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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 13. Edward Gibbon
Читать онлайн.Название Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 13
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Автор произведения Edward Gibbon
Жанр Зарубежная классика
Издательство Public Domain
A. D. 1451
I Casisti musulmani, e soprattutto turchi, avean deciso non potere i Fedeli tenersi obbligati da una promessa contraria agl'interessi e ai doveri di lor religione, ed essere in facoltà del Sultano l'annullare i Trattati fatti da lui e da' suoi predecessori; privilegio immorale, che la giustizia e la magnanimità di Amurat avea disdegnato. Ma l'ambizione persuase al figlio di Amurat, il più orgoglioso di tutti gli uomini, la bassezza di discendere agli artifizj della dissimulazione e della perfidia. Colla pace sul labbro e colla guerra nel cuore, ei non pensava che ad impadronirsi di Costantinopoli, e a rompere co' Greci; i Greci stessi gliene somministrarono imprudentemente il pretesto69. I greci Ambasciatori, ai quali dovea parer ventura l'essere dimenticati, seguirono al campo il Principe turco per chiedergli il pagamento, anzi l'aumento della somma di danaro annuale ch'egli sborsava all'Impero di Bisanzo. Importunarono parimente con tale inchiesta il Divano; laonde il Visir, amico de' Cristiani in segreto, lor fece conoscere i sentimenti de' suoi colleghi e di Maometto. «Insensati e miserabili Romani, dicea Calil; noi conosciamo i vostri disegni, e voi non sapete il pericolo in cui vi state! Lo scrupoloso Amurat più non vive, e la sua Corona è passata sul capo di un giovane vincitore che alcuna legge non frena, che alcun ostacolo non può arrestare. Se vi scampate da lui, ringraziatene la divina bontà che differisce tuttavia il gastigo de' vostri peccati. Perchè volerci provocare in modo indiretto, e con vane minacce? Mettete in libertà il fuggitivo Orcano. Coronatelo Sultano della Romania. Chiamate gli Ungaresi dall'altra riva del Danubio, armate contro di noi le nazioni dell'Occidente, e siate sicuri esser questo il vero modo di fabbricarvi ed affrettarvi la vostra rovina». Ma se queste tremende parole del Visir spaventarono gli Ambasciatori, altrettanto li rincorarono l'umana accoglienza e gli affettuosi detti del Principe ottomano. Maometto promise loro che appena fosse di ritorno ad Andrinopoli, ascolterebbe le querele de' Greci, e si prenderebbe pensiero de' loro veri interessi. Poi, toccata appena l'altra riva dell'Ellesponto, abolì per prima cosa il pagamento annuale che solea farsi ai Greci, ordinando si scacciassero dalle rive dello Strimone tutti i loro impiegati. Date così a divedere le sue ostili intenzioni, non tardò un secondo decreto che minacciava assedio a Costantinopoli, e in tal qual modo incominciava a metterlo ad effetto. L'avolo di Maometto II avea sulla costa asiatica edificata una Fortezza che dominava il passaggio angusto del Bosforo. Ora il nipote risolvè di innalzarne una più formidabile di rincontro a questa sulla costa europea; laonde mille muratori ricevettero in primavera il comando di trovarsi in un paese detto Azomaton, situato ad una distanza circa di cinque miglia dalla Capitale dell'Impero greco70. L'eloquenza è l'espediente dei deboli; ma l'eloquenza dei deboli rare volte persuade, e gli Ambasciatori di Costantino adoperarono invano quest'arme per distorre Maometto dagli ideati divisamenti; ebbero bel rimostrare che l'avolo del Sultano, per fabbricare solamente una Fortezza nel proprio territorio, ne avea chiesta permissione all'Imperatore Manuele, nè trattavasi allora di una duplice fortificazione che rendesse i Turchi padroni dello Stretto, siccome questa, il cui fine non poteva essere se non se di rompere la lega fra le due nazioni, d'impedire il commercio de' Latini sul mar Nero, e fors'anche di affamare Costantinopoli. «Io non intraprendo nulla contro la vostra città, rispondea lo scaltrito Sultano, ma pensate che le sue mura sono il limite del vostro Impero. Vi siete forse dimenticati le strettezze in cui si trovò mio padre, quando vi collegaste cogli Ungaresi, quando questi invadeano dalla banda di terra il nostro territorio, e quando aprivate alle galee francesi l'ingresso dell'Ellesponto? Amurat dovette guadagnarsi colla forza il passaggio del Bosforo, e lo effettuò, perchè il poter vostro non corrispondeva alla vostra mala volontà. Mi ricordo che io, allora fanciullo, stavami ad Andrinopoli; quella volta i Musulmani tremarono, e i Gaburi71 ci derisero per qualche tempo sulla nostra disgrazia. Ma quando mio padre riportò quella vittoria ne' campi di Warna, fece voto, sappiatelo, d'innalzare, per assicurarsi meglio, una Fortezza sulla riva occidentale; ed io devo mantenere i voti di mio padre: avete voi forse il diritto o la forza per impedirmi di far quel che voglio sul mio territorio? Perchè questo spazio di terra è mio, i possedimenti de' Turchi, in Asia, arrivano fino alle sponde del Bosforo; e quanto all'Europa i Romani l'hanno abbandonata. Tornate a casa vostra, e dite al vostro Re; che l'Ottomano presente è molto diverso dai suoi predecessori; che le sue risoluzioni oltrepassano tutto quanto quelli desiderarono; che egli fa più di quanto essi poteano risolvere. Partite, non vi verrà fatto alcun male; ma farò scorticar vivo il primo di voi che tornasse da me con un siffatto messaggio». Dopo una simile intimazione, Costantino, per valore e per grado il primo di tutti i Greci72, avea risoluto di prender l'armi, e impedire che i Turchi si avvicinassero maggiormente, e sulla riva europea del Bosforo si stanziassero. Ma il rattennero i consigli de' suoi Ministri dell'Ordine civile ed ecclesiastico, che gli fecero abbracciare un men nobile e in uno men prudente sistema. Questi lo indussero ad opporre nuova pazienza a nuovi oltraggi, a lasciare agli Ottomani il biasimo di farsi i primi aggressori, ad affidare nella fortuna e nel tempo, così la loro difesa, come la distruzione di una Fortezza, che Maometto, i Consiglieri diceano, non potea conservar lungo tempo in vicinanza ad una vasta e popolosa Capitale. Tra le speranze de' creduli e i timori de' saggi, il verno trascorse, differendosi sempre di prendere provvedimenti che avrebbero dovuto stare a cuore di ciascun cittadino, nè lasciare a verun d'essi un istante sol di riposo. I Greci si accecarono sul pericolo che li minacciava, sintanto che il giungere di primavera e l'avvicinare di Maometto, li facesse certi della loro inevitabil rovina.
A. D. 1452
Rare volte vengono disobbediti gli ordini di un padrone che mai non perdona. Ai 26 di marzo, la pianura di Azomaton si vide coperta di uno sciame d'indefessi turchi operai, ai quali, e per terra e per mare, e dall'Europa e dall'Asia, venivano portati i materiali di cui abbisognavano73. Nella Catafrigia si preparava la calce; dalle foreste di Eraclea e di Nicomedia erano tratte le legna; gli scavi della Natolia somministravan le pietre. Ognuno dei mille muratori, aiutato da due manovali, aveva l'obbligo giornaliero di due cubiti di fabbrica. Datasi forma triangolare alla Fortezza74, ciascun angolo di essa venne fiancheggiato da una grossa torre, la prima delle quali stava sul pendio della collina; le due altre occupavano le coste del mare. La grossezza delle mura era di ventidue piedi, di trenta il diametro delle torri; un saldo spianato di piombo formava il coperchio dell'edifizio. Maometto in persona sollecitava e con instancabile ardore regolava il lavoro; ciascuno dei tre Visiri volle per sè l'onore di avere terminata una delle tre torri; lo zelo de' Cadì con quello dei giannizzeri gareggiava; non v'era servigio, comunque triviale, che non venisse nobilitato dall'idea di servir Dio e il Sultano, e la solerzia della moltitudine animavano gli sguardi di un despota, il cui sorriso diveniva pronostico di felicità, un'occhiata severa, di morte. Atterrito l'Imperator greco in veggendo procedere un'opera ch'egli non era più in tempo di arrestare, cercò ma indarno, di ammollire con modi carezzevoli, e con donativi, l'animo d'un inesorabile nemico, che anzi desiderava e fomentava tutte le occasioni di venire ad aperta guerra;
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Uno di questi giovani principi di nome Calapino, fu sottratto alle mani del suo barbaro fratello e condotto a Roma, ove ricevè il battesimo col nome di Calisto Ottomano. L'imperatore Federico III gli concedè un dominio nell'Austria, ove terminò i suoi giorni. Cuspiniano, che, in sua gioventù, aveva conversato a Vienna con questo principe, in allora vecchio, ne loda la pietà e la saggezza (
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Prima di descrivere l'assedio di Costantinopoli, noterò che, ad eccezione di poche cose dette per incidenza da Cantemiro e dal Leunclavio, non ho potuto intorno a questo avvenimento procurarmi alcuna relazione fatta dai Turchi, nè alcun racconto che stia a petto di quello della presa di Rodi eseguita da Solimano II (
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Pietro Gilli (
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Duca esprime col vocabolo di
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Il Franza attesta il senno e il coraggio del suo padrone.
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Invece di questo chiaro ed ordinato racconto, gli Annali turchi (Cantemiro, p. 97) fanno rinascere la ridicola favola del cuoio, e dello stratagemma adoperato da Didone per fabbricare Cartagine. Questi Annali, fuorchè per coloro che le preoccupazioni anticristiane traviano, sono molto men da apprezzarsi delle Storie scritte dai Greci.
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Circa le dimensioni di questa Fortezza, chiamata oggidì il Vecchio Castello d'Europa, Franza non è affatto d'accordo con Calcocondila, la cui descrizione fu verificata sopra luogo dall'editore Leunclavio.