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al giuoco grosse somme; questo vizio divenne per lui una vera passione, e si rovinò. Ne parlai con interesse ai di lui parenti, i quali mi assicurarono che le loro ammonizioni essendo state inutili, erano stanchi di farne. Seppi in seguito che pe' suoi talenti era stato iniziato nei segreti della professione del giuoco, e che aveva avuta la sua parte in certi ignominiosi profitti.

      – È impossibile, » sclamò Emilia; « ma perdonatemi, signore, non so quel che mi dico; perdonate al mio dolore: io credo, e debbo credere che foste male informato: il cavaliere ha senza dubbio nemici che hanno esagerato questi rapporti.

      – Vorrei crederlo, ma nol posso; mi son deciso a parlarvene soltanto per l'interesse che prendo alla vostra felicità, e dietro mia piena convinzione. »

      Emilia taceva, e rammentavasi le parole di Valancourt, che avevano scoperto tanti rimorsi, è sembravano confermare i detti del conte; non aveva però il coraggio di convincersene, ed il suo cuore era oppresso dall'angoscia. Dopo una lunga pausa Villefort soggiunse:

      « Mi accorgo dei vostri dubbi, e li trovo naturali; è giusto ch'io vi dia la prova di quanto ho detto, eppure nol posso senza esporre qualcuno a me sommamente caro.

      – Cosa temete, signore? » disse Emilia; « se posso prevenirlo; affidatevi al mio onore.

      – Mi affido senza dubbio all'onor vostro, ma posso io fidarmi egualmente del vostro coraggio? Credete voi di poter resistere alle preghiere di un amante corrisposto, che, nel suo dolore, vorrà sapere il nome di chi lo priva della sua felicità?

      – Non sarò esposta a questa tentazione, signore, » disse Emilia, con nobile fierezza, pur reprimendo a stento le lagrime; « non potrei continuare ad amare una persona che non posso più stimare, e perciò vi do la mia parola d'onore.

      – Vi dirò dunque tutto; la convinzione è necessaria alla vostra futura pace, e la mia intiera confidenza è il solo mezzo per procurarvela. Enrico, il figlio mio, è stato troppo spesso testimone della cattiva condotta del cavaliere: vi fu quasi trascinato anche lui, e si abbandonò a mille stravaganze; ma riuscii a preservarlo dalla perdizione. Giudicate ora, signora Emilia, se un padre, a cui l'esempio del cavaliere ha quasi traviato l'unico figlio, non abbia un titolo bastante per avvertire quelli ch'egli stima, di non affidare la loro felicità in tali mani. Ho veduto io stesso il cavaliere impegnato nel giuoco con tai persone, che fremo al solo rammentarle; se ne dubitate ancora potete informarvi meglio da mio figlio.

      – Non dubito, o signore, dei fatti dei quali foste testimone, o che affermate, » disse Emilia, soccombendo al suo dolore; « il cavaliere si sarà forse abbandonato ad eccessi nei quali non cadrà più; se aveste conosciuto la purità dei suoi primi principii, potreste scusare la mia attuale incredulità.

      – Aimè! quanto è difficile il credere ciò che ci affligge! ma non voglio consolarvi con false speranze… Noi sappiamo tutti quale attrattiva abbia la passione del giuoco, e quanto sia difficile il vincerla. Il cavaliere si correggerebbe forse per un certo tempo, ma tornerebbe ben presto a ricadere nella funesta sua inclinazione. Temo la forza dell'abitudine, temo anzi che il suo cuore sia già corrotto. E perchè dovrei nascondervelo? Il giuoco non è il suo unico vizio; pare ch'egli abbia preso il gusto di tutti i piaceri vergognosi. »

      Qui il conte ammutolì; Emilia, addolorata, sentendosi quasi mancare, aspettava ciò che aveva ancora da dirle. Villefort, visibilmente agitato, continuò: « Sarebbe una delicatezza crudele se persistessi a tacerlo; per due volte, le stravaganze del cavaliere lo trassero nelle carceri di Parigi, d'onde è uscito, a quanto mi fu accertato da persone degne di fede, la mercè d'una certa contessa notissima, e colla quale viveva tuttavia quand'io partii da Parigi. »

      E cessò di parlare; guardando Emilia, si accorse che cadeva svenuta, e s'affrettò a soccorrerla. Passò qualche tempo prima ch'ella potesse riaversi: allora si trovò fra le braccia, non già del conte ma di Valancourt, il quale l'osservava con occhio smarrito, volgendole la parola con voce tremante. Al suono di quella voce tanto nota, Emilia aprì gli occhi, ma li rinchiuse tosto, e svenne di nuovo.

      Il conte, con un'occhiata severa, fe' segno al giovane di allontanarsi. Questi non fece che sospirare e chiamare Emilia presentandole acqua. Il conte ripetè il suo gesto, e l'accompagnò con qualche parola; Valancourt rispose con uno sguardo risentito, ricusò di abbandonare il suo posto, finchè Emilia non fosse rinvenuta, e non permise ad alcuno di avvicinarsele; ma nell'istante parve che la sua coscienza l'informasse del soggetto dell'abboccamento del conte e di Emilia: i suoi occhi si accesero di sdegno, che fu tosto represso dall'espressione d'un profondo dolore: il conte, osservandolo, fu mosso a pietà più che ad ira. Emilia, ripreso l'uso dei sensi, si mise a piangere amaramente, ma facendosi coraggio ringraziò il conte ed Enrico, con cui Valancourt era entrato nel parco, e s'avviò al castello, senza dir nulla a quest'ultimo. Colpito nel cuore da tal condotta, egli esclamò: « Gran Dio! In qual modo ho io meritato questo trattamento? Che vi hanno detto per cambiarvi a tal punto? » Emilia, senza rispondere, ma sempre più commossa, raddoppiava il passo.

      « Accordatemi pochi minuti di colloquio, » le diss'egli avanzandosi al di lei fianco, « ve ne scongiuro: io sono infelice. »

      Quantunque avesse parlato sottovoce, il conte lo intese, e replicò che Emilia era troppo indisposta, onde poter parlare con alcuno, ma che ardiva accertare ch'ella avrebbe veduto il signor Valancourt il dì seguente se fosse stata meglio. Il giovane arrossì, guardò Villefort con fierezza, quindi Emilia con espressione di dolorosa sorpresa, poi raccogliendosi alquanto, soggiunse:

      « Ebbene, verrò, signora; approfitterò del permesso del signor conte. »

      E fatto un leggiero inchino, si allontanò.

      Appena rientrata nel suo appartamento, Emilia fu agitata da mille pensieri rammentandosi il racconto di Villefort. Talora credea che avessero falsamente accusato Valancourt, parendole impossibile che quel carattere sì franco e leale avesse potuto avvilirsi e cadere sì basso. Tal altra dubitava perfino della buona fede del conte, supponendolo spinto da motivi segreti a rompere la sua relazione con Valancourt; ma, riflettendoci, respingeva di poi siffatto pensiero. In ogni modo sentiva il peso della sua sventura. In mezzo al tumulto de' contrari affetti, si rammentò la semplicità dimostrata da Valancourt la sera precedente. Se avesse potuto dar ascolto al cuore, ne avrebbe sperato bene. Non poteva risolversi ad allontanarsi da lui per sempre, prima di avere acquistata una prova più convincente della sua cattiva condotta.

      Infine deliberò di tornare al convento per passarvi due o tre giorni. Nello stato in cui si trovava, la società le diveniva insopportabile. Sperava che la solitudine del chiostro e la bontà della badessa l'aiuterebbero a riprendere qualche impero su sè medesima, ed a sostenere lo scioglimento che pur troppo prevedeva. Le pareva che sarebbe stata meno afflitta se Valancourt fosse morto, o s'egli avesse sposato qualche rivale. Ciò che la riduceva alla disperazione, era il vedere l'amante disonorato e coperto d'obbrobrio, costringendola così a strapparsi dal cuore un'immagine sì lungamente adorata.

      Le triste riflessioni vennero interrotte da un biglietto di Valancourt, il quale, dipingendo il disordine dell'anima sua, la scongiurava di riceverlo quella sera medesima, anzichè la mattina. Provò essa tanta agitazione, che non ebbe la forza di rispondere: desiderava vederlo, per uscire da quello stato d'incertezza. Recatasi dal conte, gli domandò consiglio. Villefort le rispose che, se credeva avere forza bastante da sopportare questa scena, credeva utile ad ambedue di accelerarla.

      La fanciulla rispose all'amante che acconsentiva a vederlo, e procurò in seguito di raccogliere le forze ed il coraggio di cui aveva tanto bisogno per sostenere un colloquio che doveva distruggere le sue più dolci e care speranze.

      CAPITOLO XL

      Allorchè vennero ad avvertire Emilia che Villefort desiderava vederla, s'immaginò che vi fosse Valancourt. Nell'avvicinarsi al gabinetto del conte, la sua emozione divenne sì forte, che, non osando mostrarsi, si trattenne in sala per riaversi. Rimessasi alquanto, entrò, e trovò Valancourt seduto presso il conte. Si alzarono ambidue, e quest'ultimo si ritirò.

      Emilia stava cogli occhi bassi, non potendo parlare, e respirando appena. Valancourt le sedette vicino; sospirava, e taceva. Finalmente, con voce tremante disse: « Desiderai vedervi stasera per uscire almeno dall'orribile

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