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misero febbrilmente all’opera, levando il carbone che si trovava nel centro della scialuppa ed accumulandolo invece a prora. Bastarono venti minuti per mettere allo scoperto l’elica. Come Jody aveva previsto, le tre pale erano state contorte in tal modo dai tentacoli del calamaro, da non servire più a nulla.

      «Bell›affare, se non ne avessimo avuto una di ricambio,» brontolò. Svitò quella guasta e collocò al suo posto l›altra che aveva levato dalla sua cassa.

      «Partiamo,» disse, quando l’operazione fu finita.

      Rigettarono parte del carbone intorno alla macchina per meglio equilibrare la scialuppa e alle quattro, nel momento in cui il primo raggio di sole illuminava le acque dell’Oceano Indiano, ripresero la loro corsa verso il sud, tenendosi ad un paio di miglia dalla costa.

      Avevano percorso appena tre gomene, quando scorsero a fior d’acqua una enorme massa biancastra che le onde trastullavano.

      «Il calamaro! – esclamò Palicur, che per primo l›aveva scoperto. – Ecco un buon boccone pei pescecani.»

      «Morto?» chiesero ad una voce Jody e Will.

      «Se fosse ancora vivo avrebbe la tinta rossastra.»

      «Cambiano colore come i camaleonti, questi mostri?» chiese il mulatto.

      «Né più né meno, Jody.»

      «Sono buoni da mangiarsi?»

      «Non ho mai veduto nessuno nutrirsi di quelle carni appestate di muschio. Eppure a Manaar se ne uccidono sovente.»

      «Ah! È vero, anzi tu hai corso il pericolo di venire dissanguato, è vero Palicur?»

      «Sì, Jody, e ti assicuro che me la sono veduta molto brutta, tutte e due le volte.»

      «Narra un po›, malabaro, giacché nessun pericolo ci minaccia, per ora.»

      «E inganneremo meglio il tempo,» disse il quartiermastro.

      «Il primo che uccisi lo incontrai all›entrata della baia di Condatsci. Stavo perlustrando un banco, in un luogo ove l›acqua era profonda una diecina di metri, ma così limpida da lasciar scorgere distintamente i gruppi di ostriche perlifere, quando i miei occhi caddero su due specie di braccia che uscivano dal crepaccio d’una roccia sottomarina.

      «Curioso di sapere di che cosa si trattasse ed essendo io allora già un abilissimo palombaro, capace di rimanere sott’acqua perfino un minuto e mezzo, mi lasciai andare a picco, stringendo fra le gambe la pietra in forma di pan di zucchero di cui ci serviamo noi per discendere più rapidamente.

      «Avevo appena toccato il fondo, quando mi sentii afferrare attraverso il corpo, provando nel medesimo tempo come l›impressione di una scottatura. Avendo smosso la sabbia, dapprima non potei discernere nulla; quando l›acqua si schiarì scorsi, con mia non lieta sorpresa, uno di quei vampiri dell’oceano.

      «Si era avvinghiato al mio corpo con tutti i tentacoli; gli occhi del mostro, quegli occhi enormi e glauchi, erano fissi su di me, immobili, come per meglio assaporare il mio supplizio; e attraverso quel corpo quasi trasparente vedevo il mio sangue travasato scorrere dalle ventose alla bocca e passare quindi nel ventricolo.»

      «Palicur, mi fai drizzare i capelli,» disse Jody.

      «Radunai tutte le mie forze e, riuscito ad estrarre il coltello, mi misi a tempestare il vampiro così rabbiosamente da costringerlo a lasciarmi finalmente libero.

      «Non era però ancora finita. La barca che montavo era condotta da un ragazzo cingalese e quello stupido, vedendomi alle prese con quel mostro, invece di attendermi era fuggito verso riva.»

      «Io mi sarei lasciato dissanguare dal mostro,» disse Jody.

      «Io non la pensavo invece così, – rispose il pescatore di perle. – A vent›anni non ci si lascia vincere troppo facilmente e l’idea di morire in fondo al mare non sorride affatto.

      «Quando tornai a galla e non vidi più il canotto, cercai anch›io di salvarmi verso la costa, ma mi sentii afferrare di nuovo per le gambe da uno di quei tentacoli e trascinare sott’acqua. Il calamaro, stuzzicato dalle prime sorsate di sangue che mi aveva succhiate, pareva risoluto a finirmi completamente.

      «Toccai fondo a cinque o sei metri di profondità ed essendomi nuovamente liberato dalla stretta, cercai di avanzare sul fondo per raggiungere la riva che non doveva essere lontana. L’impresa non era facile perché il banco era assai scabroso in quel punto e io avevo sempre addosso il calamaro che non mi lasciava un solo momento.»

      «Trascinandomi penosamente e lentamente, lottando coi pugni e coi piedi, finii per raggiungere le acque basse e potei emergere dal mare più che mezzo. Il polipo, che mi aveva sempre seguito, tentò allora l’ultimo attacco, gettandosi su di me con tutta la sua mole e avvinghiandosi colle sue terribili ventose al mio corpo. Male però gliene incolse, perché fui pronto a rovesciargli, come un guanto, quella specie di cappuccio che forma la sua testa e a fargli così perdere immediatamente le forze.

      «I pescatori di perle, miei compagni, mi avevano insegnato quel colpo, e mi riuscì così bene che vidi i tentacoli del mostro perdere la loro forma rotonda, i succhiatori non formare più il vuoto come pompe aspiranti e staccarsi da me, ed il corpo, schifoso sacco che si vuota per empirsi di sangue, massa gelatinosa che acquista nel momento della lotta la tenacità del cuoio e la trasparenza del cristallo, diventare ad un tratto floscio e cadere intorno a me come un cencio. Il polipo era morto.»

      «Ecco una terribile prova, – disse il quartiermastro della Britannia, – e che pochi uomini avrebbero potuto sopportare.»

      «La seconda è stata ancora più tremenda, signor Will, – disse il malabaro. – Ero sceso in fondo al mare un po› al nord del grande banco di Manaar per esaminare quelle sabbie e quelle rocce prima di farvi discendere i miei palombari, e sapendo che quelle acque erano frequentate dai pescicani, mi ero armato d’un palo di ferro assai aguzzo e mi ero fornito d’una certa quantità di calce in polvere, avviluppata in una foglia onde accecarli se mi avessero assalito.

      «Ero calato dinanzi ad un ammasso di macigni, quando, girando intorno lo sguardo, vidi fra due rocce gli occhi di un enorme vampiro dell’oceano che mi guardavano fissamente. Prima che mi fosse possibile assalirlo, quello mi scaricò addosso un tale uragano d’inchiostro che non potei scorgere più nulla intorno a me.

      «Avevo già abbandonato la pietra per rimontare alla superficie, allorché con terrore sentii il polipo scivolarmi lungo il dorso e prendermi per un braccio con tale forza che ebbi l›impressione di essere stretto da una vera morsa.

      «Voi sapete se sono robusto. Cercai con tutte le mie forze di liberarmi e di servirmi del palo: fatica inutile. Per colmo di sventura uno dei tentacoli mi si fissò sull›occhio sinistro che tenevo spalancato, dimodoché io non avevo più libero che il destro. Potete immaginarvi facilmente l’orrore della mia situazione.

      «Fui soffocato; quasi privo di sensi, ebbi però ancora la forza d›animo di rimanermene tranquillo nella speranza che qualcuno dei miei compagni, non vedendomi comparire alla superficie, giungesse in mio aiuto.

      «Fu la mia salvezza. Un mio amico, immaginandosi che qualche cosa di grave mi fosse toccato, spezzò una noce di cocco e spremette sull›acqua alcune gocce d›olio per cercare di discernere ciò che accadeva in fondo al mare. Visto il polipo, s’immerse subito armato d’un coltellaccio e assalì il mostro con tanto vigore che quello, non trovando di suo gradimento quei colpi, mi lasciò, nascondendosi nelle sabbie.

      «Quando tornai a galla ero completamente sfinito. Il sangue mi sgorgava dagli occhi e dagli orecchi e il mio ventre era gonfio come una botte per la grande quantità d’acqua che avevo assorbito. Per qualche tempo credetti che il mio occhio sinistro fosse perduto, essendo stato succhiato dalla ventosa del vampiro, e dovetti rimanere coricato nella mia capanna più di quaranta giorni, prima di rimettermi completamente dalla terribile emozione provata.»

      «Aspetta che vada ad affrontarli io, – disse Jody. – Sarei sicuro di morire di paura. Ma già, io non sono nato per diventare un pescatore di perle»

      9. Le isole Nicobare

      Ventiquattro

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