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resta[85],

      mena li spirti con la sua rapina;

      voltando e percotendo li molesta.

      Quando giungon davanti a la ruina,

      quivi le strida, il compianto, il lamento;

      bestemmian quivi la virtù divina.

      Intesi ch’a così fatto tormento

      enno dannati i peccator carnali,

      che la ragion sommettono[86] al talento.

      E come li stornei ne portan l’ali

      nel freddo tempo, a schiera larga e piena,

      così quel fiato li spiriti mali

      di qua, di là, di giù, di sù li mena;

      nulla speranza li conforta mai,

      non che di posa, ma di minor pena.

      E come i gru van cantando lor lai[87],

      faccendo in aere di sé lunga riga,

      così vid’ io venir, traendo guai,

      ombre portate da la detta briga[88];

      per ch’i’ dissi: “Maestro, chi son quelle

      genti che l’aura nera sì gastiga[89]?”.

      “La prima di color di cui novelle

      tu vuo’ saper”, mi disse quelli allotta[90],

      “fu imperadrice[91] di molte favelle.

      A vizio di lussuria fu sì rotta,

      che libito fé licito in sua legge,

      per tòrre[92] il biasmo[93] in che era condotta.

      Ell’ è Semiramìs, di cui si legge

      che succedette a Nino e fu sua sposa:

      tenne la terra che ‘l Soldan corregge[94].

      L’altra è colei che s’ancise[95] amorosa,

      e ruppe fede al cener di Sicheo;

      poi è Cleopatràs lussurïosa.

      Elena vedi, per cui tanto reo

      tempo si volse, e vedi ‘l grande Achille,

      che con amore al fine combatteo.

      Vedi Parìs, Tristano”; e più di mille

      ombre mostrommi e nominommi a dito,

      ch’amor di nostra vita dipartille.

      Poscia ch’io ebbi ‘l mio dottore udito

      nomar[96] le donne antiche e ‘ cavalieri,

      pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.

      I’ cominciai: “Poeta, volontieri

      parlerei a quei due che ‘nsieme vanno,

      e paion sì al vento esser leggieri”.

      Ed elli a me: “Vedrai quando saranno

      più presso a noi; e tu allor li priega

      per quello amor che i mena, ed ei verranno”.

      Sì tosto come il vento a noi li piega,

      mossi la voce: “O anime affannate,

      venite a noi parlar, s’altri nol niega[97]!”.

      Quali colombe dal disio chiamate

      con l’ali alzate e ferme al dolce nido

      vegnon per l’aere, dal voler portate;

      cotali uscir de la schiera ov’ è Dido,

      a noi venendo per l’aere maligno,

      sì forte fu l’affettüoso grido.

      “O animal grazïoso e benigno

      che visitando vai per l’aere perso

      noi che tignemmo[98] il mondo di sanguigno,

      se fosse amico il re de l’universo,

      noi pregheremmo lui de la tua pace,

      poi c’hai pietà del nostro mal perverso.

      Di quel che udire e che parlar vi piace,

      noi udiremo e parleremo a voi,

      mentre che ‘l vento, come fa, ci tace.

      Siede la terra dove nata fui

      su la marina dove ‘l Po discende

      per aver pace co’ seguaci sui.

      Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,

      prese costui de la bella persona

      che mi fu tolta; e ‘l modo[99] ancor m’offende.

      Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

      mi prese del costui piacer[100] sì forte,

      che, come vedi, ancor non m’abbandona.

      Amor condusse noi ad una morte[101].

      Caina[102] attende chi a vita ci spense”.

      Queste parole da lor ci fuor porte.

      Quand’ io intesi quell’ anime offense,

      china’ il viso, e tanto il tenni basso,

      fin che ‘l poeta mi disse: “Che pense?”.

      Quando rispuosi, cominciai: “Oh lasso[103],

      quanti dolci pensier, quanto disio[104]

      menò costoro al doloroso passo!”.

      Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,

      e cominciai: “Francesca, i tuoi martìri

      a lagrimar mi fanno tristo e pio.

      Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,

      a che e come concedette amore

      che conosceste i dubbiosi disiri[105]?”.

      E quella a me: “Nessun maggior dolore

      che ricordarsi del tempo felice

      ne la miseria; e ciò sa ‘l tuo dottore.

      Ma s’a conoscer la prima radice

      del nostro amor tu hai cotanto affetto,

      dirò come colui che piange e dice.

      Noi leggiavamo un giorno per diletto

      di Lancialotto come amor lo strinse;

      soli eravamo e sanza alcun sospetto.

      Per più fïate

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<p>85</p>

mai non resta – che non avrà mai fine e trascina con il suo impeto rapace

<p>86</p>

sommettere = sottomettere

<p>87</p>

lai – cantilena lamentosa

<p>88</p>

briga = tempesta

<p>89</p>

gastigare = castigare

<p>90</p>

allotta = allora

<p>91</p>

imperatrice

<p>92</p>

togliere

<p>93</p>

biasmo = biasimo

<p>94</p>

che ‘l Soldan corregge – che il Sultano d’Egitto governa

<p>95</p>

ancidere = uccidere

<p>96</p>

nominare

<p>97</p>

s’altri nol niega – se l’imperscrutabile potenza divina non lo vieta

<p>98</p>

tingere

<p>99</p>

e ‘l modo – la morte violenta che non le permise di pentirsi

<p>100</p>

del costui piacer – della bellezza di questi

<p>101</p>

ad una morte – a morire insieme

<p>102</p>

Caina – è la parte del nono cerchio dell’Inferno dove sono dannati i traditori dei parenti

<p>103</p>

oh lasso – espressione di doloroso rammarico: ohimé!

<p>104</p>

quanto disio – quanto desiderio condusse costoro al tragico passaggio dalla vita alla morte eterna

<p>105</p>

dubbiosi disiri – l’amore, che ancor non si era rivelato