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La rivoluzione di Milano dell'Aprile 1814. Carlo Verri
Читать онлайн.Название La rivoluzione di Milano dell'Aprile 1814
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Автор произведения Carlo Verri
Издательство Public Domain
Dopo la ritirata di Mosca, tutte le molle politiche de' governi di Francia e d'Italia perdettero all'istante la loro elasticità. Il sentimento della potenza di Napoleone a rapidi gradi si estinse, e cessò l'illusione che la fortuna e la vittoria marciassero costantemente alla testa delle sue armate. Gli animi dei popoli sempre piú s'indispettirono per l'aumentato rigore delle finanze, e per l'accresciuto bisogno della coscrizione desolatrice delle famiglie. Ciò non ostante, il rovesciamento totale del sistema non entrò nei piani delle Potenze, e molto meno nelle viste dei sudditi, come quello che non sembrava verificabile senza rinnovare gli orrori di una rivoluzione. Miglior partito parve quello di sostenere il Governo e di somministrargli i mezzi, onde colla gloria delle armi ottenere finalmente una pace onorevole e solida. Non vi fu perciò sforzo che si risparmiasse. Artiglieria ed armi si fabbricarono da ogni parte con un'attività che non ha esempio. La coscrizione ebbe il suo effetto quasi per intero, si offrirono persino gratuitamente dai corpi e dai privati cavalli in gran numero e guerrieri.
Lo spirito italiano, non mai versatile, ma attaccato sempre tenacemente ai suoi principi, superò, alla debita proporzione, la Francia nelle volontarie oblazioni. Nel Regno d'Italia si ebbe per istimolo ulteriore, che alla pace generale cessasse l'esercizio di un Governo per procura coll'organo di un Viceré, e che sul capo del Principe Eugenio passare ne potesse indipendente la corona. Non vi è dubbio che a quell'epoca concorressero nel Principe l'amore ed il desiderio dei popoli. Non vi è dubbio che si avesse di lui l'opinione di un buono e zelante amministratore, di un uomo di Stato, di un prudente e generoso condottiero di eserciti, educato ad una grande scuola. A ciò si aggiungeva la rispettosa affezione che si era conciliata la Principessa sua consorte, a cui tutti offerivano i loro omaggi, chi per la sua pietà e per le sue virtú, chi per le sue grazie e la sua amabilità, chi per le beneficenze che a larga mano spargeva, specialmente sulla classe degli indigenti che qual rifugio e madre la riguardavano.
Niun debito si faceva al Principe del complicato sistema di amministrazione, della coscrizione, e soprattutto della gravezza delle imposte. Il solo Re ne sopportava l'odiosità, non che, rapporto alle finanze, quel Ministro, che aveva la bassezza di prostituire i suoi sommi talenti nel secondarlo e facilitargli i mezzi di esecuzione. I sentimenti del suo segretario degli ordini erano conosciuti da pochi nella capitale, da pochissimi nei dipartimenti. Quest'uomo, tuttoché naturalizzato italiano con la sua ammissione al Collegio elettorale dei dotti, si crede che non abbia mai naturalizzato il suo cuore.
Furono i pochi uffiziali reduci dalla campagna di Mosca, che inserirono nell'animo degli Italiani i primi semi di diffidenza verso la persona del Principe. Questi lamenti, già disseminati abbastanza, crebbero a dismisura nel 1813, allorché fu miseramente l'Italia ancora il teatro della guerra. Non piú il solo uffiziale, ma dal generale al soldato si chiamarono tutti mortificati dal Principe, offesi dal suo primo aiutante. Saranno state forse calunniose alcune acerbe proposizioni poste in bocca dell'uno e dell'altro, ma pure da moltissimi si recitavano come vere. Fece dispiacere il vedere trascurato il primo ed il piú provetto tra i generali italiani, che dal Nord al Sud ha sempre associata la sua carriera alla gloria delle armi italiane.
Ad alienare gli animi dal Principe concorse un terzo francese, il suo segretario di gabinetto, passato, contro il prescritto della costituzione, alla direzione generale delle poste. Egli con la polizia esercitata negli ultimi tempi sul carteggio, col trattenere ed anche disperdere le lettere, specialmente de' negozianti, portò al colmo il malcontento in questa classe sí benemerita della società, la quale era già prima indispettita abbastanza per il sistema continentale e per l'incaglio totale di ogni ramo di commercio.
Altr'oggetto di avversione, e forse il maggiore, era negli abitanti della città di Milano, perché il governo ridondasse di forestieri, che spendevano in essa con i loro soldi, i quali venivano pure dai rispettivi dipartimenti, anche le rendite de' propri patrimoni. Unico paese in Italia, e forse in tutto il mondo civilizzato, ove in pochi si trovi una cordiale ospitalità, ed ove in moltissimi, specialmente fra i nobili, regna una decisa avversione contro i forestieri, e per forestieri quelli riconoscono che non sono oriundi della antica Lombardia Austriaca! Oggetto di gelosia e di rabbia erano i ministri ed il senato, quasi che tra sei ministri in Milano non se ne vedessero ultimamente due lombardi, due milanesi fra cinque dignitari, otto tra cinquanta senatori, quasi tutti i consiglieri di cassazione ed i giudici della Corte dei conti, la metà circa de' consiglieri di Stato, la maggior parte dei direttori generali, tutti i segretari generali dei ministeri e quasi tutti quelli delle direzioni, dieci tra ventiquattro prefetti, e cosí molto e molto piú nel restante, giacché la Corte era popolata di ciambellani, di dame di palazzo, di scudieri e di altri soggetti milanesi tutti al soldo della corona, e non vi era dipartimento nel Regno, che non contasse e giudici ed uno stuolo grandissimo d'impiegati della capitale. Volere un regno costituzionale, ed un corpo per conseguenza intermediario, e pretendere che i membri non fossero oriundi dei dipartimenti, è un concepimento, un assurdo tutto nuovo.
Erano gli animi in questo caldo allorché i successi delle armi delle Alte Potenze coalizzate sempre piú si moltiplicavano in Francia, e facevano veder prossimo un qualche decisivo avvenimento. Si permettevano i discorsi i piú allarmanti ne' luoghi pubblici, ne' caffè e nei teatri. All'annunzio poi dell'ingresso degli Alleati in Parigi, non ebbe piú ritegno la commozione. I primari patrizi milanesi, e quegli stessi che allora prestavano piú ligio il servizio alla Corte e maggiori ne avevano sperimentati i benefizi, correvano da ogni parte baccanti, esagerando i torti del governo, e per maggiormente dilatare l'allarme associarono a loro tre soggetti d'amplissima trachea, che alzavano con piú coraggio la voce. Un generale di brigata italiano, sdegnato di non aver avuto i desiati avanzamenti, un generale straniero al soldo italiano riformato per demeriti, un estero letterato che non sembrava attaccato a questo paese da altri vincoli che da quelli delle tante mense de' ministri alle quali era assiduo, questi furono i piú animosi apostoli della rivoluzione.
Bisogna credere che il Principe Eugenio, il quale gemeva in Mantova tra le gravi cure della guerra e tra le angoscie per l'incertezza della sua situazione, non fosse inteso di quanto si vociferava in Milano, ovvero bisogna convincersi che chi lo tradiva continuasse ad adularlo per non incontrare ostacoli all'esplosione della sua perfidia. La verità pur troppo non arriva che tardi e zoppa ai gabinetti dei principi. Egli, che si era mantenuto sempre costante e fedele nella sua direzione verso il proprio padre e sovrano, che aveva resistito a tutte le insinuazioni della politica, egli finalmente pensò ai destini del Regno, e forse anche a sé stesso, quando giunsero a sua notizia gli strepitosi avvenimenti seguiti in Parigi ne' primi giorni d'aprile e la singolar metamorfosi del primo corpo di quello Stato. Fu allora che nel dí 16 di aprile convenne in una capitolazione con il Feld Maresciallo Conte di Bellegarde, e mediante la cessione di alcune piazze ottenne una sospensione d'armi fino all'esito di una deputazione del Regno, da presentarsi alle Auguste Potenze coalizzate.29 Le sue viste palesi furono di far chiedere che il Regno fosse chiamato a parte della pace generale, proclamata all'Europa, e godesse finalmente della sua indipendenza: tanto apparve sulla sostanza della convenzione, tanto e non piú manifestò nella lettera scritta al duca di Lodi, resa poi da questo ostensibile alla commissione del Senato, e tanto assicurò ai deputati del Senato, quando a lui si presentarono in Mantova. È ben presumibile però che fosse tra i suoi desiderî che si domandasse per il suo capo la corona d'Italia. Fu almeno sicuramente questo lo sforzo dei ministri. Tra le persone piú addette ai suoi intimi consigli fu discusso sul modo di dare un carattere a tale deputazione e sulli stessi soggetti che dovessero comporla. Si sa che furono designati li generali Fontanelli e Bertoletti per l'armata, li conti Paradisi e Prina rappresentanti la nazione. Rapporto ai primi si ottenne facilmente l'adesione degli uffiziali, segno, checché si pretenda in contrario, che non aveva veramente perduto affatto il Principe il loro amore, o lo aveva ricuperato. Si decise di fare che il Senato autorizzasse i secondi, e qui si praticarono senza dubbio mezzi oscuri e subdoli. In niuno dei senatori era venuto mai meno il rispetto e l'attaccamento verso il Principe Eugenio, niuno aveva prestato fede alle voci accreditate nella piazza, e molto meno all'orgasmo dei nobili milanesi. Ma ognuno era penetrato dal sentimento de' propri doveri e da quello della rispettiva risponsabilità verso i suoi committenti, per non decidersi se non con gran ponderazione in un emergente cosí delicato e in un momento in cui l'attenzione e le congetture degli
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«Afin – scriveva il Saint-Edme – de faciliter au public la lecture de cette traduction, je crois devoir lui donner ici le nom des différentes personnes qui occupaient les hauts emplois du royaume d'Italie»; e ciò ch'egli credeva già utile nel 1822, è oggi assolutamente necessario, poiché gli uomini e le cose del Regno italico sono ormai cadute per grandissima parte nella dimenticanza. A ravvivarla nella memoria degli studiosi potranno giovare le indicazioni seguenti, le quali si danno rettificando e allargando quelle del traduttore francese e per le quali si è seguito l'
Grandi ufficiali della Corona:
Melzi d'Éril Francesco di Milano, Duca di Lodi, Cancelliere guardasigilli.
Codronchi Antonio di Imola, Arcivescovo di Ravenna, Grande elemosiniere.
Fenaroli Giuseppe di Brescia, Gran maggiordomo maggiore.
Litta Antonio di Milano, Gran ciambellano.
Caprara Carlo di Bologna, Grande scudiere.
Aldini Antonio di Bologna, Ministro Segretario di Stato [1805-1814].
Luosi Giuseppe di Mirandola, Gran giudice Ministro della giustizia [1805-1814].
Marescalchi Ferdinando di Bologna, Ministro degli affari esteri [1802-1814].
Vaccari Luigi di Modena, Ministro dell'interno [1809-1814].
Fontanelli Achille di Modena, Ministro della guerra e marina [1811-1814].
Prina Giuseppe di Novara, Ministro delle finanze [1802-1814].
Veneri Antonio di Reggio, Ministro del tesoro [1813-1814].
...... Ministro del culto [titolare era stato, 1802-1812, Bovara Giovanni; poi ff. di ministro, 1812-1814 fu Giudici Gaetano].
...... Arcivescovo di Milano [Sede vacante].
Bonsignori Stefano di Busto Arsizio, Patriarca di Venezia.
Codronchi, predetto, Arcivescovo di Ravenna.
...... Arcivescovo di Bologna [titolare Opizzoni Carlo, non riconosciuto].
Fava Paolo Patrizio di Bologna, Arcivescovo di Ferrara.
Pino Domenico di Milano, Generale di divisione, primo Capitano della Guardia reale.
Costabili-Containi Gio. Battista di Ferrara, Intendente generale dei beni della Corona.
Méjan Stefano francese, Segretario degli ordini del Viceré.
I Principi della Casa Reale.
I Grandi ufficiali della Corona.
Fava, predetto, Arcivescovo di Ferrara.
Bonsignori, predetto, Patriarca di Venezia.
Moscati Pietro di Mantova, nominato 19 febbraio 1809.
Paradisi Giovanni di Reggio, id.
Costabili-Containi, predetto, id.
Guicciardi Diego di Lugano, id.
Giustiniani Leonardo di Venezia, id.
Carlotti Alessandro di Verona, id.
Massari Luigi di Ferrara, id.
Vidoni Giuseppe di Cremona, id.
Di Breme Luigi Giuseppe di Sartirana, id.
Polcastro Girolamo di Padova, id.
Castiglioni Luigi di Milano, id.
Bologna Sebastiano di Vicenza, id.
Longo Lucrezio di Brescia, id.
Alessandri Marco di Bergamo, id.
Felici Daniele di Rimini, id.
Volta Alessandro di Como, id.
Cavriani Federico di Mantova, id.
Testi Carlo di Modena, id.
Lamberti Giacomo di Reggio, id.
Peregalli Francesco di Debbio in Valtellina, id.
Frangipane Cinzio di Udine, id.
Thiene Leonardo di Vicenza, id.
Barisan Giovanni di Treviso, id.
Mengotti Francesco di Belluno, id.
Bruti Agostino dell'Istria, id.
Camerata Antonio di Ancona, id.
Sgariglia Pietro di Fermo, id.
Armaroli Leopoldo di Macerata, id.
Veneri, predetto, nominato 10 ottobre 1809.
Prina, predetto, id.
Berioli Spiridione di Città di Castello, arciv. di Urbino, id.
Melano Portula Vittorio di Cuneo, vesc. di Novara, id.
Serbelloni Marco di Milano, id.
Mocenigo Alvise di Venezia, id.
Martinengo Giovanni Estore di Brescia, id.
Condulmer Tommaso Gaspare di Venezia, id.
Oriani Barnaba di Milano, id.
Stratico Simone di Zara, id.
Dandolo Vincenzo di Venezia, id.
Fiorella Pasquale Antonio còrso, generale di divisione, id.
Verri Carlo di Milano, id.
Luosi, predetto, nominato 7 febbraio 1810.
De Moll Sigismondo di Trento nominato 23 dicembre, 1810.
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Pedroli Carlo Antonio, primo presidente.
Negri Antonio, presidente.
De Lorenzi Antonio – Tonni Luigi – Sopransi Fedele – Pizzotti Francesco – Villata Guido – Sopransi Luigi – Bazzetta Giovanni – Repossi Francesco – Ragazzi Giuseppe – Pelegatti Cesare – Condulmer Pietro Antonio – Predabissi Francesco – Cisotti Giovanni Battista – Scaccabarozzi Cesare – Auna Giovanni Vincenzo – Luini Giuseppe, giudici.
Valdrighi Luigi, Regio procuratore generale – Borsotti Giovanni Gaudenzio, sostituto procuratore generale.
De Bernardi Stefano, primo presidente.
Sabatti Antonio – Sommaruga… presidenti.
Pampuri Giacomo – Busti Cristoforo – Ungarelli Pietro – Teulié Filippo – Pallavicini Giulio – Beccaria Giulio – Arrigoni Galeazzo – Silva Bernardino, giudici.
Noghera Giovanni Battista – Somaglia Gaetano – Sanner Baldassare – Pecchio Pietro, giudici per i conti arretrati.
Crespi Luigi, Regio procuratore generale.
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Il Saint-Edme riferisce in questa nota: 1º il testo francese della Convenzione militare di Schiarino Rizzino, 16 aprile 1814 (vedasi anche nel Fabi, pag. 102-108); 2º il proclama del principe Eugenio ai soldati francesi, Mantova, 17 aprile 1814 (in Fabi, pag. 108-109); 3º l'indirizzo dell'armata francese al principe Eugenio, dello stesso giorno, firmato dai generali Grenier, Verdier, Vignolle, Marcognet, D'Anthouart, Fressinet, Quesnel, Rouyer, Mermet, Sainte-Laurent e Bode.