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città seguendo un ordine, e chi invece se ne va in giro come più gli aggrada?

      “Una volta eri un buon ufficiale, Bael,” disse Ryan piano. Per un momento, almeno, i ruoli si erano invertiti – Bael era in tensione e Ryan era diventato minaccioso.

      “Certo. Lo ero” sputò Bael. “Prendevo ordini e rischiavo la vita per la cara vecchia Terra. E che cosa me ne è venuto? Una manciata di medaglie, un piccolo bonus in busta paga ogni Natale, un fondo pensione che aumenta rapidamente. Dopo un po’, Jeff, diventa tutto privo di senso. Ma non qui. La città mi vuole, ha bisogno di me. E’ stata costruita per servire la gente, per dare alla gente ciò di cui ha bisogno. Vuole solo aiutare. E’ tanto orribile?”

      “Sì che lo è —se riesce a fare ciò che ha fatto a te.”

      Bael si sforzava di recuperare l’autocontrollo. “Non combatterla, Jeff. E’ un avvertimento amichevole. La città può facilmente proteggersi contro di te. Certo, può darti sogni: ma anche gli incubi sono sogni. Non pensare di poter combattere tutti i tuoi incubi in una sola volta.” Bael si voltò e se ne andò.

      Ryan lo fissò mentre si allontanava e rimase immobile a guardare anche quando il disertore sparì dietro un edificio. Forse quelle di Bael erano solo minacce… oppure la città poteva riportare a galla incubi, oltre che sogni? Era propenso a credere alla seconda ipotesi. Di nuovo il pensiero di quanto fosse stata reale quella Dorothy: e rabbrividì. Non aveva incubi da molto tempo, eppure… eppure…

      Tirò fuori dalla tasca il comunicatore e digitò un’altra chiamata per Java-10. “Perché non hai risposto all’ultimo contatto?” rispose immediatamente la nave.

      Ryan ricordò vagamente il ronzìo proveniente dall’apparecchio durante il suo intermezzo con Dorothy. “Oh, io... mi spiace” balbettò. Poi, come un bambino colpevole di fronte a un genitore consapevole e severo, si ritrovò a sciorinare dettagli su tutto ciò che era successo dall’ultima volta che aveva parlato con la nave.

      Java-10 ascoltò tutte le sue rivelazioni senza emozioni. “Sei stato negligente nel dovere, durante questo tuo ritorno di fiamma” lo rimproverò quando ebbe finito.

      “Lo so. Non accadrà ancora.”

      “Molto bene. Ma questo non scusa il fatto che sia già successo una volta.” Poi la macchina passò ad un argomento di tutt’altro genere. “Sta iniziando a emergere un quadro coerente del funzionamento di questa città. Sembrerebbero esserci una o più potenze meccaniche che operano dietro le quinte, consapevoli di ciò che accade. Sembra ragionevole ritenere che questa potenza munita di controllo possieda una qualche sorta di capacità telepatiche che gli permettono di scoprire i desideri e proiettare illusioni in una mente.”

      “Ma deve esserci dell’altro. La sedia che ho visto era reale. Ha sostenuto il mio peso. Anche la ragazza era reale. Quelle sicuramente non sono state illusioni.”

      Java-10 esitò. Poi “Potrebbe anche essere opportuno ipotizzare un sistema di trasformazione materia-energia, così che la forza che fa funzionare la città sia anche in grado di creare materia nella forma desiderata. Tutte queste ipotesi presuppongono che i costruttori della città dispongano di sistemi incredibilmente sofisticati. Adesso diventa essenziale scoprire il segreto della città.”

      “Deve esserci un’area di controllo centrale, un posto in cui risiedono le funzioni intellettive più elevate della città. Devi cercare quest’area e renderla inoffensiva ma senza distruggerla, per poterla studiare in sicurezza.”

      “E come posso farlo?” protestò Ryan.

      “Al momento i dati sono insufficienti per poter rispondere a una domanda del genere” rispose Java-10. “Devi scoprire di più su questo sistema.”

      “Potrebbe essere pericoloso.” Ryan raccontò della minaccia di Bael riguardo agli incubi. “Non potresti mandare qualcun altro giù per aiutarmi?”

      La risposta fu immediata e crudele nella sua schiettezza. “No. Se non ci riesce un uomo solo, non ci sono proprio probabilità che ce la faccia un gruppo. Se la città vince su di te vincerà anche su chiunque altro manderemo giù. Non possiamo rischiare altre vite. Se tu fallisci, la città deve essere distrutta, indipendentemente dal suo valore.” E senza neppure augurargli buona fortuna, Java-10 staccò.

       ***

      Era pomeriggio tardi. La stella rossa che fungeva da sole per quel mondo stava tramontando, trasformandosi in una gonfia palla di sangue nell’avvicinarsi all’orizzonte. La sua luce modificava la colorazione della città e gli edifici riflettevano le macabre sfumature con un senso di strana soddisfazione e di presentimento insieme. L’onnipresente brezza ora conteneva un filo di fresco e Ryan, all’aperto, tremò involontariamente.

      Non mangiava da colazione e gli stava venendo fame dopo le strane attività della giornata. Prese una scatoletta di razioni dalla borsa di sopravvivenza

       e notò al suo fianco un grande tavolo, apparentemente imbandito per un buffet di gente di lusso. L’aroma misto e piacevole di prosciutto al forno, pollo fritto, aragosta ai ferri e bistecca alla griglia gli assalì le narici. Tra tutte quelle portate notò cumuli di crema di patate gialla di burro, e piselli, e…

      “No!” disse ad alta voce. “No, non ci riuscirete di nuovo. Mi avete ingannato una volta ma questa volta non mi faccio giocare.” Si allontanò dal tavolo.

      Il tavolo, provvisto di ruote, lo seguì.

      “Non stavolta,” ripeté. Tirò fuori una scatoletta chiusa dalle razioni e l’agitò in aria. “Stavolta ho il mio cibo. Forse non sarà appetitoso come il vostro ma almeno non ci sono fili attaccati.”

      Ryan strappò la linguetta per aprire la scatola. Sulla carne strisciavano alcuni grossi, orribili insetti neri. Istintivamente scagliò la scatola lontano. La tavola colma di cibo si avvicinò ancora.

      “D’accordo,” disse cocciuto Ryan, “e così resterò con la fame ancora alcune ore. Non mi faccio vincere tanto facilmente. Bael e gli altri possono esserti schiavi, ma non mi ci contare.”

      Quel discorsetto lo fece sentire molto orgoglioso della propria integrità. Sfortunatamente non servì affatto ad alleviare il gorgoglìo nello stomaco.

      Trova il cervello centrale della città gli aveva detto Java-10. Più facile a dirsi che a farsi. Dove doveva guardare? Il centro geografico poteva essere anche il fulcro logistico, ma come avrebbe fatto a trovarlo? Non aveva idea di dove si trovasse al momento, e anche sapendolo, non aveva indicazioni. Non potevano esserci punti di riferimento in una città in continuo cambiamento, dove gli edifici mutavano forma e colore ogni minuto.

      Dopo un attimo, Ryan decise che che una direzione valeva l’altra e iniziò a camminare. La tavola con il banchetto lo seguì come un cucciolotto allegro. Lui la ignorò, focalizzando lo sguardo dritto davanti a sé.

      Il crepuscolo diventava notte e contemporaneamente le luci prendevano vita. Non le normali luci bianche e sterili di una qualsiasi metropoli terrestre, ma una fantasmagoria di lucentezze e colori; era come se la città fosse diventata un enorme spettacolo pirotecnico. Luci di tutte le sfumature che lampeggiavano e brillavano in mescolanze regolari o casuali. Vortici e combinazioni ipnotiche che formavano striature da un edificio all’altro in elaborazioni sempre diverse. L’oscurità non aveva angoli dove nascondersi e dunque fuggiva, lasciando la città illuminata come in pieno giorno.

      Ryan ignorò le luci e proseguì.

      Alla fine la tavola che lo seguiva si dette per vinta e sparì. Uno dei primi esploratori spuntò da un edificio con una bottiglia in mano. Vedendo Ryan lo salutò di buon umore e lo invitò ad unirsi a lui.

      Ryan gli passò oltre.

      “Jeffrey!”

      A quel grido non poté far a meno di voltarsi. Lì, sulla soglia di uno dei palazzo, c’era sua madre, morta da quattro anni. Aveva i capelli lunghi come andava di moda quando Ryan aveva tre anni, ma il viso era quello della vecchiaia. Gli tese la mano. “Vieni da me, figlio”

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