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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1. Edward Gibbon
Читать онлайн.Название Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 1
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Автор произведения Edward Gibbon
Жанр Зарубежная классика
Издательство Public Domain
I più abili maestri della Grecia e dell'Asia erano stati invitati con liberali ricompense a governare l'educazione del giovane Erode. Il loro allievo divenne ben tosto un celebre oratore, secondo l'inutil rettorica di quel secolo, la quale, confinandosi nelle scuole, sdegnava di comparire nel Foro o nel Senato. Gli fu conceduto a Roma l'onor del Consolato; ma egli passò la maggior parte della sua vita in un ritiro filosofico in Atene e nelle ville adiacenti, continuamente circondato da' Sofisti; i quali riconoscevano senza ripugnanza la superiorità di un ricco e generoso rivale174. I monumenti del suo genio sono periti; alcuni riguardevoli avanzi conservano tuttora la fama del suo buon gusto e della sua munificenza: qualche viaggiatore moderno ha misurate le rovine dello Stadio ch'esso fece costruire in Atene. Era lungo seicento piedi, fabbricato tutto di marmo bianco, e capace di contener tutto il popolo; fu finito in quattr'anni, mentre Erode era il presidente dei giuochi ateniesi. Consacrò alla memoria di Regilla sua moglie un teatro, di cui appena potea trovarsi l'eguale in tutto l'Impero; non vi si impiegò altro legno che cedro squisitamente intagliato. L'Odeo, destinato da Pericle per l'Accademia di musica e per le nuove tragedie, sorgea come trofeo della vittoria riportata dalle belle arti sulla grandezza asiatica; giacchè il legname impiegatovi era per la maggior parte di alberi delle navi persiane. Benchè un re di Cappadocia lo avesse una volta restaurato, era nuovamente sul punto di rovinare. Erode gli rendè l'antica eleganza e munificenza. Nè la liberalità di questo illustre cittadino rimase ristretta fra le mura di Atene. I più splendidi ornamenti, fatti al tempio di Nettuno nell'Istmo, un teatro in Corinto, uno Stadio in Delfi, un bagno alle Termopile, ed un acquedotto in Canusio nell'Italia, non poterono esaurire i suoi tesori. L'Epiro, la Tessaglia, l'Eubea, la Beozia ed il Peloponeso provarono i suoi favori; e molte iscrizioni delle città greche ed asiatiche nominarono con gratitudine Erode Attico loro patrono e benefattore175.
Nelle Repubbliche di Atene, e di Roma, la modesta semplicità delle case private annunziava l'egual condizione della libertà, mentre la sovranità del popolo si spiegava nei maestosi edifizj destinati all'uso pubblico176; nè questo spirito repubblicano si spense affatto per l'introduzione dell'opulenza e della monarchia. Gli Imperatori più virtuosi godevano di mostrare la loro magnificenza soltanto nelle fabbriche fatte per l'onore e per l'utile della nazione. L'aureo palazzo di Nerone eccitò una giusta indignazione, ma l'istesso terreno usurpato dal suo sfrenato lusso, fu più nobilmente occupato sotto i successivi regni dal Colosseo, dai bagni di Tito, dal portico di Claudio o dai tempj dedicati alla Pace od al Genio di Roma177. Questi monumenti di architettura, proprietà del Popolo romano, erano adornati dalle più belle produzioni della greca pittura e scultura; e nel tempio della Pace si aprì una libreria molto rara alla curiosità dei letterati. Poco lungi di là sorgeva il Foro di Trajano. Questo era di forma quadrangolare, circondato da un alto portico, nel quale quattro archi trionfali aprivano un ingresso nobile e spazioso; nel centro era posta una colonna di marmo, la cui altezza di cento dieci piedi indicava l'elevazione della collina che vi era stata spianata. Questa colonna, che ancor sussiste nella sua antica bellezza, presentava un esatto quadro delle vittorie riportate, da chi l'innalzò, contro i Daci. Il soldato veterano contemplava la storia delle sue proprie campagne, ed il pacifico cittadino, per una facile illusione di vanità nazionale, si associava agli onori del trionfo. Tutti gli altri quartieri della capitale, e tutte le province dell'Impero erano abbellite dal medesimo liberale genio di pubblica magnificenza, e ripiene di anfiteatri, teatri, tempj, portici, archi trionfali, bagni ed acquedotti, tutti per diversi modi utili alla salute, alla devozione, ed ai piaceri degl'infimi cittadini. Gli acquedotti meritano la nostra particolare attenzione. L'ardire dell'impresa, la solidità dell'esecuzione, e gli usi ai quali servivano, assegnano ad essi un posto tra i più nobili monumenti del genio e della potenza romana. Gli acquedotti della capitale giustamente esigon la preeminenza; ma un viaggiatore curioso, il quale esaminasse senza il lume della storia quelli di Spoleto, di Metz, o di Segovia, concluderebbe naturalmente, che quelle città provinciali erano anticamente state la residenza di qualche possente Monarca. Le solitudini dell'Asia e dell'Affrica erano una volta coperte da floride città, la cui gran popolazione, e fin l'esistenza, era dovuta a questi artificiali soccorsi di una perenne corrente di acqua fresca178.
Noi abbiamo computato gli abitanti, e contemplato i pubblici edifizi dell'Impero romano. L'osservazione del numero e della grandezza delle sue città servirà a confermare il computo dei primi, ed a moltiplicare quella de' secondi. Non sarà disgradevole il raccorre alcuni sparsi esempi relativi a questo soggetto, ricordandoci per altro che la vanità delle nazioni e la povertà del linguaggio, hanno indifferentemente conceduto il vago nome di città a Roma ed a Laurento.
I. Si dice che l'antica Italia contenesse mille cento novantasette città; ed a qualunque epoca dell'antichità si debba applicare questa espressione179, non vi è alcuna ragione di creder l'Italia meno popolata nel secolo degli Antonini che nel secolo di Romolo. I piccoli Stati del Lazio erano contenuti nella metropoli dell'Impero, la cui superiore influenza gli aveva attirati. Quelle parti dell'Italia, che hanno poscia per tanto tempo languito sotto l'oziosa tirannia dei preti, e dei vicerè, erano state soltanto afflitte dalle più tollerabili calamità della guerra; ed i primi sintomi, ch'esse ebbero di decadenza, furono ampiamente compensati dai rapidi progressi della Gallia Cisalpina. Ne' suoi avanzi ancora mostra Verona l'antico splendore, e pur Verona era men famosa di Aquileia o di Padova, di Milano o di Ravenna.
II. Lo spirito di miglioramento aveva passato le Alpi, e si sentiva perfino nei boschi della Britannia, che a poco a poco erano scomparsi per dar luogo a comode ed eleganti abitazioni. York era la sede del governo, Londra già si arricchiva col commercio, e Bath era celebre pel salutare effetto delle medicinali sue acque. La Gallia poteva vantarsi delle sue mille dugento città180, e sebbene molte di queste nelle parti settentrionali, senza eccettuarne Parigi stessa, fossero poco più che rozzi ed imperfetti borghi di popol nascente, le province meridionali nondimeno emulavano l'opulenza e l'eleganza italiana181. Molte eran le città della Gallia, Marsiglia, Arles, Nimes, Narbona, Tolosa, Bordò, Autun, Vienna, Lione, Langres e Treveri, l'antica condizion delle quali potrebbe benissimo e forse con vantaggio gareggiare con il loro stato presente. La Spagna, che nello stato di provincia era floridissima, divenuta un Regno, è andata in decadenza. Spossata dall'abuso della sua forza, dall'America e dalla superstizione, resterebbe forse molto umiliata la sua superbia, se si ricercasse da lei il numero di trecento sessanta città, quanto Plinio ne contò sotto il Regno di Vespasiano182.
III. Trecento città affricane avevano una volta riconosciuta l'autorità di Cartagine183, nè si può credere che il lor numero diminuisse sotto il governo
172
Adriano fece in seguito un giustissimo regolamento, che divideva ogni tesoro tra il proprietario del luogo e l'inventore. Stor. Aug. p. 9.
173
Filostrato
174
Aulo Gellio
175
Ved. Filost. l. II pag. 548 566. Pausania l. I, VII 10. La vita di Erode nel XXX tom. dell'Accademia dell'Iscrizioni.
176
Questa osservazione è principalmente applicata alla Repubblica ateniese da Dicearco
177
Donato
178
Montfaucon
179
Eliano
180
Giuseppe
181
Plin. Stor. Nat. III 5.
182
Plin. Stor. Nat. III 3, 4 IV 35. La nota pare autentica ed esatta; la divisione delle province, e la diversa condizione delle città vi sono minutamente riferite.
183
Strabon.