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      E quei bottoni

      caduti fra le rose

      seminerebbero alberi

      con maniche al posto di rami

      o verrebbero creduti navi aliene

      da formiche e falene.

      Mi sfilerò la spina dorsale

      e la metterò a sostenere piante di pomodori

      o me la toglierò per provar l’ebbrezza

      di sentirmi sacco vuoto

      dopo una vita passata da polena

      col petto in fuori

      a schivar colpi e tempeste

      Diventerò grumo informe

      dove i miei organi possano finalmente stringersi la mano

      dopo aver lavorato per anni in uffici separati

      senza incontrarsi neppure

      davanti alla macchina per il caffé

      dei miei occhi chiusi per sonno.

      Movimenti notturni nel mio giardino

      e brezze siderali

      le radici degli alberi cercano tane di talpe

      da calzare come guanti neri

      Il firmamento è un armadio lasciato aperto

      con stelle buchi di tarma

      Senti questo vento

      quanto assomiglia agli oscuri bisbigli

      che captavamo sulla strade di Patmos

      questo soffio continuo

      che fa ondeggiare come tergicristalli

      le fronde dei miei salici con le cetre attaccate

      che paiono ramazzare via le stelle

      ammucchiandole in un angolo del cielo

      in attesa della scopa di raggi di sole

      e la paletta del mio guanciale.

      Ho strappato la falce alla Morte

      per aggiustare il prato

      per il nostro pic nic di domani

      Ti preparerò un’insalata di fogli di calendari

      e quadranti d’orologi

      perché dentro al tuo seno

      possa albergare una rampa di lancio

      per i nostri viaggi infiniti

      Ci sarà una tovaglia piena di cibi

      e vino a volontà

      che il mio vicino Tyco Brahe

      ha prodotto tra sestanti e numeri scritti a matita

      sarà una festa con canti rauchi di roveti

      con scatole di biscotti

      piene di rotaie da metterci ai piedi

      e amici invisibili che ci faranno stare bene

      Ma ora, con questa falce in mano

      in mezzo al buio

      m’inebrio ancora dell’odore acre di incendi lontani

      e delle nozze di ferro e cemento

      dell’autostrada vicina

      seguo la rotazione del mondo

      dentro al mio giardino

      con la luna che scompare e riappare

      dietro i ciliegi.

      Il cancello grida la sua voglia di grafite

      alle lampade che ballano attorno alla veranda

      Sono convinto che ci sia qualcosa tra loro

      tra la sua voglia di staccarsi dai cardini

      e la loro ansia di sputare fuori il cuore di tungsteno

      Movimenti notturni nel mio giardino

      e vertigini abissali

      mi sembra quasi di nuotare nel cono di un vulcano

      o nel lavabo di un gigante

      quando misuro di notte la bellezza della vita.

      2

      Aperitivo in centro

      Il mio cuore è una sedia vuota

      dove nessuno si vuol sedere

      e il cervello una spugna fradicia

      che gli angeli strizzano nel tuo bicchiere

      E quel tuo sguardo d’ossidiana rovente

      che ti scivola lungo il naso fino a farsi bacio

      e più giù, fino alle nostre ginocchia

      che si toccano, si evitano

      scambiandosi desideri d’ossa e sinoviti

      Aperitivo in centro

      e non so che cosa dire

      Tavolino, piattini, seni sotto il maglione, orlo di bicchieri:

      è un delirio di rotondità che sfugge

      e falena sbatte contro i vetri del tuo silenzio

      La strada balla veloce sulla coda dei nostri occhi

      Le dita sono ganci per appendere i tuoi sorrisi

      Dammi una parola da incorniciare stasera sopra il mio letto

      ché è stufo, sai,

      delle lacrime di madonne

      e dello stillicidio di stigmate perenni

      Dammi i tuoi piedi

      e magari sdoppiali

      così che li possa far calzare al tavolo di cucina

      e baciarli ad ogni prima colazione

      inginocchiandomi in orazione laica e carnale

      Oppure alzati, andiamo.

      Apri quel compasso abbronzato

      che fu usato per tracciare l’equatore

      Contro il tramonto

      il tuo profilo nero

      s’intreccia con la stenografia delle cime di colline

      e ogni tuo passo è un punto esclamativo.

      Lasciami essere camicia

      sotto il ferro rosso della tua lingua

      Lasciami essere mare

      per le tue mani seppie

      gonfie d’inchiostro e certezze

      E questa notte ascolterò il gioco d’arpa dei tuoi piedi sottili

      tra le lenzuola e le fiamme

      e chiuderò i tuoi palmi

      dopo averci letto

      l’ultimo indimenticabile capitolo

      della mia giornata.

      Lascia che sia io ad aprire la porta dei tuoi sogni

      prima di posare

      i miei occhi sul comodino

      e il mondo sulle spalle di Atlante.

      3

      Sono

      Sono l’apostolo lasciato fuori dall’Ultima Cena

      Sono il garibaldino arrivato troppo tardi allo scoglio di Quarto

      Sono il Messia di una religione in cui nessuno crede

                  Io sono l’escluso, l’outsider, il maledetto che non cede

      Sono il protagonista che muore nella prima pagina

      Sono il gatto guercio che nessuna vecchia vuol carezzare

      Sono la bestia idrofoba

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