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quel cane d’un cingalese, se tentasse di opporsi alla nostra fuga. Non preoccupatevi per me, signor Will. Domani sera io sarò pronto; la mia guarigione si completerà, e meglio, sul mare indiano.»

      «Avete la macchinetta, signor Will?» chiese il mulatto.

      «L›ho nascosta nel materasso.»

      «Avete capito come deve essere adoperata? Basta caricarla e la piccola sega circolare agirà da sola senza fare il minimo rumore. L’ho già prestata due volte ed ha servito a far fuggire ultimamente quel povero Bed che è stato divorato dalle tigri sulle rive del Silak. Mi è costata un anno di lavoro, eppure agisce meglio di tutte le lime del mondo.»

      «Purché sul più bello non veniamo sorpresi dal sorvegliante, che è di guardia nel corridoio,» disse Will.

      «Pregherò Foster di assumere il quarto e m›incarico io di ubriacarlo. Quando ha una bottiglia fra le mani non si muove più, finché non è vuota».

      «E le sentinelle?»

      «Non ve ne sono che due e anche quelle berranno. Calatevi dalla parte del magazzino e seguite il viale che conduce all›imbarcadero ed io rispondo di tutto. A domani, fra le undici e la mezzanotte, checché debba accadere. O ci uccideranno o noi posdomani saremo ben lontani dalle Andamane.»

      «Dove sarai tu?» chiese Will.

      «Presso le sentinelle, con un paio di bottiglie; prima però debbo avvertirvi se nessun pericolo vi minaccia. Le guardie non si rifiuteranno di bere e mentre io le terrò occupate, voi filerete e vi nasconderete nella scialuppa. Empirò prima il forno di canape ben imbevuta di petrolio e di grasso, onde ottenere subito la pressione occorrente. Buona sera e fidatevi di me.»

      «Una parola ancora,– disse il quartiermastro. – Non andare col Guercio disarmato.»

      «Avrò un buon coltello in tasca e se cercherà di scoprire il nostro piccolo deposito, lo ucciderò senza misericordia, – rispose il mulatto con accento risoluto. – A domani e non esitate.»

      «Va› tranquillo,» risposero Will e Palicur.

      Il mulatto, che non voleva destare sospetti nel sorvegliante, aprì la porta e giunse nel corridoio.

      L’irlandese era seduto dinanzi ad un piccolo tavolo, coi gomiti appoggiati e la testa fra le mani, in adorazione dinanzi alla bottiglia quadrata, che non doveva ormai più contenere nemmeno una goccia di ginepro.

      «Mi sono fatto aspettare un po› troppo, è vero, signor Foster?» disse Jodv.

      L’irlandese alzò la testa, guardandolo con due occhi smorti, e sorrise beatamente, borbottando.

      «Eccellente… bedahharrah… eccellente. Jody… sei un bravo ragazzo… hai il cuore largo… tu… figliolo.»

      «Sì, è squisito il ginepro del governatore, – rispose il mulatto. – Anche domani avrò un›altra di quelle bottiglie. Ho scoperto un certo luogo ove i granchi di mare si radunano in buon numero e conto, domani sera, di portarne non meno di cinque o sei al governatore.»

      «E ti regalerà… un›altra bottiglia?»

      «È sempre generoso con me, il governatore.»

      «E m›inviterai a berla?»

      «Ve l›offrirò come questa sera, purché mi permettiate di darne un bicchiere ai due ammalati e che vi troviate qui di guardia.» L’irlandese lo guardò cogli occhi umidi.

      «Buon ragazzo… cuore eccellente… mio buon amico… fior di galantuomo… Tu non dovresti rimanere in questo paese… figliuol mio.»

      «Disgraziatamente, non siete il governatore,» disse Jody, ridendo.

      «Ma se lo fossi… se lo fossi… io… io…»

      «Mi terreste più d›occhio, è vero, signor Foster?»

      L’irlandese fece col capo e colle mani un segno di viva protesta.

      «Dunque vi troverete qui, domani sera?» chiese Jody.

      «Vorresti tu che rinunciassi a quel… quel… dolce nettare… di Belzebù?»

      «Avrete la bottiglia. Buona sera, signor Foster.»

      «Addio bravo… ragazzo… mio dolce… amico… cuor d›oro.»

      «E volpone finissimo, – mormorò il mulatto, allontanandosi rapidamente. – Quella bottiglia ti costerà un mese di prigione, triplice imbecille.»

      Uscì dal fabbricato per recarsi nella sua capanna; ma aveva fatto appena alcuni passi, quando vide un’ombra umana staccarsi dal muro e scivolare silenziosamente in mezzo ad una folta macchia di dammar all’estremità del viale che metteva all’imbarcadero.

      «Mi spiano, – mormorò il mulatto, trasalendo. – Non può essere che quel cane d›un Guercio.»

      Si frugò nelle tasche, trasse un coltello che aperse con un colpo secco e si slanciò verso il viale, colla speranza di sorprendere lo spione. Non scorse nessuno, né udì alcun rumore. Ripiegò verso la macchia e la percorse in tutti i sensi, senza nulla trovare.

      «Se non temessi di compromettermi e di mandare all’aria la fuga progettata, lo ucciderei, – disse. – Bada a te, Guercio! Potresti non tornare vivo dalla scogliera e finire fra le branche dei granchi di mare!»

      5. Una caccia ai granchi di mare

      Il sole stava per tuffarsi nelle glauche acque dell’Oceano Indiano, in mezzo a una nuvola fiammeggiante, quando Jody scese la spiaggia per recarsi, come soleva fare tutte le sere, alla pesca dei granchi di mare pei quali il governatore nutriva una vera passione.

      Il Guercio vi era di già, e, vedendo comparire il macchinista, abbozzò un sorriso piuttosto maligno e si levò, dicendo con studiata noncuranza. «Credevo che non venissi a pescare questa sera, Jody, e stavo per andarmene.»

      «E perché, se ti avevo dato la mia parola di condurti con me alla pesca?» chiese il mulatto, che lo osservava attentamente.

      «Non so, era una mia idea, – rispose il cingalese. – Sei certo di prendere qualche granchio?»

      «Non torno mai a mani vuote.»

      «Allora ho fatto bene a non cenare, mi rifarò colla polpa bianca di quei deliziasi crostacei.»

      «Sali e prendi i remi. La scialuppa è pesante e in due faremo più presto.»

      Il cingalese ubbidì, collocandosi sul banco di prora, mentre il mulatto si sedeva dietro la macchina sul banco di poppa.

      L’imbarcazione, sotto la spinta dei quattro remi, si staccò dalla spiaggia e si diresse lentamente verso la scogliera dei granchi. Era, più che una scogliera, un isolotto lungo un mezzo miglio e non più largo di cinquanta metri e chiudeva quasi interamente la baia di Port-Cornwallis, proteggendola efficacemente dai venti di levante e dalle onde.

      La cima ed i pendii, che erano piuttosto ripidi, erano coperti di cocchi, i cui rami si piegavano sotto il peso delle grosse noci giunte ormai quasi a maturazione perfetta. Erano appunto quelle piante ad attirare sulla scogliera i grossi granchi di mare, i birgus-latro, crostacei ghiottissimi delle noci di cocco, non meno che delle frutta dei pandani.

      Il suolo dell’isolotto era già coperto di un gran numero di gusci di cocco, completamente vuotati dagli avidi crostacei, i quali pareva si fossero riservati dei diritti d’esclusività su quelle piante, diritti che d’altronde nessuno pensava a contrastare loro, essendovi cocchi in abbondanza sulle spiagge delle Andamane.

      Un quarto d’ora dopo, la scialuppa si amarrava in una minuscola caletta, difesa da una serie di punte rocciose che formavano una solida barriera contro la risacca.

      «Che ve ne siano di già?» chiese il cingalese, mentre gli ultimi raggi di sole si spegnevano rapidamente e le tenebre invadevano il cielo.

      «Ho collocato le esche stamane, – rispose il macchinista. – Appena l’oscurità avvolgerà la scogliera li vedrai giungere.»

      «Che specie di esca?»

      «Delle

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