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ragazzo diceva la verità. Era in collera soprattutto perché la sua ingenuità aveva avuto come risultato la morte di Conval.

      “Te lo chiederò solo una volta,” disse furente a Drake. “Rispondimi sinceramente e ti lasceremo vivere. Menti, e seguirai i tuoi fratelli. A te la scelta.”

      Drake tossì diverse volte.

      “Dov’è la Spada?” gli chiese. “La verità questa volta.”

      Drake continuò a tossire, poi riuscì finalmente a sollevare la testa. Incontrò lo sguardo di Thor e i suoi occhi si riempirono di odio.

      “Neversink,” rispose infine Drake.

      Thor guardò gli altri, che ricambiarono tutti il suo sguardo, confusi.

      “Neversink?” chiese.

      “È un lago senza fondo,” si intromise Indra, facendo un passo avanti. “Al limitare del Grande Deserto. È un lago dall’infinita profondità.”

      Thor scosse la testa.

      “Perché?” chiese a Drake.

      Drake tossì, sempre più debole.

      “Ordini di Gareth,” rispose. “La voleva al sicuro in un posto da cui non sarebbe mai più tornata.”

      “Ma per quale motivo?” insistette Thor, confuso. “Perché distruggere la Spada?”

      Drake sollevò la testa e incontrò i suoi occhi.

      “Se non era riuscito a sollevarla lui,” disse, “allora non poteva sollevarla nessun altro.”

      Thor lo guardò a lungo e duramente, e alla fine fu soddisfatto perché stava dicendo la verità.

      “Allora abbiamo poco tempo,” disse Thor, preparandosi a partire.

      Drake scosse la testa.

      “Non arriverete mai lì in tempo,” disse Drake. “Sono giorni avanti. La Spada è già perduta per sempre. Arrendetevi e tornate all’Anello, risparmiatevi.”

      Thor scosse la testa.

      “Non la pensiamo come te,” rispose. “Noi non viviamo per avere le nostre vite salve. Noi viviamo per il valore, per il nostro codice. E andremo ovunque esso ci porti.”

      “Vedi bene fino a dove ti ha portato il tuo valore adesso,” disse Drake. “Anche con il tuo valore, sei uno stupido, proprio come tutti gli altri. Il valore non ha alcun senso.”

      Thor fece una smorfia. Non poteva credere di essere cresciuto e aver trascorso la sua infanzia con una tale creatura.

      Le nocche gli divennero bianche mentre stringeva l’elsa della spada, bramoso più che mai di ucciderlo. Gli occhi di Drake seguirono la sua mano.

      “Fallo,” gli disse. “Uccidimi. Fallo una volta per tutte.”

      Thor lo fissò a lungo con rabbia, desideroso di farlo sul serio. Ma gli aveva dato la sua parola che se avesse detto la verità non lo avrebbe ucciso. E Thor manteneva sempre la sua parola.

      “Non lo farò,” gli disse alla fine. “Per quanto tu te lo meriti. Non morirai per mano mia, perché altrimenti dovrei abbassarmi al tuo livello.”

      Quando Thor stava per voltarsi e andarsene, Conven corse verso di loro strillando:

      “Per mio fratello!”

      Prima che chiunque potesse reagire, Conven sollevò la sua spada e la conficcò nel cuore di Drake. Gli occhi di Conven erano infuocati di pazzia e di dolore mentre sorreggeva Drake in un abbraccio di morte e guardava poi il suo corpo afflosciarsi al suolo, morto.

      Thor abbassò lo sguardo e capì che la morte sarebbe stata una magra consolazione per la perdita di Conval. Una perdita per tutti loro. Ma almeno era qualcosa.

      Thor sollevò lo sguardo osservando la vasta distesa di deserto davanti a loro e seppe che la Spada era là fuori da qualche parte, oltre i suoi confini. Proprio quando pensava che il loro viaggio fosse giunto al termine, si rese conto che non era neppure cominciato.

      CAPITOLO TRE

      Erec sedeva tra i cavalieri nella sala delle armi del duca, all’interno del castello, al sicuro all’interno dei cancelli di Savaria. Erano tutti feriti e ammaccati dopo l’incontro con quei mostri. Accanto a lui sedeva l’amico Brandt che si teneva la testa tra le mani, come molti degli altri. L’umore nella stanza era piuttosto cupo.

      Lo sentiva anche Erec. Ogni muscolo del suo corpo doleva per la battaglia del giorno contro gli uomini del signorotto prima, e contro quei mostri dopo. Era stato uno dei più duri giorni di battaglia che potesse ricordare e il duca aveva perso moltissimi dei suoi uomini. Mentre rifletteva, Erec si rese conto che se non fosse stato per Alistair lui, Brandt e gli altri ora sarebbero morti.

      Le era immensamente grato e la amava ancor di più, con rinnovato slancio. Era anche incuriosito da lei più che mai. Aveva sempre percepito che era un essere speciale, potente. Ma gli eventi di quel giorno gliene avevano dato la prova. Sentiva un cocente desiderio di sapere più di lei, del suo segreto e delle sue origini. Ma le aveva giurato di non intromettersi e lui manteneva sempre la parola data.

      Erec non vedeva l’ora che quella riunione fosse terminata, così da poterla vedere.

      I cavalieri del duca erano seduti lì da ore, cercando di riprendersi, di capire ciò che era successo e di discutere su cosa fosse opportuno fare come prossima mossa. Lo Scudo era inattivo ed Erec stava ancora analizzando le possibili conseguenze. Significava che Savaria era ora soggetta all’attacco; peggio ancora, i messaggeri erano accorsi con la notizia dell’invasione di Andronico, di ciò che era successo alla Corte del Re e a Silesia. Il cuore di Erec gli sprofondò nel petto. Avrebbe voluto essere con i suoi fratelli dell’Argento per poter difendere le città della sua patria. E invece era lì, a Savaria, dove il fato lo aveva collocato. Ora c’era bisogno di lui in quel luogo: la città e il popolo del duca erano dopotutto una zona strategica del regno di MacGil e avevano bisogno di difesa anche loro.

      Ma con i nuovi rapporti appena giunti di un nuovo battaglione spedito lì da Andronico, all’attacco di Savaria, Erec sapeva che il suo esercito da un milione di uomini si sarebbe presto sparpagliato in ogni angolo dell’Anello. Un volta terminato, Andronico non avrebbe lasciato nulla. Erec aveva udito storie di conquiste di Andronico in tutta la sua vita e sapeva che era un uomo crudele senza eguali. Per la semplice regola dei numeri le poche centinaia di uomini del duca non sarebbero state di alcun aiuto contro di loro. Savaria era una città spacciata.

      “Io dico di arrenderci,” disse un consigliere del duca, un vecchio guerriero brizzolato che sedeva fiaccamente accanto a un lungo tavolo rettangolare, perso in un boccale di birra, sbattendo il suo guanto di ferro sul ripiano di legno. Tutti gli altri soldati si ammutolirono e lo guardarono.

      “Che scelta abbiamo?” aggiunse. “Siamo poche centinaia contro un milione dei suoi uomini.”

      “Forse potremmo difenderci, almeno mantenere la città,” disse un altro soldato.

      “Ma per quanto?” chiese un altro ancora.

      “Abbastanza perché MacGil mandi rinforzi, se riusciamo a resistere abbastanza a lungo.”

      “MacGil è morto,” disse un altro guerriero. “Non verrà nessuno ad aiutarci.”

      “Ma sua figlia è viva,” si intromise un altro. “E anche i suoi uomini lo sono. Non ci abbandonerebbero mai qui!”

      “Ma se possono a malapena difendere se stessi!” protestò un altro.

      Gli uomini eruppero in un agitato chiacchiericcio, tutti discutendo tra loro, parlando a voce alta e camminando per la stanza.

      Erec guardava la scena, seduto, e si sentiva svuotato. Era giunto un messaggero, solo poche ore prima, portando la spaventosa notizia dell’invasione di Andronico e anche – per Erec la notizia ancora peggiore – che MacGil era stato assassinato. Erec era stato talmente tanto tempo lontano dalla Corte del Re, che la notizia lo aveva raggiunto solo ora: quando la udì si sentì come se un pugnale gli fosse stato conficcato nel cuore. Aveva amato MacGil come un padre e la sua

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