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la sua femmina somministra una quantità considerabile d'un latte nudritivo; quando è in tenera età la carne ha il sapor del vitello13; si ricava dall'orina un sale prezioso; i suoi escrementi suppliscono alle materie combustibili; e il suo lungo pelo, che cade e si rinova ogni anno, lavorato grossolanamente serve al vestire, al mobigliamento e alle tende de' Beduini. Nella stagione piovosa si nutre della poca erba del deserto; negli ardori della state e nella penuria del verno le tribù s'accampano sulla costa del mare, sulle colline dell'Yemen, o ne' contorni dell'Eufrate, e spesse volte si trasferirono, non senza rischio, sino alle sponde del Nilo e ne' villaggi della Siria e della Palestina. La vita d'un Arabo vagabondo è tutta pericolo e miseria; e benchè si procacci talvolta colle rapine, o colle permute, i frutti dell'industria, un semplice particolare in Europa col suo lusso trova godimenti assai più sodi e piacevoli di quelli che possa ottenere il più altiero Emir, ricco d'un armento di diecimila cavalli.

      Si osserva per altro una differenza essenziale tra le masnade, o sia orde della Scizia, e le tribù Arabe; parecchie di quest'ultime si adunarono in borgate, e si diedero al traffico e all'agricoltura. Impiegavano una parte del tempo e dell'industria nelle cure del bestiame; tanto in guerra che in pace si mischiavano coi loro fratelli del deserto; e queste utili pratiche procacciarono a' Beduini qualche mezzo da sovvenire a' bisogni, e diedero loro qualche sentore d'arti e di scienze. Le più antiche e più popolate delle quarantadue città dell'Arabia14, indicate da Abulfeda, appartenevano all'Arabia Felice; le torri di Saana15, e il mirabile serbatoio di Merab erano opera del re degli Omeriti16; ma questa gloria profana era oscurata e vinta da' fasti profetici di Medina17, non che della Mecca18, situate presso il mar Rosso, lontane l'una dall'altra dugencinquanta miglia: era l'ultima di queste città sante conosciuta da' Greci sotto il nome di Macoraba, e la desinenza della parola ne denota la vastità, che peraltro, nell'epoca più florida, non sorpassò mai l'ampiezza, nè la popolazione di Marsiglia. Convien dire che un occulto motivo, forse nato da qualche superstizione, determinasse i fondatori a prescegliere una situazione tanto infelice. Fabbricarono le abitazioni di melma, o di pietra, sopra un piano lungo due miglia circa, e largo d'un miglio, alle falde di tre monti sterili. Il suolo è roccia; l'acqua, non esclusa quella del santo pozzo di Zemzem, è amara o salmastra; i pascoli remoti dalla città, e l'uva che si mangia viene da' giardini di Tayef, che sono lontani sessantasei miglia. Si segnalavano fra le diverse tribù Arabe i Koreishiti che regnavano alla Mecca, per la riputazione, e il valore; ma nel mentre che la trista qualità del terreno era ritrosa all'agricoltura, erano essi collocati in luogo vantaggioso per trafficare. Col mezzo del porto di Gedda, distante solo quaranta miglia, manteneano un'agevole corrispondenza coll'Abissinia, e questo regno cristiano fu il primo asilo de' discepoli di Maometto. Si trasportavano i tesori dell'Affrica a traverso della penisola a Gerrha, o Katif, città della provincia di Bahrein, edificata da' fuorusciti della Caldea, i quali, è fama, impiegarono per materiali una rocca di sale19. Si conduceano di poi, colle perle del golfo Persico, su le zattere, sino alla foce dell'Eufrate. Giace la Mecca quasi in pari distanza, cioè trenta giornate di viaggio lontana dall'Yemen che le sta a destra, e dalla Siria posta su la sinistra. Quelle caravane posavano il verno nell'Yemen, la state nella Siria, e l'arrivo loro dispensava i vascelli dell'India dalla noiosa e difficile navigazione del mar Rosso. I cammelli de' Koresheiti ritornavano da' mercati di Saana e di Merab, e da' porti di Oman e d'Aden, carichi d'aromi preziosi. Le fiere di Bostra e di Damasco fornivano biada alla Mecca, e lavori dell'industria loro: queste lucrose permute portavano l'abbondanza e la ricchezza nelle contrade di quella città, e i più nobili de' suoi figli accoppiavano l'amor delle armi alla profession del commercio20.

      I forestieri e i nativi del paese discorsero con grandi elogi dell'independenza perpetua degli Arabi, e parecchi artificiosi controversisti hanno trovato21 in quello stato singolare, ma naturale, una profezia ed un miracolo in favore della posterità d'Ismaele22. Parecchi fatti che non si ponno nè dissimulare, nè eludere, rendono imprudente e superflua questa maniera di ragionare: il regno d'Yemen fu soggiogato ora dagli Abissini, ora da' Persiani, ora da' Soldani d'Egitto23, e da' Turchi24: le città sante della Mecca e di Medina varie volte furono soggette a un tiranno Tartaro, e la provincia romana d'Arabia25 comprendea particolarmente il deserto ove Ismaele e i suoi figli alzarono probabilmente le loro tende in faccia a' fratelli. Ma questa servitù non fu che passeggera o locale; il Corpo della nazione sfuggì all'impero delle più possenti monarchie. Sesostri e Giro, Pompeo e Traiano, non valsero a terminare la conquista dell'Arabia; e se il moderno sovrano de' Turchi26 esercita una giurisdizione apparente, il suo orgoglio è ridotto a domandare l'amicizia d'un popolo che provocato è terribile, e che invano si assale. È cosa evidente che la libertà degli Arabi dipende dalla lor indole e dalla qualità del paese. Per molte generazioni, prima di Maometto27, aveano le contrade circonvicine provato con grave danno l'intrepido valore di quelli nella guerra offensiva e nella difensiva. Seguendo le abitudini e la disciplina della vita pastorale, gli uomini si conformano a poco a poco alle pazienti e operose virtù del soldato. La cura delle pecore e de' cammelli è lasciata alle donne della tribù; ma la gioventù bellicosa, sempre a cavallo, armata ed unita sotto la bandiera dell'Emir, s'esercita a scagliar dardi, a maneggiar la chiaverina e la scimitarra. La memoria della lunga loro independenza è la testimonianza più certa per provarne la durata; ogni generazione novella si sente infiammata dalla brama di mostrarsi degna de' suoi antenati, degna di conservare l'eredità del valore che gli fu trasmesso. All'avvicinarsi d'un comune nemico rimane sospesa ogni lite domestica; nelle ultime ostilità contro i Turchi, ottantamila confederati assalirono, e rubarono la caravana della Mecca. Marciano alla battaglia forti della speranza di vincere, e si conducono dietro quanto occorre ad assicurare la ritratta. I lor cavalli, e i cammelli, che in otto o dieci giorni possono correre quattro o cinque cento miglia, si dileguano rapidamente davanti al vincitore; le acque occulte del deserto ne eludono ogni ricerca, e le schiere vittoriose son costrette a languire di fame, di sete, di stenti inseguendo un nemico invisibile, che, ridendosi degli sforzi ostili, riposa sicuro in seno all'ardente sua solitudine. Nè solamente le armi e i deserti de' Beduini ne francheggiano la libertà; essi sono una barriera per l'Arabia Felice, gli abitanti della quale lontani dal teatro della guerra sono snervati dal clima e dall'abbondanza del suolo. Dalle fatiche e dalle malattie furono distrutte le legioni d'Augusto28, nè mai si giunse, fuorchè per mare, a sottomettere l'Yemen. Quando Maometto29 inalberò il suo sacro Vessillo30, era quel regno una provincia del reame di Persia; ma regnavano tuttavia nelle montagne sette principi degli Omeriti, e il luogotenente di Cosroe si indusse a dimenticare la patria, e il suo sciagurato padrone. Gli storici del secolo di Giustiniano ci espongono lo stato degli Arabi independenti, che parteggiarono secondo l'interesse e l'inclinazione propria nella lunga guerra dell'Oriente: fu permesso alla tribù di Gassan l'accamparsi sul territorio di Siria, ed a' principi di Hira l'edificare una città circa quaranta miglia al mezzodì dalle ruine di Babilonia. Spediti erano e vigorosi nelle fazioni militari, ma venali nell'amicizia, incostanti nella fedeltà, capricciosi negli odii: era più facile l'attizzare questi Barbari erranti che il disarmarli, e nella familiarità che si acquista con chi guerreggia, imparavano a conoscere e a dispregiare l'altiera debolezza di Roma e della Persia. Da' Greci e da' Latini le tribù Arabe, disseminate fra la Mecca e l'Eufrate31, erano confuse sotto il nome generale di Saraceni32, cui sino dall'infanzia ogni cristiano apprendeva a pronunciare con orrore e spavento.

      Quando gli uomini vivono sommessi ad una tirannide interna, invano si rallegrano della lor nativa independenza; ma l'Arabo

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<p>13</p>

Qui carnibus camelorum vesci solent odii tenaces suntdiceva un medico Arabo. (Pocock Specimen p. 88.). Maometto stesso, che amava molto il latte della femmina di questo quadrupede, preferiva la vacca, e non ha fatto menzion del cammello; ma il vitto alla Mecca e a Medina era già meno frugale (Gagnier, Vie de Mahomet, t. III. p. 404).

<p>14</p>

Marciano d'Eraclea (in Perip., p. 16, in t. I; de Hudson, minor Geograph.) noverava cento sessantaquattro città nell'Arabia Felice. Poca per altro poteva esserne l'estensione, e forse grande la credulità dello scrittore.

<p>15</p>

Albufeda (in Hudson, t. III, p. 54) paragona Saana a Damasco: anche oggi è la residenza dell'Iman dell'Yemen (Voyages de Niebuhr, t. I. p. 331-342). Saana è distante ventiquattro parasanghe da Dafar (Abulfeda, p. 51), e sessantotto da Aden (p. 53).

<p>16</p>

Pocock, Specimen, p. 57; Geograph. Nubiensis, p. 52. Meriaba, o Merab, che avea sei miglia di circonferenza fu distrutta dalle legioni d'Augusto (Plinio Hist. nat. VI, 32); e non era per anche risorta nel secolo sedicesimo (Albufeda Descript. Arab., p. 58).

<p>17</p>

Il nome di Medina fu dato κατ’ εξοχην, per eccellenza, a Yatreb (la Iatrippa de' Greci), ove risiedeva il Profeta. Albufeda fa il computo (p. 15) delle distanze da Medina per istazioni, o giornate d'una caravana; ne conta quindici sino a Bahrein, diciotto a Bassora, venti a Cufah, venti a Damasco o alla Palestina, venticinque al Cairo, dieci alla Mecca, trenta dalla Mecca a Saana, o Aden, e trentun giorni, o quattrocento dodici ore, sino al Cairo (Voyages de Shaw, p. 477); e secondo il calcolo del d'Anville (Mesures itinéraires, p. 99), una giornata di cammino era di circa 25 miglia inglesi. Plinio (Hist. nat. XII, 32) contava sessanta cinque stazioni di cammelli dal paese dell'incenso (Hadramaüt, nell'Yemen, fra Aden, e il capo Fartasch) sino a Gaza nella Siria. Queste misure possono aiutare la fantasia e dar lume a' fatti.

<p>18</p>

Fa d'uopo ricorrere agli Arabi per sapere quel che si può della Mecca (d'Herbelot, Bibl. orient. p. 368-371; Pocock, Specimen, p. 125-128; Abulfeda, p. 11-40). Non essendo permesso a' miscredenti l'entrarvi, i nostri viaggiatori non ne parlano: il poco che ne dice Thevenot (Voyage du Levant, part. I, p. 490) è tolto dalla bocca sospetta d'un rinnegato affricano. Alcuni Persiani vi noveravano seimila case (Chardin, t. IV, p. 167).

<p>19</p>

Strabone, l. XVI, p. 1110. D'Herbelot (Bibl. orient., p. 6.) accenna una di queste case di sale presso Bassora.

<p>20</p>

Mirum dictu ex innumeris populis pars aequa in commerciis aut latrociniis degit (Plinio, Hist. nat., VI, 32). Vedi il Koran di Sale, Sura 106, p. 503; Pocock, Spec., p. 2; d'Herbelot, Bibl. orient., p. 361; Prideaux, Vie de Mahomet, p. 5; Gagnier, Vie de Mahomet, t. 1, p. 72-120, 126. etc.

<p>21</p>

La Genesi, al capo 16, v. 12, dice: hic erit ferus homo: manus ejus contra omnes, et manus omnium contra eum, et e regione universorum fratrum suorum figet tabernacula. Qui nel dato carattere d'Ismaele possono considerarsi descritti profeticamente i suoi discendenti, gli Arabi, dati a regolare ladroneccio, e dimoranti poco lungi della Palestina; non sono artificiosamente contorti i sensi della Genesi; non si potrebbe per altro spiegare il manus omnium contra eum che col riferirlo all'essere stata l'Arabia alcune volte invasa da armate tartare, e persiane; ma ciò potrebbe pur dirsi di tanti altri Stati. (Nota di N. N.)

<p>22</p>

Un dottor anonimo (Univers. History, vol. XX, edit. in-8) ha ricavato dall'independenza degli Arabi una dimostrazione formale della verità del cristianesimo. Può un critico primieramente negare i fatti, e poi disputare sul senso del passo che si allega della Bibbia (Genes. XVI, 12), su l'ampiezza della applicazione, e sul fondamento della genealogia.

<p>23</p>

Fu soggiogato (A. D. 1173) da un fratello del gran Saladino che fondò una dinastia de' Curdi o degli Ayoubiti (Guignes, Hist. des Huns, t. 1, p. 425; d'Herbelot, p. 477).

<p>24</p>

Dal luogotenente di Solimano I (A. D. 1538), e da Selim II (1568). V. Cantemir (Hist. de l'empire Ottoman, p. 201-221.) Il Bascià che risedeva in Saana comandava a ventun Bey, ma non mandò mai tributi alla Porta (Marsigli, Stato Militare dell'impero Ottomano, p. 124), e i Turchi ne furono cacciati verso l'anno 1630. (Niebuhr, p. 167, 168.)

<p>25</p>

Le principali città della provincia romana che chiamavasi Arabia e terza Palestina, erano Bostra e Petra che datavano dall'anno 105, epoca in cui furono soggiogate da Palma, luogotenente di Traiano. (Dion Cassio, l. LXVIII). Petra era la capitale de' Nabatei, che traevano il nome dal primogenito dei figli d'Ismaele (Genes. XXV, 12, etc., co' Commenti di San Girolamo, del Le Clerc, e del Calmet). Giustiniano abbandonò un paese palmifero di dieci giornate di viaggio al mezzodì di Aelah (Procopio, De bell. persico, l. I, c. 19); e i Romani avevano un centurione e una dogana (Arriano in Periplo maris Erythroei, p. 11, in Hudson, t. 1) in un luogo (λευκη κωμη, Pagus Albus Hawarra) del territorio di Medina (d'Anville, Mémoire sur l'Egypte, p. 243). Su questi possedimenti reali, e su qualche nuova scorreria di Traiano (Peripl. p. 14, 15) fondarono gli storici e le medaglie la supposizione che i Romani conquistassero l'Arabia.

<p>26</p>

Niebuhr (Descript. de l'Arabie, p. 302, 303, 329-331) ci dà le notizie più recenti ed autentiche sul grado d'autorità che possedono i Turchi nell'Arabia.

<p>27</p>

Diodoro di Sicilia (t. II, l. XIX, p. 390-393, ediz. del Wesseling) ha data a conoscere chiaramente l'independenza degli Arabi nabatei, che fecero resistenza alle armi d'Antigono e di suo figlio.

<p>28</p>

Strabone, l. XVI, p. 1127-1129; Plinio, Hist. nat., VI, 32. Elio Gallo sbarcò presso Medina, e fece quasi trecento leghe nella parte dell'Yemen che giace fra Mareb e l'Oceano. Il non ante devictis Sabeae regibus (Od. I, 29), e gl'intacti Arabum thesauri (Od. III, 24) d'Orazio, attestano l'indipendenza ancora inviolata degli Arabi.

<p>29</p>

Lo stendardo di Maometto non è sacro pel lettore cristiano: questo aggettivo è male applicato ad uno stendardo di un fortunato Capo d'entusiasti, che coll'armi diffusero la lor religione rapidamente in molte, e vaste regioni dell'Asia, e dell'Affrica. (Nota di N. N.)

<p>30</p>

V. in Pocock una Storia imperfetta dell'Yemen, Specimen, p. 55-66; di Hira, p. 66-74; di Gassan p. 75-78, su tutte le cose che si poterono sapere, o di cui si potè in un tempo d'ignoranza serbare memoria.

<p>31</p>

Le Σαρακηνικα φυλα, μυριαδες ταυτα, και το πλειστον αυτων ερημονομοι, και αδεσποτοι, tribù Saracene, a decine di migliaia, e per lo più abitatrici di deserti, e independenti, descritte da Menandro (Excerpt. legat., p. 149), da Procopio (De bell. Pers. l. I. c. 17-19; l. II, c. 10) e, coi più forti colori, da Ammiano Marcellino, (l. XIV, c. 4) che ne parla sin dal tempo di Marc'Aurelio.

<p>32</p>

Questo nome usato da Tolomeo e da Plinio in un senso più ristretto, e da Ammiano e da Procopio in significato più largo, fu ridicolamente derivato da Sarah, moglie d'Abramo; e in un modo assai oscuro dal villaggio di Saraka μετα Ναβαταιους fra i Nabatei (Stephan., De urbibus), ma più plausibilmente da vocaboli arabici, che significano un naturale disposto al ladroneccio, o che denotano la loro situazione all'Oriente (Hottinger, Hist. orient., lib. I, c. I. p. 7, 8; Pocock, Specimen, p. 33-35; Assemani, Bibl. orient. t. IV, p. 567). Ma l'ultima e la più ammessa di tali etimologie è confutata da Tolomeo (Arabia, p. 2, p. 18, in Hudson, t. IV), che segna espressamente la situazione occidentale e meridionale de' Saraceni, che allora erano una tribù oscura stanziata su le frontiere dell'Egitto. Questa denominazione adunque non può riferirsi al carattere nazionale; e poichè fu data da forestieri, convien cercarne l'origine non già nella lingua araba, ma in una straniera.