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era convinto che dietro ci fossero i servizi segreti. Non che la cosa lo spaventasse, anzi: ciò rendeva il suo lavoro ancora più interessante, una sfida ancor più difficile e quindi più appassionante. D'altronde io ero contento per lui: finalmente un caso rilevante, di portata internazionale."

      "E' tutto?", chiese il commissario Sgamon al direttore del giornale.

      "Direi di sì. Dopo la sua visita a casa Mozzi, ormai oltre un mese fa, il Papotti è sparito di nuovo. Per un po' ho ricevuti i suoi aggiornamenti dalla Francia; ma poi più niente. Ah, dimenticavo: l'ultima cosa che mi ha mandato è questa foto, con il cellulare. Una donna sulla spiaggia. Forse una certa somiglianza con la Mozzi. Però non saprei… Ma ora sono oltre due settimane che non si fa sentire, e questo proprio non è da lui. Sono certo che gli è successo qualcosa."

      "E il suo telefonino risponde libero? Forse potremmo cominciare a rintracciare quello."

      "Nessun segno di vita. Le lascio il numero, commissario, insieme a qualche sua fotografia. E qualunque altra cosa possa servire a rintracciarlo, la prego di fare pure il massimo affidamento sulla collaborazione di tutti noi del giornale."

      IL CASTELLO DELL'AMORE

      In quel castello non c'ero mai stato prima: ci sono andato solo per l'insistenza di Angela. Sapete come vanno queste faccende: quando una donna si mette in mente qualcosa è ben difficile farle cambiare idea, soprattutto se è innamorata.

      Aveva cominciato a parlarmene con tantissimo anticipo, mi pare già la notte di capodanno. "Per San Valentino mi devi portare al castello Brini-Maniscalchi. Faranno una festa mascherata. Sarà bellissimo. E' un posto davvero molto romantico."

      Nulla da dire sulle serate romantiche, anzi. Stare con Angela mi piace sempre - figuriamoci quando l'atmosfera fa la sua parte per mettere in risalto il nostro amore. Ma per le feste in maschera non sono mai stato entusiasta. Proprio non mi va giù dovermi organizzare il travestimento e magari stare scomodo tutta la sera, solo per fare qualcosa di diverso e perché lo fanno tutti gli altri.

      "Sempre che tu mi voglia ancora bene, naturalmente", aggiunse lei vedendo la mia faccia scettica. "Guarda che ci tengo così tanto che per andarci sono disposta a trovarmi un altro cavaliere." Ovviamente scherzava, ma afferrai subito il messaggio.

      

      

      Quel fatidico giorno Angela mi convinse che la cosa migliore era partire appena dopo pranzo, per prendercela con tutta calma. E non solo perché il castello distava da noi oltre un'ora di macchina.

      "Papà e mamma mi hanno raccomandato di tornare a casa entro le dieci. Magari facciamo anche le undici, così riusciamo a vedere i fuochi d'artificio: ma non più tardi. Sai come sono i miei genitori."

      Ebbene si, lo sapevo. Emisi un grugnito, che rappresentava molto bene il mio pensiero senza obbligarmi a esprimere idee o opinioni che avrebbero potuto innescare tra noi una discussione, sgradevole e soprattutto inopportuna quel giorno.

      "E poi", proseguì, "vorrei fare un bel giretto per il paese. E' così bello. Con quelle viuzze medioevali in salita, con quel non so che… e tutti quei negozietti di artigianato!"

      Così, anziché al parcheggio vicino al castello, decidemmo di lasciare la macchina in basso, all'inizio del paese, e da lì iniziare la nostra passeggiata. Il tempo era bello. Il castello dominava dalla cima della collina con grazia ed eleganza rinascimentale; ma era una presenza discreta, non autoritaria, perché il benevolo corso della storia non l'aveva mai costretto ad armarsi di torri o bastioni fortificati. Le stradine e le scalinate, belle ma scomode nella loro pavimentazione arcaica, si trasformavano spesso in vicoli senza dartene a vedere.

      Talvolta, mentre seguivo Angela da un negozietto all’altro, finivamo in un cortile o in un sottoscala, senza che fosse ben chiaro il confine tra la proprietà pubblica e quella privata.

      

      

      “Sembra che tu conosca proprio bene questo paesino, a giudicare da come ti ci muovi”, osservai mentre per una bassa porticina in fondo a gradini stretti e ripidi scendevamo in una botteguccia - di cui dalla strada era visibile solo l'insegna in legno - ricavata in una specie di grotta.

      “Certamente. E ne dovresti anche sapere il perché.”

      Girando e rigirandomi nella testa il nome del castello Brini-Maniscalchi, la questione mi tornò in mente.

      “Ora ricordo. Il tuo ex abitava da queste parti."

      Mi fece un cenno di conferma col capo.

      "Era un conte, o un duca, e ti portava a spasso per il paese e nel suo castello, se non sbaglio."

      "Sbagli. Nel castello ci sono stata, ma Franco non era il conte: era solo un suo amico. Altrimenti forse starei ancora con lui."

      "Non è che hai organizzato tutto solo per rivederlo?"

      "Ma sei geloso, per caso? Guarda che non hai proprio nessun motivo di esserlo. Di lui, poi, meno che mai. Perché io la mia scelta tra voi due l'ho già fatta da tempo, e non me ne sono pentita. Comunque", aggiunse Angela che ha sempre avuto la straordinaria capacità di scrutare i miei pensieri, "puoi stare certo che non ci rovinerà la festa. Bisogna entrare in coppia; e quindi, se ci fosse, sarebbe anche lui in dolce compagnia. Ma pedante e pignolo com'è, dubito che abbia trovato un'altra disposta a sopportarlo. E poi", concluse, "visto che è una festa mascherata c'è sempre la possibilità di non riconoscerci."

      Angela riprese tranquillamente la contemplazione dei gingilli e soprammobili, in legno ed in ceramica, esposti per la vendita. E anch'io mi tranquillizzai.

      

      

      Benché non avesse rinunciato a chiedere informazioni su prezzi e come è fatto questo e a cosa serve quell'altro, mi sorpresi a notare che quel giorno, fatto quasi miracoloso, non aveva ancora acquistato nulla; né, come mi disse più tardi, aveva intenzione di farlo.

      Nel negozio, oltre a noi, in quel momento era presente solo una vecchiettina, seduta in silenzio su una seggiola in un angolo e con lo sguardo perso nel vuoto. Di sicuro non poteva essere lei la padrona, pensai. Sarà stata la mamma, o un'amica. Una presenza solo di compagnia, non certo per sorvegliare la merce: un malintenzionato avrebbe potuto svuotarle il locale sotto il naso senza che se ne accorgesse.

      "Scusi, sa dirmi quanto viene questo?", le chiese Angela evidentemente immersa in altri pensieri.

      La vecchia girò appena la testa verso di lei. "Mi dispiace, non lo so. E poi io non ci vedo più bene… sa, alla mia età! Dovrebbe chiederlo a mia figlia quando torna." E continuò: "E' davvero una bella giornata oggi. Godetevela. Sembra già primavera. In tanti anni non mi ricordo proprio un altro inverno così mite. Ma probabilmente siete qui per la festa… Ne ho sentito parlare molto, sapete. Da giorni in paese non si parla d'altro. E voi mi sembrate proprio due fidanzatini.”

      Sembrava che quella donna fosse rimasta lì, immobile da chissà quanto, in attesa che qualcuno rompesse un malvagio incantesimo rivolgendole la parola; e ora, avendo riacquistato la favella dopo anni di attesa, si sentisse in dovere di riversare con gratitudine, su chi gliela aveva restituita, tutti i pensieri inespressi per tanto tempo per via di quel sortilegio. Però devo dire che dava l'impressione di essere simpatica, e anche buona.

      “Dovete essere davvero innamorati, voi due. Io queste cose riesco a vederle, sapete. Anzi, a sentirle: perché ormai della vista mi è rimasto ben poco. Ma ho come un sesto senso. Certe cose le capisco al volo: le percepisco nell'aria. Vedo che siete una coppia felice, e che lo resterete ancora per tutta la vita. Si, tutta la vita insieme, come vi siete promessi l'un l'altro anche prima di sposarvi, quella sera d'estate sulla spiaggia, chiamando la luna piena e tutte le stelle a vostri testimoni.”

      Rimanemmo entrambi sorpresi nell’ascoltare queste parole. Angela sembrava contenta e quasi commossa, come se di nuovo, in presenza di quella specie di maga, stessimo rinnovando la nostra promessa d’amore. Io invece, non lo nego, provavo un certo fastidio, come se fossimo

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