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storia di Bisanzo furono per me narrate l'ipocrisia, l'ambizione, la tirannide e la caduta di Andronico, ultimo rampollo della dinastia Comnena che in Costantinopoli abbia regnato. La tempesta politica che balzò dal trono costui, salvò la vita, e fu cagione d'innalzamento ad Isacco l'Angelo, che per linea femminina dalla stessa stirpe scendea24. Al successore di un secondo Nerone non doveva esser difficile il meritarsi l'affetto, e la stima de' sudditi; eppure qualche volta i Greci il governo di Andronico ebbero ad augurarsi. Almeno questo tiranno, fornito di molto ingegno e di fermo animo, seppe scorgere quai vincoli il suo interesse a quello del popolo collegassero; e solertissimo nel far tremare coloro che gli davano ombra, governò per altro in modo che gli oscuri privati, e le lontane province benedivano la rigorosa giustizia del loro sovrano. Ma il successore di Andronico, vano e geloso del potere supremo acquistato, mancava e del coraggio e dell'ingegno che ad adoprarlo erano nccessarj: i vizj di costui funesti divennero ai sudditi; inutili, se pur ne ebbe qualcuna, le sue virtù. I Greci che alla costui negligenza tutte le calamità dello Stato apponeano, gli negarono persino il merito de' vantaggi passeggieri, o accidentali che durante il suo regno godettero. Sonnacchioso sul trono, la sola voce del piacere lo ridestava, consagrando tutte le sue veglie a turbe di commedianti e buffoni, ai quali ancora oggetto di sprezzo rendeasi. Il lusso delle feste da esso ordinate e de' suoi edifizj, superava ogni pompa di cui altra Corte avesse sfoggiato giammai; aveva eunuchi e domestici fino al numero di ventimila, e il mantenimento della mensa e della casa, meno di quattromila lire d'argento, ossia di quattro milioni sterlini annuali non gli costava; a soddisfare le proprie voglie non conoscea che una via; opprimere il popolo, che irritavano egualmente e le vessazioni operate nel riscotere le pubbliche rendite, e l'uso che di queste rendite si faceva alla Corte. Intantochè i Greci numeravano i giorni della loro schiavitù, un Profeta che in guiderdone del suo profetare ottenne da Isacco il Patriarcato, gli predisse, che durante un regno felice di trentadue anni avrebbe esteso sino al monte Libano i confini dell'impero, le sue conquiste oltre l'Eufrate. Ma il solo atto ch'ei fece per verificare una simile predizione, fu quello di spedire un'ambasceria scandalosa quanto superba a Saladino25, chiedendogli la restituzione del Santo Sepolcro, e proponendo una lega offensiva e difensiva a questo nemico del nome cristiano. Fra le indegne mani d'Isacco, e del fratello di lui, gli avanzi del greco Impero ebbero l'ultimo crollo. L'isola di Cipro, il cui nome ridesta le idee di dolcezza e di voluttà fu invasa da un Principe della dinastia de' Comneni; e per un singolare accordo di circostanze, il valore di Riccardo d'Inghilterra trasportò nella Casa di Lusignano questo reame, compenso ben abbondante della perduta Gerusalemme.

      A. D. 1186

      La ribellione de' Valacchi e de' Bulgari, quanto di ignominia alla monarchia, altrettanto di inquietudine portò alla capitale. Dopo la vittoria di Basilio II, questi popoli si erano serbati sommessi ai principi di Bisanzo, sommessione per vero dire che non recava ai vassalli grande molestia; ma niuno avea mai fatta la pruova di ridurre efficacemente sotto il giogo de' costumi e delle leggi quelle selvagge tribù. Per ordine di Isacco l'Angelo, vennero private del solo modo di sussistenza che avessero, delle loro greggie, che vennero adoperate alla pompa delle nozze dell'Imperatore. Indi il rifiuto di pareggiarli nello stipendio e nel grado agli altri soldati dell'Impero, gli animi di que' guerrieri indocili affatto irritò. Pietro e Asan, due possenti Capi della stirpe degli antichi Re26, si eressero in difensori de' proprj diritti e della pubblica libertà: i fanatici, che ad essi prestarono l'uffizio di predicatori, bandirono alle genti che il glorioso S. Demetrio loro avvocato, avea sempre abbandonate le parti de' Greci: laonde la ribellione dalle sponde del Danubio ai monti della Tracia e della Macedonia si dilatò. Dopo alcuni sforzi inutili per sedarli, Isacco e il fratello d'Isacco riconobbero la loro independenza; perchè fin sulle prime, le truppe imperiali si scoraggiarono alla vista dei teschi e de' brani de' lor confratelli, lungo le gole del monte Emo dispersi. Il valore e la politica di Giovanni o Giovannizio, fondarono sopra salde basi il secondo regno de' Bulgari. Questo accorto Barbaro spedì un'ambasciata ad Innocenzo III, riconoscendosi per nascita e religione figlio di Roma27, e supplicando umilmente il Pontefice a concedergli la facoltà di battere moneta, il titolo di Re, e un arcivescovo o Patriarca latino. Nel quale intento essendo egli riuscito, il Vaticano riportò il trionfo di una nuova conquista, che fu la prima origine dello scisma; poichè, se ai Greci fosse rimasta la loro preminenza sulla Chiesa di Bulgaria, alle pretensioni della sovranità avrebbero, senza dolersene, rinunziato.

      A. D. 1195-1203

      I Bulgari, odiando, come odiavano, l'Impero greco, doveano sopra ogni cosa pregare il Cielo che durasse il regno d'Isacco l'Angelo, divenuto il miglior mallevadore della loro prosperità o independenza. Nondimeno i Capi de' Bulgari nella cecità del loro astio avevano egualmente a vile e la nazione greca, e l'imperiale famiglia. «Non son nati in Grecia? diceva Asan ai propri soldati. Il clima, l'animo, l'educazione sono sempre i medesimi, e produrranno sempre i medesimi effetti. Vedete voi in cima alla mia lancia queste lunghe banderuole che ondeggiano a grado del vento; non differiscono che nel colore: composte di una seta stessa, lavorate dalle stesse mani, quelle che sono tinte in color di porpora non hanno maggior prezzo o valore dell'altre28». Il Regno di Isacco, vide sorgere e cadere molti pretendenti all'Impero: un generale che avea respinte le flotte dei Siciliani, dall'ingratitudine del Monarca venne trascinato alla ribellione, indi alla propria rovina: sommosse e segrete congiure, più d'una volta turbarono i sonni del principe voluttuoso. Per più riprese salvato o dal caso, o dalla sollecitudine de' suoi domestici, soggiacque finalmente alle trame d'un ambizioso fratello, che per guadagnarsi il possedimento precario di un vacillante trono, i sentimenti della fedeltà, della natura ed ogni riguardo d'affetto dimenticò29. Intantochè Isacco si diportava pressochè solo cacciando nelle ville della Tracia, Alessio, in mezzo al campo e fra gli applausi di tutto l'esercito, vestì la porpora; scelta che la capitale e il clero approvarono. Schifo per vanità del nome dei padri suoi, il nuovo Sovrano assunse il più pomposo della famiglia real de' Comneni. Non mi restano espressioni obbrobriose per contrassegnare Alessio dopo quelle che per dipingere Isacco adoprai: unicamente aggiugnerò che l'indegno usurpatore30 durò otto anni sul trono, e ne dovette grazia ai meno effeminati vizj della sua moglie Eufrosina. Solo al vedersi inseguito, come un nemico, dalle infedeli sue guardie imperiali, del suo disastro avvidesi Isacco: e corse fuggendo, all'aspetto de' suoi persecutori, fino a Stagira in Macedonia, cammino di circa cinquanta miglia; ma abbandonato a sè stesso e privo di soccorsi l'infelice Isacco, non potè al suo destino sottrarsi. Arrestato, condotto a Costantinopoli, privato degli occhi, e confinato in una solitaria torre, solo pane ed acqua ivi furono il suo nudrimento. Nel tempo di tale catastrofe toccava soltanto il dodicesimo anno Alessio figlio d'Isacco, che crescea nella speranza di succedere al regno. La fanciullezza di lui trovò grazia presso il tiranno, che lo serbò, e nella pace, e nella guerra, a decorare la pompa del proprio corteggio. Essendo accampato in riva al mare l'esercito greco, una nave italiana favorì la fuga del giovine principe, che, sotto abito di marinaio, involatosi alle indagini de' nemici, passò l'Ellesponto, nè tardò a trovarsi, immune da pericolo, sulle coste della Sicilia. Dopo essersi indi condotto a salutare la dimora de' Santi Appostoli e ad implorare la protezione di Papa Innocenzo III, cedè Alessio agl'inviti della sua sorella, Irene moglie di Filippo di Svevia, Re de' Romani. Ma attraversando l'Italia, intese come il fiore de' cavalieri d'Occidente, nella città di Venezia assembrato, a veleggiare alla Terra Santa accigneasi: onde gli nacque in cuore un raggio di speranza, che l'armi invincibili de' Crociati tornassero il padre suo sul trono che gli era stato rapito.

      A. D. 1198

      Dieci o dodici anni all'incirca dopo la perdita di Gerusalemme, i Nobili della Francia vennero nuovamente alla guerra santa eccitati per la voce di un terzo Profeta, meno stravagante di Piero l'Eremita, per vero dire, ma che in politica ed eloquenza a S. Bernardo di gran lunga cedea. Un prete ignorante nato ne' dintorni di Parigi, Folco di Neuilly31 abbandonò il servigio della sua parrocchia per sostenere la parte più seducente di missionario ambulante e di predicatore del popolo: la fama della sua santità e de' suoi miracoli si diffuse; veementemente declamava contro i vizj del secolo, e i sermoni che per le pubbliche vie di Parigi

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<p>24</p>

Il senatore Niceta ha composta in tre libri la storia del regno d'Isacco l'Angelo, p. 228-290, e pensando che ei fu Logoteto ossia primo Segretario e Giudice del Velo, o del palagio, grande imparzialità non ci possiamo aspettare da lui. Gli è però vero che sol dopo la caduta e la morte del suo benefattore, questa storia avea scritta.

<p>25</p>

V. Boadino (Vit. Saladin, pag. 129-131-226, traduzione dello Sculthens). L'ambasciadore d'Isacco parlava indifferentemente il francese, il greco e l'arabo, cosa che in quel secolo può riguardarsi come un fenomeno. Il messaggio del Greco trovò alla Corte del Sultano accoglienza onorevole, ma il molto scandalo che produsse nell'Occidente ne fu il solo effetto.

<p>26</p>

Ducange, Fam. Dalmat. p. 318, 319, 320. La corrispondenza tra il Pontefice romano e il Re de' Bulgari, leggesi nell'Opera Gesta Innocentii III, c. 66-82, p. 513-525.

<p>27</p>

Il Papa riconobbe questa origine italiana di Giovannizio. A nobili urbis Romae prosapia genitores tui originem traxerunt. Il d'Anville (Etats de l'Europe, p. 258-262) spiega questa tradizione, e la grande somiglianza che si ravvisa fra la lingua latina e l'idioma de' Valacchi. Il torrente delle migrazioni avea trasportate dalle rive del Danubio a quelle del Volga le colonie poste da Traiano nella Dacia; e una seconda ondata dal Volga al Danubio, giusta il d'Anville, le avea ricondotte. La cosa è possibile, ma si toglie molto dall'ordinario.

<p>28</p>

Questa parabola non disdice, per vero dire, allo stil di un Selvaggio; ma piaciuto sarebbemi che il Valacco non vi avesse frammessi il nome classico de' Misj, le esperienze della calamita, e la citazione di un antico poeta comico (Niceta, in Alex. Com. l. 1, p. 299-300).

<p>29</p>

I Latini aggravano l'ingratitudine di Alessio supponendo che Isacco lo avesse liberato dalla schiavitù in cui lo tenevano i Turchi. So che questo patetico racconto è stato spacciato a Venezia ed a Zara, e non ne trovo orma in alcuno degli Storici greci.

<p>30</p>

V. il regno d'Alessio l'Angelo o Comneno ne' tre libri di Niceta, p. 291-352.

<p>31</p>

V. Fleury, Hist. eccles. t. XVI, p. 26 ec., e Villehardouin n. 1, colle osservazioni del Ducange, non mai disgiunte dal testo originale di cui mi valgo.