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che avea sciolto troppo presto un can da caccia Spartano, un artefice che avea fatto una bella corazza, in cui mancavano pochi grani del giusto peso, ec., furon vittime del suo furore.
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Erano innocenti tre apparitori ed un agente di Milano, che Valentiniano condannò per aver significato una legal citazione. Ammiano (XXVII. 7.) stranamente suppone che tutti coloro, i quali erano stati ingiustamente condannati, si venerassero come martiri dai Cristiani. L'imparziale silenzio di lui non ci permette di credere, che Rodano, gran Ciamberlano, fosse arso vivo per un atto d'oppressione: Cron. Pasq. p. 302.
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Ut bene meritam in sylvas jussit abire Innoxiam. Ammian. XXIX. 5. e Vales. ib.
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Vedi Cod. Justin. lib. VIII. Tit. III. leg. 2. Unus quisque sobolem suamn nutriat. Quod si exponendam putaverit, animadversioni, quae constituta est, subiacebit. Io non mi starò a mescolare presentemente nella disputa insorta fra Noodt e Bynkershoek, con quali pene e per quanto tempo tal pratica opposta alla natura si fosse condannata o abolita dalle leggi, dalla filosofia e dalla maggior cultura della società.
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Questi salutari stabilimenti sono indicati nel codice Teodosiano lib. XIII. Tit. III. De Professoribus et Medicis, e lib. XIV. Tit. IX. De studiis liberalibus urbis Romae. Oltre il Gotofredo, solita nostra guida, si può consultare il Giannone (Stor. di Napoli Tom. I. p. 105. 111) che ha trattato di quest'importante soggetto con lo zelo e con la curiosità d'un letterato che studia l'istoria del suo paese.
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Cod. Teodos. lib. I. Tit. XI. col Paratitlo del Gotofredo, che diligentemente riunisce tutto ciò che si trova nel resto del Codice.
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Tre versi d'Ammiano (XXXI. 14) equivalgono a tutta una orazione di Temistio (VIII. p. 101-120.) piena di adulazione e pedanteria e di luoghi comuni di Morale. L'eloquente Thomas (Tom. I, p. 336-396) si è dilettato nel celebrar le virtù ed il genio di Temistio che non fu indegno del secolo, nel quale visse.
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Zosimo l. IV. p. 102, Ammiano XXX. 9. La riforma, che ei fece, di dispendiosi abusi, potè dargli diritto alla lode, in provinciales admodum parcus, tributorum ubique molliens sarcinas. Alcuni chiamavano avarizia la sua frugalità: Girolam. Cronic. p. 186.
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Testes sunt leges a me in exordio imperii mei datae: quibus unicuique quod animo imbibisset colendi libera facultas tributa est. Cod. Teodos. lib. IX. Tit. XVI. leg. 9. A questa dichiarazione di Valentiniano possiamo aggiungere le varie testimonianze di Ammiano (XXX. 9), di Zosimo (lib. IV. p. 204.) e de Sozomeno (l. VI. c. 7. 27). Il Baronio sarebbe naturalmente indotto a biasimare questa ragionevole tolleranza: Annal. Eccl. an. 370. num. 129. 132. an. 375. n. 3. 4.
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Eudosso era d'un naturale timido e dolce. Quando battezzò Valente nell'anno 367. doveva essere molto vecchio, poichè aveva studiato la teologia cinquantacinque anni avanti sotto il dotto e pio martire Luciano. Filostorg. l. II c. 14-16, l. IV. c. 4. col Gotofred. p. 82-206. e Tillemont Mem. Eccles. Tom. V. p. 474. 480. ec.
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Gregorio Nazianzeno (Orat. XXV. p. 432.) insulta lo spirito persecutore degli Arriani, come un infallibil sintomo d'errore e d'eresia.
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Questo schizzo del governo Ecclesiastico di Valente è tratto da Socrate (l. IV.), da Sozomeno (l. VI.), da Teodoreto (l. IV.), e dalle immense compilazioni del Tillemont (specialmente dal Tom. VI. VIII. e IX.).
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Il D. Jortin. (Osservaz. sull'Istor. Eccles. Vol. IV. p. 78.) ha già concepito ed insinuato l'istesso sospetto.
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Questa riflessione è così ovvia e forte, che Orosio (l. VII. c. 32. 33.) differisce la persecuzione fino ad un tempo posteriore alla morte di Valentiniano. Socrate dall'altra parte, suppone (l. III. c. 21.) che fosse quietata da una filosofica orazione, che pronunziò Temistio l'anno 374. (Orat. XXII. p. 154. solamente in Latino). Tali contraddizioni diminuiscono l'evidenza ed abbreviano il termine della persecuzione di Valente.
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Il Tillemont, da me seguitato e compendiato, ha tratto (Mem. Eccles. Tom. VIII. p. 153-167.) le più autentiche circostanze dai Panegirici dei due Gregori, l'uno fratello e l'altro amico di Basilio. Le lettere di Basilio medesimo (Dupin Bibl. Eccles. Tom. II. p. 155-180.) non presentano l'immagine d'una persecuzione molto viva.
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Basilius Caesarensis Episcopus Cappadociae clarus habetur… qui multa continentiae et ingenii bona uno superbiae malo perdidit. Questo irriverente passo perfettamente combina con lo stile e col carattere di S. Girolamo. Non si trova nell'Edizione Scaligeriana della sua Cronica; ma Isacco Vossio l'ha trovato in alcuni antichi manoscritti, che non erano stati corretti dai Monaci.
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Quella nobile e caritatevole fabbrica (quasi un'altra città) sorpassava in merito se non in grandezza, le piramidi o le mura di Babilonia. Essa era destinata principalmente a ricevere i lebbrosi: Gregor. Nazianzeno Orat. XX. pag. 439.
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Cod. Teodos. l. XII. Tit. I. leg. 63. Il Gotofredo (Tom. IV. p. 409-413) fa l'uffizio di Commentatore e d'Avvocato. Il Tillemont (Mem. Ecoles. Tom. VIII. p. 808.) suppone una seconda legge per iscusare gli Ortodossi suoi amici, che avevano male rappresentato l'editto di Valente e soppresso la libertà della scelta.
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Vedi Danville Descript. de l'Egypt. p. 74. In seguito esamineremo gl'Instituti Monastici.
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Socrate l. IV. c. 24. 25., Orosio l. VII. c. 33. Girol. Cron. p. 189. e Tom. II. p. 212. I Monaci dell'Egitto facevano molti miracoli, che provan la verità della loro fede. Benissimo, (dice Jortin Osservaz. Vol. IV. p. 79.) ma chi prova la verità di questi miracoli?
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Cod. Teodos. lib. XVI. Tit. II. leg. 20. Il Gotofredo (Tom. IV. pag. 49.), seguitando l'esempio del Baronio, raccoglie senza parzialità tutto quello che i Padri hanno detto relativamente a questa importante legge, lo spirito della quale molto tempo dopo fu fatto risorgere dall'Imperator Federigo II. da Eduardo I. Re d'Inghilterra, e da altri Principi Cristiani, che regnarono dopo il duodecimo secolo.
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L'espressioni, che ho adoperate, son deboli e moderate, se si paragonino con le veementi invettive di Girolamo (Tom. I. p. 13. 45. 144). Fu anche ad esso rinfacciata la colpa, che egli imputava ai Monaci fratelli di lui; e lo scellerato, il versipelle fu pubblicamente accusato come amante della vedova Paola. (Tom. II. p. 363). Ei godeva senza dubbio l'affezione sì della madre che della figlia; ma dichiara che non abusò mai della sua autorità in favore di alcun sensuale o a sè vantaggioso disegno.
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Pudet dicere Sacerdotes Idolorum, mimi, et aurigae, et scorta haereditates capiunt: solis Clericis ac Monacis hac lege prohibetur. Et non prohibetur a persecutoribus, sed a Principibus Christianis. Nec de lege quaeror, sed doleo, cur meruerimus hanc legem. Girolamo (Tom. I. p. 13) prudentemente indica la segreta politica di Damaso, suo protettore.
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Tre parole di Girolamo, Sanctae memoriae Damasus (Tom. II. p. 109.), lavano tutte le sue macchie; ed abbagliano i devoti occhj del Tillemont: Mem. Eccles. T. VIII p. 386. 424.
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La Basilica di Sicinino o di Liberio è probabilmente la Chiesa di S. Maria Maggiore sul colle Esquilino. Baronio an. 367. num. 3. e Donat. Rom. Antiq. et nov. lib. IV. c. 3. p. 462.
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Girolamo stesso è costretto a confessare crudelissimae interfectiones diversi sexus perpatratae. Cron. p. 186. Ma per strana combinazione ci è restato un libello, o domanda originale di due Preti del partito contrario. Essi affermano, che furon bruciate le porte della Basilica, e scoperchiatone il tetto; che Damaso marciò alla testa del suo Clero, di scavatori
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