto ciò che era accaduto nel mezzo.

      “Io e la detective Locke stiamo portando Rivers alla stazione per fargli qualche altra domanda.”

      “Aspetta, aspetta,” disse Hillman. “Che ci fa Keri Locke su questo caso? Questa è roba che va ben oltre i suoi impegni contrattuali, Sands.”

      “Ha preso lei la chiamata, tenente. E ha trovato lei quasi tutte le piste che abbiamo finora. Siamo quasi arrivati. La aggiorneremo sul resto lì, signore.”

      “Bene. Tra poco arriverò anch’io. Devo chiamare il capitano Beecher comunque. Vorrà una dritta su tutto quanto. Ho organizzato una riunione di tutti tra quindici minuti.”

      Riappese senza dire altro.

      Ray si voltò verso Keri e le disse, “Verremo estromessi non appena avranno un rapporto completo su di noi, ma almeno abbiamo fatto progressi.”

      Keri si accigliò.

      “Manderanno tutto a rotoli,” disse.

      “Non sei l’unico investigatore bravo di questa città, Keri.”

      “Lo so. Ci sei anche tu.”

      “Grazie per il complimento vagamente borioso, collega.”

      “Figurati,” rispose, e poi aggiunse, “Non piaccio a Hillman.”

      “Questo non lo so. Credo solo che ti trovi un po’… impertinente per essere una che ha così poca esperienza.”

      “Può

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