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mentre lui le mordicchiava il collo. Christine gemette, anticipando già quello che stavano per fare. Non sapeva nemmeno se sarebbero riusciti a raggiungere la camera da letto. Forse non sarebbero arrivati neanche al divano. Christine aprì la porta, e lui subito le ripiombò addosso, chiudendo l’uscio con un calcio. Christine si allontanò, appoggiandosi al bancone della cucina, e si sfilò la maglia. Gli piaceva quando si spogliava per lui. Era una specie di strana mania di controllo, che gli faceva sembrare che si sottomettesse a lui prima ancora di fare sesso.

      Christine stava già per slacciare il gancetto del reggiseno quando lo guardò negli occhi… e si immobilizzò. Lui era fermo in piedi davanti a lei, e ogni residuo di passione era svanito dal suo sguardo, rimpiazzato da qualcos’altro. Qualcosa di nuovo… che la terrorizzava.

      Lui inclinò la testa, come se la stesse studiando per la prima volta, poi le fu addosso. Era già stato brusco con lei, ma stavolta era diverso. Non c’era niente di sensuale. Premette tutto il proprio peso su di lei e le avvolse le mani intorno al collo. Non stava scherzando, la sua presa era feroce, e Christine si sentì subito schiacciare la trachea.

      Ci vollero meno di dieci secondi perché i suoi polmoni andassero nel panico. Provò a colpirlo alla cieca, ma le gambe stavano per cederle.

      Avvertiva una fortissima pressione al petto, come se una forza invisibile le stesse risucchiando tutta l’aria. Mentre cadeva a terra, sbatté con la testa sul bancone. Le mani di lui non si staccavano dal suo collo, anzi, la presa sembrava farsi sempre più forte, man mano che Christine si indeboliva.

      Tentò di picchiarlo un’ultima volta, ma non capì neanche se lo avesse centrato. Appena toccò il pavimento, lui le fu addosso. Continuava a strozzarla, premendole contro il suo membro eccitato. Christine agitò le mani in cerca di un appiglio qualunque, ma trovò solo la maglia che si era appena tolta per lui.

      Ebbe a malapena il tempo di chiedersi perché le stesse facendo questo, prima che l’oscurità calasse su di lei, alleviando quel terribile dolore al petto.

      CAPITOLO UNO

      Mackenzie era in piedi nel bagno, appoggiata al lavandino, intenta a fissare il gabinetto. Ultimamente l’aveva fissato parecchio, superando il primo trimestre di gravidanza in un modo che era quasi troppo da manuale. Le nausee mattutine si erano rivelate peggiori tra l’ottava e l’undicesima settimana, ma ancora adesso, a metà della quindicesima, erano brutte. Non ne soffriva più spesso come prima, ma quando arrivavano era terribile.

      Quella mattina aveva già vomitato due volte, e il suo stomaco sembrava pronto per la terza. Tuttavia, dopo aver sorseggiato dell’acqua e aver fatto del proprio meglio per controllare il respiro mentre si reggeva al lavabo, sentì la terza ondata di nausea allontanarsi.

      Mackenzie abbassò lo sguardo sul proprio ventre e posò una mano con fare amorevole sulla piccola protuberanza che si era manifestata nell’ultima settimana. “Piccolo, quello è il mio intestino, non un poggiapiedi.”

      Andò alla porta del bagno e restò lì un momento in attesa, per essere certa di aver finito. Quando le sembrò di avere recuperato il controllo, andò all’armadio e iniziò a vestirsi. Sentiva Ellington armeggiare in cucina e, a giudicare dai rumori, immaginò che stesse preparando il caffè. Mackenzie avrebbe amato una tazza di caffè, ma il caso voleva che il caffè rientrasse tra gli alimenti sgraditi al bambino durante gli episodi di nausea.

      Infilandosi i pantaloni, si accorse che le stavano leggermente più stretti. Immaginò che nel giro di un mese avrebbe dovuto procurarsi degli abiti prémaman. E allora avrebbe anche dovuto rivelare al direttore McGrath di essere incinta. Finora non glielo aveva ancora detto perché temeva la sua reazione. Non si sentiva ancora pronta per essere relegata dietro una scrivania, oppure a fare ricerche per qualche altro agente.

      Ellington arrivò alla porta con la fronte aggrottata. In mano aveva effettivamente una tazza di caffè. “Ti senti un po’ meglio?” le chiese.

      “Porta quel caffè lontano da me” disse. Aveva cercato di sembrare spiritosa, ma le era uscito più risentito di quel che intendesse.

      “Allora, mia madre continua a chiamare chiedendomi perché ancora non abbiamo deciso dove celebrare il matrimonio.”

      “Lo capisce, vero, che non è il suo matrimonio?” replicò Mackenzie.

      “No, mi sa di no.”

      Ellington uscì qualche secondo dalla stanza per mettere via il caffè, poi tornò da Mackenzie. Si mise in ginocchio e le baciò la pancia mentre lei sceglieva una camicia.

      “Non vuoi ancora sapere se è maschio o femmina?”

      “Non lo so. Per ora no, ma probabilmente cambierò idea.”

      Ellington sollevò la testa per guardarla. In quella posizione sembrava un bambino che cercava l’approvazione del genitore. “Quando hai intenzione di dirlo a McGrath?”

      “Non lo so” ripeté Mackenzie. Si sentiva sciocca a restarsene lì in piedi mezza svestita con Ellington che poggiava la guancia al suo ventre. Allo stesso tempo, però, le fece capire che era lì per lei. Le aveva chiesto di sposarlo prima del bambino e, di fronte ad una gravidanza inaspettata, le era rimasto accanto. Pensare che era l’uomo con cui avrebbe passato il resto della sua vita la faceva sentire tranquilla e contenta.

      “Temi che ti metterà in panchina?” le chiese.

      “Già. Ma tra una o due settimane non credo che riuscirò a nascondere la pancia.”

      Ellington rise e le baciò ancora una volta il ventre. “È una pancia davvero sexy.”

      Riprese a baciarla, con fare languido. Mackenzie ridacchiò e si allontanò scherzosamente. “Non abbiamo tempo per quello, abbiamo del lavoro da fare. E, se tua madre non chiude la bocca, anche un matrimonio da organizzare.”

      Avevano visto alcune location e avevano anche iniziato a informarsi sui servizi di catering per il piccolo ricevimento che avevano intenzione di dare. Ma nessuno dei due riusciva a entrare appieno nei preparativi. Stavano scoprendo di avere molto in comune: un’avversione per lo sfarzo, paura di avere a che fare con l’organizzazione e la tendenza a mettere il lavoro prima di ogni altra cosa.

      Mentre finiva di vestirsi, Mackenzie si domandò se stesse in qualche modo privando Ellington dell’esperienza. La sua mancanza di entusiasmo nell’organizzare il matrimonio gli dava forse l’idea che non le importasse? Sperava di no, perché non era affatto così.

      “Ehi, Mac.”

      Mackenzie si voltò mentre iniziava ad abbottonarsi la camicia. La nausea era quasi completamente passata, portandola a credere di riuscire ad affrontare la giornata senza altri incidenti. “Che c’è?”

      “Non organizziamolo. Nessuno di noi due vuole. E tanto, nessuno di noi due vuole un matrimonio in grande. L’unica a rimanerci male sarebbe mia madre e, a dire il vero, credo che mi piacerebbe.”

      Un sorriso le si allargò sul volto, ma cercò di trattenerlo. Anche a lei sarebbe piaciuto.

      “Credo di aver capito cosa vuoi dire, ma per essere sicura voglio che tu lo dica esplicitamente.”

      Ellington le prese le mani nelle sue. “Sto dicendo che non voglio organizzare le nozze e non voglio più aspettare per sposarci. Sposiamoci di nascosto.”

      Si capiva che non scherzava perché la voce gli si era incrinata a metà frase. Eppure… sembrava troppo bello per essere vero.

      “Dici sul serio? Non lo stai dicendo solo perché…”

      Mackenzie non riuscì a finire di formulare la domanda, così si guardò il ventre.

      “Ti giuro che non è solo per quello” disse Ellington. “Anche se sono emozionato di crescere e potenzialmente rovinare un bambino con te, è quello che voglio adesso.”

      “Già, mi sa che lo travieremo per bene questo bambino, eh?”

      “Non di proposito.” La tirò a sé abbracciandola, poi le sussurrò in un orecchio e sentire la sua voce così vicina la fece sentire ancora una volta contenta e a suo agio. “Dico sul

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