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quel che vogliono con la teorica del perdono; non conosco che il dovere, io, e so che il dovere è buono.

      – Debbo io dirvi tutto quello che penso, generale?

      – Ma sì, per bacco. Non lo dico io liberamente, approfittando della vostra licenza?

      – Ebbene, – rispose Maurizio, – vi dirò che il dovere è buono, perchè scende diritto diritto dalla legge morale; e la legge morale è Dio.

      – Ah, il gran cavallo di battaglia! Ma siete voi persuaso, caro amico, che Dio non sia una creazione dell’uomo?

      – Anche la morale, allora.

      – La morale, – sentenziò il castellano della Balma, – è l’utilità bene intesa, per cui solamente si conserva questa povera specie umana. Non fare ad altri quel che non vorresti che fosse fatto a te; fare ad altri quello che vorresti che fosse fatto a te.

      – Già, per dare il buon esempio, – replicò Maurizio, sorridendo; – ma gli altri lo seguiranno? ecco il busilli.

      – Seguano o non seguano, c’è tutta la morale umana in queste due massime. Conosco degli atei che vi conformano i loro atti assai meglio di tanti credenti.

      – Pur troppo, generale, pur troppo. Ma permettete, non scendiamo alle applicazioni; stiamo nel campo dei principii. Fare o non fare, secondo quelle due massime, è facile, ed anche può essere piacevole all’uomo incivilito. Ma come potete voi credere che l’uomo primitivo, l’uomo della selva, facesse ad altri quello che avrebbe voluto che si facesse a sè? —

      La domanda piaceva poco al generale; e dalla breve pausa che egli fece prima di rispondere, Maurizio potè credere che l’avversario si trovasse impacciato. Ma non era così; proprio allora il generale metteva in posizione le artiglierie.

      – Io non vi parlo dell’uomo primitivo; – disse egli, non potendo trattenere un’alzata di spalle. – Che c’entra qui l’uomo della selva? Buon padrone di aver fatto come gli sarà piaciuto, o tornato più comodo. L’uomo primitivo, per vostra norma e regola, era un antropopitèco. Vi maravigliate di sentirmi parlare con tanta asseveranza di quel grazioso animale? Nel fatto, io non ne so nulla; vi parlo con la scienza alla mano. Ho letto Darwin, mio caro; ho letto Huxley, Buchner, Mortillet, Spencer, tutta la scuola dei liberatori. L’antropopitèco non si è ancora trovato negli strati del terreno terziario; ma si troverà, non dubitate. E una necessità in terra, come certi corpi in cielo, per l’equilibrio del sistema planetario. Nella scala progressiva degli esseri, l’antropopitèco ha il suo posto: animale d’istinti maravigliosi, già dotato di qualche intelligenza, come sono del resto tanti animali meno progrediti di lui, egli ha fatta la sua strada, e nessun calendario gli ha misurato il tempo necessario alla sua legittima evoluzione. Il bisogno lo ha fatto industrioso; l’industria lo ha fatto civile; la civiltà lo ha fatto morale. Vi capacita?

      – Eh! – disse Maurizio, stringendosi nelle spalle, mentre in cuor suo si maravigliava forte di trovare sotto la spoglia di quell’uomo d’armi un lettore dei moderni evoluzionisti; – vuol esser dunque morale indipendente, la nostra?

      – Non mi spaventano i nomi; – replicò il generale.

      – Ebbene, – ripetè Maurizio, – non vi spaventino dunque le mie povere argomentazioni.

      – No davvero, sentiamole. —

      Qui fu una piccola interruzione nel dialogo. Dall’alto della gradinata, appariva la contessa Gisella, col suo cappellino di paglia in capo, l’ombrello da sole in mano e una borsa ad armacollo, che le dava un’aria graziosissima di pellegrina. La bella signora dagli occhi fosforescenti vide Maurizio, e scese lesta i gradini per venirlo a salutare.

      – Vado per affari, – diss’ella, porgendogli la mano. – Spero di ritrovarvi ancora al ritorno.

      – Oh, lo troverai; – gridò il generale. – Siamo affondati in una disputa che non finirà tanto presto.

      – Di che si tratta? – chiese ella, nell’atto di aprire il suo ombrellino.

      – Dell’antropopitèco; – rispose Maurizio, che in verità lo masticava male. – M’immagino che vi sarà noto, questo grazioso tipo di progenitore.

      – Ah sì, – diss’ella, sorridendo, – l’unica cosa brutta nella teorica di mio marito.

      – Ma necessaria; – soggiunse il generale; – necessaria come un anello nella catena. Se tu mi levi quell’anello, dov’è la continuità dell’evoluzione? dov’è la dottrina? —

      Maurizio non aveva da rispondere ad una argomentazione che non pareva fatta per lui. Nondimeno, ne prese appiglio per rivolgere una frase alla contessa Gisella.

      – Fortunatamente, – diss’egli, – nessuna dottrina mi farà credere che la contessa derivi da un antropopitèco. Passi per noi ominacci!

      – Ed ecco, ora puoi andare, bambina; – ripigliò il generale, mezzo burbero e mezzo faceto. – Il vicino è cavaliere, e il tuo complimento l’hai avuto. Accettalo come premio anticipato all’opera buona che fai.

      – Vado, vado; – rispose la bella signora, avviandosi. – E voi, conte, lasciatevi persuadere. La teorica della evoluzione richiede quell’anello. Ammasso quello, tutto il resto va da sè. —

      Ciò detto, si mosse leggera, lasciando la luce del suo sguardo celestiale e la fragranza della sua maravigliosa persona nell’aria. Un istante dopo, era sparita alla svolta del sentiero campestre, per cui soleva venire ogni giorno il signor di Vaussana.

      – Vedete quella donna, Maurizio; – disse il generale, continuando ad alta voce un discorso che era venuto facendo tra sè. – Ella è tutta bontà, tutta previdenza per la povera gente. Non c’è tugurio per queste montagne, dov’ella non porti una buona parola, e qualcosa di più, se bisogna. Ha sentito quest’oggi dal prete che è ammalata la moglie del pastore, lassù al Martinetto; e sùbito ha deciso di mettersi in campagna. Il prete non è andato; non andrà che chiamato, per portare tant’olio quanto ne sta sul polpastrello dell’indice, o del medio. Lei porta dell’altro; se le riesce, farà risparmiare al prete la sua trottata, alla chiesa la sua ditata d’olio. E notate, non crede alla morale dei vostri uomini neri. —

      Quel «vostri» non era un po’ troppo? Maurizio si sentì toccato sul vivo.

      – Che importa? – diss’egli, contenendosi ancora. – Crede alla santità del dovere, alla divinità della compassione, alla immortalità dell’anima umana.

      – No, sapete, crede semplicemente alla bontà della vita; obbedisce ad una legge di natura, intendendola un po’ meglio di tanti e tanti. E notate ch’io non ho avuto da istruirla. Era così, quando divenne mia moglie. È una testa forte.

      – Permettete ad una testa debole d’inchinarsi; – replicò Maurizio, facendo l’atto per l’appunto.

      Ma il generale era avviato, e non voleva fermarsi così presto.

      – Ecco, – diss’egli, – ora v’inalberate.

      – No, generale.

      – Allora, perchè vi tirate da banda, come se voleste uscire dal giuoco? Mi avevate pure promesso una argomentazione serrata!

      – Vero, ma siamo stati fortunatamente interrotti; ed ora che ho perso il filo… Nondimeno, per non parervi battuto e contento, vi dirò brevemente ciò che penso. Voi considerate la morale come l’effetto di una convenzione. Ora la morale per convenzione, dato che possano giungere a stabilirne una dei figli o nipoti di antropopitèchi, sarebbe una morale senza ragione in sè stessa. Vedetene la conseguenza. Se io so che la legge morale non ha nessuna sanzione, che non c’è nessun premio a chi segue, nessun castigo a chi viola la legge, non me ne farò più nè di qua nè di là, baderò al mio interesse, e buona notte al prossimaccio mio.

      – Signor Maurizio, i miei complimenti. Fate voi dunque il bene per un premio che ne sperate? vi astenete dal male per un castigo che ne temete?

      – No, generale,

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