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      Keri era sulla soglia, a godersi silenziosamente la vista del fondoschiena di Ray che si dimenava mentre lui manovrava la sua massa. Oltre a essere il suo partner era anche il suo migliore amico, e di recente forse qualcosa di più. Entrambi sentivano una forte attrazione l’uno per l’altra, e se l’erano confessato meno di due mesi prima, mentre Ray si riprendeva da una ferita da arma da fuoco presa mentre fermavano un rapitore di minori.

      Però, da allora, avevano fatto solo passettini. Flirtavano più apertamente quando erano soli, e c’erano stati molti mezzi appuntamenti in cui uno dei due andava nell’appartamento dell’altro per vedere un film.

      Ma sembravano entrambi aver paura a fare la mossa successiva. Keri sapeva perché si sentiva così e sospettava che per Ray fosse lo stesso. Lei temeva che se avessero deciso di andare fino in fondo e non avesse funzionato, sia la collaborazione che l’amicizia potessero finir male. Era una preoccupazione legittima.

      Nessuno dei due aveva un gran passato di romanticismi. Erano entrambi divorziati. Entrambi avevano tradito il rispettivo coniuge. Ray, un ex pugile professionista, era un noto dongiovanni. E Keri doveva ammettere che da quando Evie era stata rapita era stata un fascio di nervi, costantemente sul punto di perdere il controllo. Su Match.com non avrebbero avuto un gran successo.

      Ray sentì di essere osservato e si voltò, con mezzo sandwich senza nome in mano. Vedendo che nella stanza c’era solo Keri, le chiese, “Ti piace quello che vedi?” e le fece l’occhiolino.

      “Non essere vanitoso, incredibile Hulk,” lo ammonì. Adoravano prendersi in giro con nomignoli che sottolineavano la loro differenza di stazza.

      “Chi gioca con i doppi sensi, adesso, Miss Bianca?” chiese, sorridendo.

      Keri vide il suo viso oscurarsi e capì di non essere riuscita a nascondergli il nervosismo per il Collezionista. La conosceva troppo bene.

      “Che c’è che non va?” le chiese immediatamente.

      “Niente,” rispose superandolo e chinandosi per prendere l’insalata. A differenza di lui, lei non aveva problemi a infilarsi negli spazi stretti. Anche se non era piccola come il nomignolo della topolina del cartone animato poteva far pensare, in confronto a Ray, con il suo metro e sessantasette per cinquantanove chili era una lillipuziana.

      Sentiva i suoi occhi addosso, ma finse di non accorgersene. Non voleva parlare di ciò che aveva per la testa per un paio di ragioni. Prima di tutto, se gli avesse detto dell’email del Collezionista lui avrebbe voluto discuterne i dettagli. E ciò avrebbe minato gli sforzi che stava facendo per rimanere in sé cercando di non pensarci.

      Però c’era un’altra ragione. Keri era stata messa sotto sorveglianza da un losco avvocato che si chiamava Jackson Cave, che era famoso in quanto rappresentante di pedofili e rapitori di bambini. Per ottenere l’informazione che l’aveva condotta al Collezionista aveva commesso un’effrazione introducendosi nel suo ufficio e copiando un file nascosto.

      L’ultima volta che si erano visti, Cave le aveva fatto capire che sapeva cosa aveva fatto e aveva detto chiaramente che la teneva d’occhio. Per Keri era chiaro che cosa intendesse dire. Da allora faceva perlustrazioni regolari in cerca di dispositivi di ascolto, e stava attenta a parlare del Collezionista solo in ambienti sicuri.

      Se Cave avesse saputo che dava la caccia al Collezionista, forse l’avrebbe avvisato. Così lui sarebbe scomparso, e lei non avrebbe mai più trovato Evie. Quindi non c’era verso che ne parlasse con Ray in quel luogo.

      Però lui non sapeva nulla di tutto questo, quindi insistette.

      “Vedo che c’è qualcosa che non va,” disse.

      Ma prima che Keri potesse chiudere diplomaticamente la discussione, il loro capo entrò come una furia nella stanza. Il tenente Cole Hillman, il loro supervisore diretto, aveva cinquant’anni ma sembrava molto più vecchio, con il viso solcato dalle rughe, i capelli sale e pepe spettinati, e un pancione in crescita che non riusciva a nascondere sotto le camice oversize. Era in giacca e cravatta come sempre, ma la prima era della taglia sbagliata e la seconda ridicolamente allentata.

      “Bene. Sono contento che siate tutti e due qui,” disse saltando i saluti. “Venite con me. Avete un caso.”

      Lo seguirono nel suo ufficio e sedettero sul malconcio divano contro il muro. Sapendo che probabilmente non avrebbe avuto la possibilità di mangiare dopo, Keri divorò l’insalata mentre Hillman li aggiornava. Si accorse che Ray aveva finito il sandwich che aveva rubato prima ancora di sedersi. Hillman cominciò.

      “La vostra possibile vittima è una ragazza di sedici anni di Westchester, Sarah Caldwell. Non si vede dall’ora di pranzo. I genitori l’hanno chiamata molte volte, e dicono di non essere riusciti a raggiungerla.”

      “Danno i numeri perché la figlia teenager non li richiama?” chiese scettico Ray. “Sembra la tipica famiglia americana.”

      Keri non replicò nonostante la sua inclinazione naturale a non essere d’accordo. Lei e Ray avevano litigato su questo punto molte volte. Pensava che lui fosse troppo lento ad accettare casi come questo. Lui riteneva che la sua esperienza personale facesse sì che si buttasse sul caso decisamente troppo prematuramente. Era una fonte costante di attrito e Keri adesso non aveva voglia di discutere. Ma ne aveva Hillman, apparentemente.

      “Anch’io l’ho pensato all’inizio,” disse Hillman, “ma sono stati molto convincenti nel dire che la figlia non sparirebbe mai per così tanto senza farsi sentire. Hanno anche cercato di localizzarla tramite il GPS che ha sullo smartphone. Era spento.”

      “Un po’ strano, ma comunque…” insistette Ray.

      “Sentite, magari non è niente. Ma sono stati insistenti, persino terrorizzati. E hanno fatto notare che la politica di far aspettare ventiquattr’ore dalla sparizione prima di cominciare le ricerche non si applica ai minori. Voi due non avete casi pressanti al momento, quindi ho detto che sareste andati lì a sentire le loro dichiarazioni. Diavolo, la ragazzina potrebbe essere a casa per quando sarete arrivati. Ma la cosa non farà del male a nessuno. E così ci copriamo il culo nel caso in cui saltasse fuori qualcosa.”

      “Mi sembra un buon piano,” disse Keri alzandosi in piedi per partire con la bocca piena dell’ultimo boccone di insalata.

      “Ma certo che a te sembra un buon piano,” borbottò Ray segnandosi l’indirizzo che gli dava Hillman. “Un’altra ricerca vana in cui mi trascinerai.”

      “Lo sai che le adori,” disse Keri uscendo dall’ufficio prima di lui.

      “Potreste essere un po’ più professionali dai Caldwell?” urlò Hillman attraverso la porta aperta. “Vorrei che pensassero che stiamo almeno facendo finta di prenderli seriamente.”

      Keri gettò il contenitore dell’insalata nella spazzatura e puntò al parcheggio. Ray dovette affrettarsi per starle dietro. Raggiungendo l’uscita, si sporse per sussurrarle qualcosa.

      “Non credere di averla scampata col tuo segreto. Puoi dirmelo adesso o dopo. Ma so che qualcosa c’è.”

      Keri cercò di non reagire visibilmente. C’era qualcosa. E aveva deciso di spiegargli tutto quando farlo non sarebbe stato rischioso. Ma doveva trovare un luogo più sicuro per dire al suo partner, migliore amico e potenziale fidanzato, che forse, finalmente, era sul punto di prendere il rapitore di sua figlia.

      CAPITOLO DUE

      Come ebbero parcheggiato di fronte alla casa dei Caldwell, lo stomaco di Keri si contrasse all’improvviso.

      Non aveva importanza quanto spesso incontrasse la famiglia di un minore forse rapito; tornava sempre al momento in cui aveva visto la sua bambina, di appena otto anni, portata via attraverso l’erba verde brillante di un parco da un crudele sconosciuto con un cappellino da baseball a coprirgli il volto.

      Sentiva lo stesso familiare panico risalirle la gola in quel momento, il panico che aveva provato inseguendo l’uomo attraverso il parcheggio

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