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sono confessata appena poche ore fa”, mi ha risposto lei.

      “Ma che dici, mamma? Te lo sei sognata? O hai avuto delle allucinazioni? Devo chiedere al medico se qualcuno di questi nuovi farmaci che ti ha prescritto può portare conseguenze di questo tipo, come effetti collaterali. Adesso vi lascio soli, che ho un po' da fare in cucina.”

      Il prete si trattenne parecchio, forse anche mezz'ora. Quando uscì dalla stanza di mamma era sereno e tranquillo, ne più ne meno di quando vi era entrato.

      “Avete finito? Tutto bene?”, gli chiesi.

      “Sì, sì, tutto a posto.”

      “Venga, che le offro un caffè.” Lui accettò volentieri, mentre io, ancora nel panico, fui seriamente tentato di chiedergli di confessare anche me. Ma non lo feci. Gli dissi soltanto:

      “Per fortuna che ci siete voi preti.”

      Non ho mai parlato con nessuno di quanto successo quel giorno, nemmeno con mia madre; che però, ho notato, da allora in poi ha preso l'abitudine di recitare dieci Ave Maria dopo ogni pasto (compresa la colazione), e mi pare anche qualcuna prima di mangiare.

      UNA NOTTE DA INSONNI

      E' notte, ora che sto scrivendo. E lo era anche ieri, quando sono successi i fatti che vi sto per descrivere.

      Perché dovete sapere che io soffro di insonnia, e quando non dormi la tua vita è come se fosse lunga il doppio rispetto a quella degli altri. Anzi, è come se oltre alla vita normale, quella luminosa e solare che certamente tutti conoscete, noi insonni ne vivessimo un'altra, perlopiù oscura, lunga e silenziosa. Una vita molto particolare, con pochissimi protagonisti. Uno qui, uno laggiù, un altro chissà dove. Neanche nell'età della pietra erano così in pochi. E tutti costretti perlopiù a stare in silenzio, chiusi nelle proprie case in solitudine, quasi immobili - come zombie nei propri loculi.

      La convinzione che da qualche parte in contemporanea si svolga la vita vera, allevia solo in parte lo squallore di questa mezza specie di vita. E' almeno a qualche migliaia di chilometri di distanza. Lo sappiamo per sentito dire, ma ci crediamo più che altro perché ci consola sapere che, apparentemente con lentezza ma in verità alla velocità della rotazione terrestre, essa sta ritornando verso di noi.

      Ci crediamo essenzialmente per un atto di fede, benché ne abbiamo delle prove tangibili grazie alla televisione e ad internet, che ci consentono di metterci in contatto diretto con quel mondo come una medium col mondo dei morti; e che, insieme a libri giornali e riviste, raccolgono tracce e ricordi del mondo vero per potercele riproporre, magari un po' fredde come pietanze uscite dal frigo, a nostra richiesta.

      In realtà di notte, a parte rarissime eccezioni, non succede mai niente.

      Ogni tanto capita che qualcuno si dimentichi una luce accesa; magari anche per diversi giorni, soprattutto sui terrazzini. Forse per paura di ladri scalatori, o a causa di un viaggio improvviso, o chissà. A volte è la luce azzurrognola di un televisore acceso ad attirare la mia attenzione, probabilmente qualcuno che guardandola si è addormentato sul divano o sulla poltrona, ma in genere è difficile scorgere anima viva. Movimenti umani, se si escludono il capodanno, il periodo più caldo dell'estate e qualche altro rarissimo caso, direi proprio mai.

      Invece era già da qualche notte che avevo notato, alcuni piani sotto al mio, una luce accesa dalla parte opposta dell'ampia chiostrina interna dell'isolato. Le serrande in parte alzate permettevano di vedere una fetta della stanza, ed in particolare un pezzo di scrivania molto disordinata, con sopra anche un video, una tastiera, un mouse e soprattutto delle mani che ci lavoravano attorno. Mani femminili, avrei detto dal vestito; di donna giovane.

      Dovevo cercare di contattare quella persona.

      Feci mente locale sulla topologia del mio palazzo e della chiostrina, arrivando alla conclusione che quella finestra illuminata corrispondesse a un altro portone, chissà quale civico della via traversa o parallela alla mia. Un percorso difficilmente praticabile per arrivare alla signora in quella stanza, o almeno al suo nome o a un suo eventuale recapito telefonico.

      Pensai che potevo attirare la sua attenzione con uno di quei raggi luminosi e concentrati, che a volte usano nelle conferenze per evidenziare una parola sullo schermo. Un pomeriggio ne comprai uno dai cinesi sotto casa, a luce verde, per pochi euro. E quella notte, in una pausa tra le mie lezioni di giapponese, vedendo quelle mani come al solito al lavoro mi misi all'opera anch'io.

      Il raggio verde funzionava. Illuminai la sua mano e i dintorni, cercando anche di capire se coi miei movimenti riuscivo a descrivere delle lettere per comporre un messaggio. Provai anche a concentrarmi sulla sua tastiera, provando a illuminare di volta in volta le lettere per scriverle ciao o qualcosa del genere e comunicare con lei; ma era chiaro che non poteva funzionare per diversi motivi. Mentre così pensavo mi accorsi che lei aveva notato il raggio, si era affacciata alla finestra e guardava da dove proveniva.

      Per meglio farmi vedere agitai le braccia, e poi accesi anche un'altra luce nella stanza. “Che vuoi?”, mi chiese gesticolando con le mani. “Ciao”, gli risposi io sempre a gesti, agitando la destra. Per fortuna siamo un popolo abituato a gesticolare; ma provando a chiederle come si chiamasse o come contattarla mi resi conto che più di tanto, con le sole mani, non potevo farle arrivare. “Aspetta”, le dissi mostrando le due mani aperte; e poi presi in mano un foglio bianco e una penna, facendole capire qualcosa sul fatto di scrivere, che stavo scrivendo, ed in effetti scrissi su quel foglio bianco: “Ciao. Ho visto che anche tu sei sveglia la notte. Ti va se parliamo? Il mio numero è … ”. Finito di scrivere il numero, mi feci vedere appallottolare il foglio, aprii la finestra e feci l'atto di lanciarlo verso di lei come una palla da baseball.

      “Lo sto per lanciare. Te lo sto per lanciare. Apri la finestra, per favore. Aprila.” Non pensavo di essere così bravo nel comunicare a gesti. Alla fine anche lei aprì la finestra.

      Pensavo invece di essere molto più bravo nel lanciare una palla di carta. Sbatté contro la serranda chiusa un piano sopra al suo, con un po' di rumore ma per fortuna senza danno. Lei fece anche l'atto di cercare di prenderla al volo mentre cadeva, cosa già di per se improbabile anche se ci avesse messo una maggiore convinzione.

      “Peccato. Non fa niente. Ci ho provato ma è andata male. E' andata così, sarà per un'altra volta. Ciao. Ciao.” Questo, probabilmente, ci dicemmo gesticolando, ripetendoci lo stesso gesto l'un l'altro; poi di nuovo il saluto con la mano; e poi chiudemmo le finestre, passo e chiudo.

      Un messaggio l'avevo comunque fatto arrivare. Le avevo fatto conoscere la mia esistenza da insonne. La palla di carta era caduta sul terrazzo del primo piano, non so se fosse privato o condominiale; ma se voleva poteva trovare il modo di andarla a recuperare il giorno dopo.

      Io archiviai il caso, e me ne tornai tranquillamente alle mie audiolezioni di giapponese.

      Ed invece il caso si riaprì dopo forse neanche un'ora, quando ricevetti una telefonata. Non era mai successo, così di notte. Mi affrettai a rispondere perché i vicini non si svegliassero.

      “Pronto.”

      “Pronti. Sei tu quello svitato che se ne sta sveglio di notte al sesto piano di fronte a casa mia e mi tira pallette di carta? Da come hai risposto velocemente non stavi certo dormendo.”

      “Si, sono io. Ma tu come hai fatto ad arrivare così in fretta al foglio col mio numero? Non sarai mica la donna gatto, per caso?”

      “Non posso certo svelarti tutti i miei segreti alla nostra prima conversazione. E poi noi super-eroine dobbiamo tenere nascosti i nostri superpoteri, per il bene dell'universo.”

      La mia interlocutrice si rivelava piena di spirito; e molto giovane, a giudicare anche dal tono della voce.

      “Aspetta un attimo, donna gatta, che passo sul video-telefono”, le dissi.

      “Video telefono? Ma io non ho un videotelefono!”, mi rispose sorpresa.

      “Eppure io riesco a vederti. E ti vedrei ancora meglio se ti spostassi un altro po' verso la finestra.”

      “Ah,

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