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parole per raccontare tutto questo.

      Ma lui non mi penetra. Si è spinto in avanti per cercare la mia mano; la prende, la tira delicatamente verso sé. Compie quei gesti come facessero parte di un rituale; non posso saperlo, ma mi convinco che sta riproducendo, sul mio corpo, tutti quei sogni che lo hanno reso pazzo di me, di sua madre, che poi ci hanno portato a questo inenarrabile atto di amore, ma nero, nero come la pece. La mia mano tesa riceve nel palmo il pene e la sacca con le sue palle. Una meravigliosa, morbida massa calda, lievemente umidiccia; distinguo perfettamente il suo coso, una specie di spesso serpente, lo stesso che, da piccolo, gli lavavo tutti i giorni, spesso prendendolo in giro. Adesso non è rigido come avrei creduto ma, pur se morbido, è spesso, e lungo. Lui l’ha sempre avuto bello grande! A tenere il pene in mano e a sentirmi frugare in figa, mi perdo definitivamente… non sono fatta di legno! La menopausa è passata da un pezzo, sono oltre sette anni che ho ripreso il controllo definitivo della mia femminilità. Adesso grondo dalle grandi labbra, lui continua a ispezionarmi dentro e sento che l’amore lascia il posto alla lussuria, infatti va avanti e indietro, in fretta, poi piano; poi esce e mi preme il clitoride, per stuzzicarmi: vuol farmi venire. Il cazzo gli diventa enorme e durissimo, lo stringo tra le dita, vibrando per le potenti emozioni. Arretra… ma ancora non mi prende. Vuol farmi venire, e ci riesce in poco tempo, perché mi sorprende, cogliendomi impreparata: si abbassa, come se sapesse cosa mi rende folle di piacere. Affonda il suo viso nella mia “natura”, si bagna di me. S’imbratta la bocca e lo sento sguazzare felice, dietro il sedere, si muove in fretta con tutto il viso, ma con le labbra e la lingua mi marca come un forsennato. Succhia forte le piccole labbra e il clito, è questione di un attimo, poi perdo ancora il controllo e cado nell’orgasmo. Cedo, divarico le cosce, lascio che la mutandina raggiunga il pavimento e la allontano con il piede. Sono aperta: gli vengo sulla lingua, che non si ferma più. Con uno sforzo inaudito, faccio del mio meglio per non farmi sentir mugolare; mi mordo le labbra a sangue… ma intanto tremo tutta. Lui è grande, lo sa che sto venendo. Pazza di piacere, vorrei morire. Non ci fermeremo più… Come faccio a dire che non voglio che accada? L’atmosfera, nella mia cucina, si distende un poco; mi da il tempo di riprendermi. Posso mai fermare tutto adesso? Che differenza fa, ormai? E’ successo quello che non doveva mai succedere. Credevo di sacrificarmi per il suo piacere, invece sono io, soltanto io, colpevole, adesso. Forse a quarant’anni, forse con il marito lontano; una donna nel pieno del vigore, forse si poteva tentare di giustificare… non una “vecchia” come me. Non ho giustificazioni, Adesso che sono appagata, comprendo la situazione con estrema lucidità… ma lui mi impedisce di pensare ancora. Non posso trattenere un piccolo grido. Senza preavviso mio figlio approfitta di quanto sono lubrificata dagli umori, per infilarmi col cazzo, di botto. Mi ferma l’aria nei polmoni! Sono tutta piena di lui, e com’è grosso… mi ha divaricata di brutto. Altro che pensare con lucidità… io mi sento svenire dalla lussuria. Dopo lo smarrimento di entrambi, nel sentirci uniti da quel tubo di carne, lui inizia a scopare e io mi pongo a favore delle sue penetrazioni continue. Mi tasto con la mano di sotto, apro le dita sulla vagina e identifico il palo bagnato che mi affonda dentro l’anima. Perdo di nuovo il controllo, incapace di frenarmi, mi masturbo il clitoride: è un gesto spontaneo… a che servirebbe ormai tenersi o lasciarsi andare? È tutto finito, è tutto accaduto. Mio figlio sta scopando sua madre, probabilmente dopo averlo sognato per anni.

      Scopa a lungo senza fermarsi; non mi interessa più niente, e vengo ancora, aiutandomi con le dita. Stavolta non copro i miei gemiti, e lui si ferma dentro per consentirmi un piacere maggiore.

      Dopo, mi rendo conto che quella posizione mi sta veramente uccidendo… non so cosa fare per fargli capire che non voglio dargli fretta, ma che sono stanca. Un suo gesto inatteso, mi fa allertare tutti i nervi. Mi decido ad agire, proprio a causa di quello. Infatti, visto che il suo pene non da segni di cedere, lui mi è uscito dalla vagina e, dopo una serie di carezze fin troppo umide, mi allarga con le dita e col glande mi punta l’ano, e preme.

      Â«No, questo no!» dico decisa e lo fermo, bloccandolo con la mano sulla pancia. Mi alzo dal tavolo e quasi incespico per la stanchezza, dovuta alla posizione. Sono nuda, indosso solo le scarpe e le calze. Giovane o vecchia, sono una femmina e so di essere eccitante davvero, nella penombra. Non fa niente, ormai, abbiamo valicato ogni limite della reciproca confidenza.

      Lo prendo per mano e lo porto con me, lui mi segue docile nella camera da letto. Gli tolgo i pantaloni e lo faccio stendere al posto di suo padre. Il cazzo è sempre in tiro, il glande scoperto e liscio come seta. Mi pongo sul letto al suo fianco; decisi a dargli una gioia speciale, gli scendo sulla pancia e m’inghiotto il cazzo. Lo tengo ben fermo con la sinistra, e gli faccio provare cosa sono capace di fare, come donna. Lui mugola per il piacere, finalmente anch’egli perde il controllo: adesso tocca a me prendermi cura del mio ragazzo. So cosa fare e glielo faccio bene! Farlo con la bocca è una delle cose più eccitanti e mio marito non si può lamentare, non so quante volte l’ho spompinato nella nostra vita. Glielo succhio per alcuni minuti e quando capisco che si avvicina al godimento, mi fermo e mi volto su un fianco, lasciandomi il mio ragazzo alle spalle. Con tranquillità e senza affannarsi, in quella posizione comoda, lui si accoccola dietro di me, e aiutandosi con le mani, mi cerca l’anfratto. Per aiutarlo, con l’avambraccio mi tengo su la coscia, così sono tutta aperta. Chiedo perdono al mondo… ma è meraviglioso! Mi si abbarbica addosso, mi tiene i seni, si stringe a me e fotte, piano e profondamente. Ancora pochi colpi e viene dentro, eiaculando a fiotti; pazzo di piacere, vibrando e pronunciando parole sconnesse. Scaricare il suo seme non basta ad abbassargli l’erezione: il cazzo sguazza in tutto quel liquido, il rumore acquoso e lubrico mi attanaglia.

      Sono colpevole, lo so, ma mentre lui ancora non si decide a fermarsi, gli vengo per l’ennesima volta sul cazzo.

      (*) - Foia = Bramosia sessuale.

      Intrighi

      Per chi crede che milf e cuckold siano concetti nati ieri...

       “L’uomo è più fedele all'altrui segreto che al proprio:

       la donna invece custodisce meglio il proprio segreto che quello degli altri.”

      Jean de La Bruyère

      I primi calori

      Anni Settanta, il giovane Mario nei sobborghi di Pisa, città neanche troppo grande.

      La nostra palazzina era un po’ isolata, un grande cortile (forse una vecchia fabbrica) la separava dalle ultime case di periferia. Un posto tranquillo, magari un po’ monotono per un adolescente ma per me andava bene. Ero un tipo introverso, mi piaceva leggere fumetti e mi trovavo meglio con gli adulti che con i ragazzi della mia età, sempre a scalciare dietro un pallone.

      Abitavamo al piano terra, poi c’era l’appartamento di una donna anziana che stava sempre dalle figlie e, sopra, la signora Elena, sposata, senza figli. Elena era ancora giovane ma, naturalmente, a me sembrava già “anziana”, per non parlare del marito, poi, che aveva una decina d’anni più di lei e quindi era addirittura più vecchio che mio padre.

      Quando lei veniva a passare il pomeriggio da mia madre, che faceva la sarta, non potevo comunque fare a meno di cercare la posizione più idonea per spiare gli stralci del suo corpo burroso che traboccavano dai suoi camici attillati. Era abbondante e prorompente, di altezza media con le cosce piene, dalla bella carne rosea. I seni, molto grossi, erano sempre pressati da un reggipetto nero, le cui bretelle sbucavano dagli abiti in ogni sua mise.

      Con un libro o un giornaletto in mano, mi mettevo comodo, spesso per terra su un cuscino, e la spiavo per ore. Mi piaceva molto guardarla d’inverno, perché sotto la veste portava le calze. A volte nere, altre, colore del bronzo. Se ero fortunato, negli attimi in cui spalancava le gambe, vedevo il bordo della calza, le cosce chiarissime e la virgola arrapante delle mutande nere. Sempre, appena lei andava via, correvo nel bagno per farmelo in mano con una certa urgenza.

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