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morire. Senza la sua piccola nella vita, comprese di non avere altro per cui vivere.

      Caitlin sentì una mano rassicurante sulla sua spalla. Si voltò e vide Sam, proteso verso di lei.

      “E' tutta la notte che giriamo,” lui disse. “Non c'è alcun segno di lei, da nessuna parte. Abbiamo coperto ogni centimetro della Route 9. Anche i poliziotti sono qua fuori, con più auto ancora. Siamo tutti esausti, e non abbiamo idea di dove possa essere. Potrebbe persino essere a casa ad aspettarci.”

      “Sono d'accordo,” Polly aggiunse. “Dico di tornare a casa. Abbiamo bisogno di riposare.”

      Improvvisamente si sentì un forte colpo di clacson e Caitlin, alzando lo sguardo, vide un camion dirigersi proprio verso di loro, che erano sul lato sbagliato della strada.

      “CALEB!” Caitlin gridò.

      Caleb improvvisamente, sterzò, scansandosi all'ultimo secondo e tornando sul lato giusto della strada; avevano evitato il camion per un pelo.

      Caitlin guardò il marito, col cuore in gola, e un esausto Caleb ricambiò lo sguardo, con gli occhi iniettati di sangue.

      “Che cos'hai?” lei chiese.

      “Mi dispiace,” lui disse. “Devo essermi addormentato.”

      “Questo non sta facendo del bene a nessuno,” Polly disse. “Dobbiamo riposare. Abbiamo bisogno di tornare a casa. Siamo tutti esausti.”

      Caitlin prese in considerazione la decisione, e finalmente, dopo un lungo istante, annuì.

      “Benissimo. Portaci a casa.”

*

      Caitlin si sedette sul divano, mentre il sole tramontava, sfogliando un album che conteneva delle foto di Scarlet. La mente cominciò a vagare, ripensando a tutti i ricordi che riguardavano Scarlet nel corso degli anni. Caitlin fece scivolare il pollice sulle foto, desiderando, più di ogni altra cosa al mondo, di potere avere Scarlet con lei in quel momento.  Avrebbe dato qualunque cosa, persino il suo cuore e la sua anima.

      Caitlin tirò su la pagina strappata dal libro che aveva preso dalla libreria, l'antico rituale, quello che avrebbe salvato Scarlet, se solo Caitlin fosse tornata in tempo, quello che avrebbe curato la ragazza dal vampirismo. Caitlin fece la pagina a piccoli pezzi, e li gettò a terra. Atterrarono vicino a Ruth, il grande husky, che guaì e si accucciò accanto a Caitlin.

      Quella pagina, quel rituale, che una volta avevano significato così tanto per lei, adesso erano davvero inutili. Scarlet si era già nutrita, e nessun rituale poteva salvarla ora.

      Caleb, Sam e Polly erano anche loro nella stanza, ognuno perso nel proprio mondo; seduti sul divano o su una sedia, dormivano o erano mezzi addormentati. Rimanevano lì in profondo silenzio, tutti in attesa che Scarlet entrasse dalla porta – e tutti sospettavano che non sarebbe mai accaduto.

      Improvvisamente, il telefono squillò. Caitlin saltò, e lo afferrò, con mano tremante. Fece cadere il ricevitore diverse volte, per poi finalmente tirarlo su e portarlo all'orecchio.

      “Pronto, pronto, pronto?” lei disse. “Scarlet, sei tu? Scarlet!?”

      “Signora, sono l'Agente Stinton,” rispose una voce maschile.

      Il cuore di Caitlin sprofondò, quando capì che non si trattava di Scarlet.

      “La chiamo per informarla che non abbiamo ancora alcun segno di sua figlia.”

      Le speranze di Caitlin svanirono. Strinse il telefono più forte, disperata.

      “Non ci state provando abbastanza,” la donna disse, fremendo di rabbia.

      “Signora, stiamo facendo tutto ciò che possiamo—”

      Caitlin non attese il resto della risposta del poliziotto. Riagganciò il telefono, un grosso apparecchio degli anni '80, lo afferró, staccò il cavo dal muro, lo tirò su al di sopra della sua testa, e lo scaraventò a terra.

      Caleb, Sam e Polly saltarono tutti in piedi, destati bruscamente dal sonno, guardandola, come se fosse pazza.

      Caitlin guardò il telefono e capì che forse stava impazzendo davvero.

      Caitlin uscì dalla stanza, aprì la porta sul grande porticato anteriore, e andò a sedersi su un dondolo. Era l'alba, e faceva freddo, ma a lei non importava. Si sentiva insensibile al mondo.

      Si strinse forte le braccia sul petto, e si dondolò e dondolò nella fresca aria di novembre. Guardò verso la strada vuota, che si estendeva illuminata dalla prima luce del giorno, non c'era anima viva in giro, nessuna automobile si muoveva, tutte le case erano ancora buie. Ogni cosa era immobile. Una strada suburbana perfettamente silenziosa, non si muoveva una foglia, ogni cosa appariva pulita, proprio come doveva essere. Perfettamente normale.

      Ma niente, Caitlin lo sapeva, era normale. Improvvisamente, lei odiò quel luogo che aveva amato per anni. Odiò la quiete; odiò la tranquillità; odiò l'ordine. Avrebbe dato qualunque cosa pur di avere il caos, rompendo la quiete, ottenendo suoni, movimento, ma soprattutto il ritorno di sua figlia.

      Scarlet, lei pregò, mentre chiudeva gli occhi, che le si riempirono di lacrime, torna da me, piccola. Ti prego, torna da me.

      CAPITOLO CINQUE

      Scarlet Paine si sentì fluttuare nell'aria; le sembrò di avvertire il battito di un milione di piccole ali nelle sue orecchie, mentre si sentì sollevare più in alto, sempre più in alto. Guardò davanti a sé e capì che veniva trasportata da uno stormo di pipistrelli, un milione di pipistrelli, che la circondavano, afferrandola dalla parte posteriore della camicia e portandola con sé in aria.

      Scarlet venne trasportata in alto, attraverso la più bella alba che avesse mai visto, tra le nuvole sparse nel cielo color arancio in fiamme. Non capiva che cosa stesse accadendo, ma, in qualche modo, non era affatto spaventata. Sentiva che quegli animali la stavano portando da qualche parte, mentre gridavano e volavano tutti intorno a lei. La sorreggevano in aria nel cielo e si sentiva come se fosse una di loro.

      Prima che Scarlet potesse elaborare che cosa stesse accadendo, i pipistrelli la misero giù, gentilmente, davanti al castello più grande che avesse mai visto. Era circondato da antiche mura di pietra e l'avevano posata proprio davanti ad un'immensa porta ad arco. I pipistrelli volarono via e poi sparirono davanti ai suoi occhi.

      Scarlet era ferma davanti alla porta, che si aprì, lentamente. Una luce ambrata fuoriuscì dall'apertura e Scarlet si sentì invitata ad entrare.

      Attraversò la soglia della porta, superò la luce ed entrò nella stanza più grande che avesse mai visto. All'interno, allineato in perfetta attenzione, di fronte a lei, c'era un intero esercito di vampiri, tutti vestiti di nero. Lei volse lo sguardo su di loro, comportandosi come se fosse il loro leader.

      Come un'unica entità, tutti sollevarono i palmi e li batterono contro il petto.

      “Hai dato vita ad una nazione,” esclamarono tutti insieme, come se fossero una sola voce, che riecheggiò sulle pareti. “Hai dato vita ad una nazione!”

      I vampiri emisero un grosso grido, e, in quel momento, Scarlet si sentì soddisfatta: sentiva che, finalmente, aveva trovato la sua gente.

      Gli occhi di Scarlet si aprirono, quando si svegliò al suono del vetro infranto. Si ritrovò a faccia in giù, riversa sul cemento, con le guance contro il pavimento, freddo, bagnato e umido. C'erano delle formiche che camminavano verso di lei, e lei mise i suoi palmi sul duro cemento,  si tirò su, e le scacciò via.

      Scarlet aveva freddo, era dolorante, e il collo e la schiena le dolevano perché aveva dormito appunto in una posizione scomoda. Soprattutto, si sentiva disorientata, spaventata perché non riconosceva il luogo in cui si trovava. Era sotto un piccolo ponticello, riversa sulla pavimentazione sotto di esso, mentre il sole albeggiava sopra di lei. Si sentiva odore di urina e di birra sgasata laggiù, e Scarlet vide che il cemento era tutto segnato da graffiti; mentre studiava la zona, vide lattine di birra vuote, rifiuti, aghi usati. Si rese conto di essere in un brutto posto. Si guardò intorno, battendo le palpebre, e non aveva alcuna idea di dove fosse, o di come ci fosse finita.

      Si sentì di nuovo il rumore

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