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emise un urlo e indietreggiò, vacillando, fino al muro.

      – Quale somiglianza!… – esclamò. – Quale somiglianza!

      La pazza non si era mossa, conservava una immobilità assoluta, ma guardava fisso il pirata.

      D’improvviso fece due passi innanzi e pronunciò una parola:

      – Dei thugs?

      – No – disse Kammamuri che l’aveva seguita. – No, padrona, non sono thugs.

      Ella scosse il capo, si avvicinò a Sandokan che pareva non fosse capace di staccarsi dal muro, e gli mise una mano sul petto. Pareva che cercasse qualcosa.

      – Dei thugs? – ripeté ella.

      – No, padrona, no – disse il maharatto.

      Ada aprì il gran mantello di seta bianca mettendo allo scoperto una corazza d’oro tempestata di grossi diamanti, in mezzo alla quale campeggiava, in alto rilievo, un serpente con la testa di donna.

      Guardò a lungo quel misterioso simbolo degli strangolatori indiani, poi guardò il petto di Sandokan.

      – Perché non vedo il serpente? – chiese con voce lievemente alterata.

      – Perché questi uomini non sono thugs – disse Kammamuri.

      Un lampo balenò negli occhi della pazza, ma subito si spense. Aveva compreso ciò che aveva detto Kammamuri? Forse.

      – Kammamuri – disse Yanez sottovoce. – Se tu pronunciassi il nome del suo fidanzato?

      – No, no! – esclamò il maharatto con terrore. – Essa cadrebbe in

      deliquio.

      – È sempre così tranquilla?

      – Sempre, ma fate che non oda lo squillo di un ramsinga o di un tarè, e che non veda un laccio o una statua della dea Kalì.

      – Perché?

      – Perché allora fugge e per parecchi giorni delira.

      In quell’istante la pazza si volse, dirigendosi a lenti passi verso la porta. Kammamuri, Yanez e Sandokan, il quale si era rimesso dalla sua viva commozione, la seguirono.

      – Che cosa vuol fare? – chiese Yanez.

      – Non lo so – rispose il maharatto.

      La pazza, appena uscita, si era arrestata, guardando con curiosità le trincee e le palizzate che difendevano la capanna, poi s’incamminò verso l’orlo della gigantesca rupe, guardando il mare che muggiva lungo le scogliere dell’isola.

      D’un tratto si chinò, come se volesse ascoltare meglio lo strepito delle onde, poi scoppiò in una risata argentina, esclamando:

      – Il Mangal!

      – Che cosa dice? – chiesero ad una voce Sandokan e Yanez.

      – Credo che scambi il mare per il fiume Mangal che bagna l’isola dei thugs.

      – Povera giovane! – esclamò Sandokan sospirando.

      – Speri di farla ritornare in sé? – chiese Yanez.

      – Sì, lo spero – rispose Sandokan.

      – In qual modo?

      – Te lo dirò quando avremo liberato Tremal-Naik.

      – Verrà con noi quella disgraziata?

      – Sì, Yanez. Durante la nostra assenza gli Inglesi potrebbero gettarsi su Mompracem e portarcela via.

      – Quando si partirà? – chiese Kammamuri.

      – Subito – disse Sandokan. – Abbiamo molta strada da percorrere e l’Helgoland forse non è molto lontano.

      Kammamuri prese per mano Ada e scese la scaletta, seguito dalla Tigre della Malesia e da Yanez.

      – Che impressione ti ha fatto quella sventurata? – chiese il portoghese a Sandokan.

      – Un’impressione dolorosa, Yanez – disse il pirata. – Ah, potessi un giorno farla felice!

      – Somiglia alla defunta Marianna?

      – Sì, sì, Yanez! – esclamò Sandokan con voce commossa. – Ha gli stessi lineamenti della mia povera Marianna!… Basta, Yanez, non parliamo più di quella morta. Ciò mi fa soffrire, immensamente soffrire!

      Erano allora giunti alle prime capanne del villaggio. Proprio in quel momento i prahos, carichi del bottino tolto alla Young-India, entravano nella baia.

      Gli equipaggi, scorgendo il loro capo, lo salutarono con evviva entusiastici, agitando freneticamente le armi.

      – Viva l’invincibile Tigre della Malesia! – urlavano.

      – Viva il nostro valoroso capitano! – rispondevano i pirati del villaggio.

      Sandokan, con un solo gesto della mano, chiamò attorno a sé tutti i pirati, i quali non erano meno di duecento, la maggior parte malesi e dayachi del Borneo, uomini coraggiosi come leoni, feroci come tigri, pronti a farsi uccidere per il loro capo che adoravano come una divinità.

      – Ognuno mi ascolti – diss’egli. – La Tigre della Malesia sta per intraprendere una spedizione che forse costerà la vita a gran numero di noi.

      Tigrotti di Mompracem, sulle coste del Borneo regna un uomo, figlio d’una stirpe che tanto male ci inflisse e che noi odiamo, un inglese, tiene in sua mano un mio amico, il fidanzato di questa povera pazza che è cugina della defunta regina di Mompracem.

      Un urlo immenso s’alzò attorno a Sandokan.

      – Lo si salvi!… lo si salvi!…

      – Tigrotti di Mompracem, io voglio salvare il fidanzato di questa infelice.

      – Lo salveremo, Tigre della Malesia, lo salveremo!… Chi lo tiene prigioniero?

      – Il rajah James Brooke, lo sterminatore dei pirati.

      Questa volta non fu un urlo quello che irruppe dai petti dei pirati, fu un ruggito d’ira da far fremere:

      – Morte a James Brooke!…

      – Morte allo sterminatore dei pirati!

      – A Sarawak!… tutti a Sarawak!…

      – Vendetta, Tigre della Malesia!

      – Silenzio! – tuonò la Tigre della Malesia. – Karà-Olò, fatti innanzi.

      Un uomo gigantesco, dalla pelle giallastra, le membra cariche di anelli di rame e il petto adorno di perle di vetro, di denti di tigre, di conchiglie e di ciuffi di capelli, gli si avvicinò, impugnando un pesante sciabolone che si allargava verso l’estremità.

      – Quanti uomini conta la tua banda? – gli chiese Sandokan.

      – Ottanta – rispose il pirata.

      – Hai paura di James Brooke?

      – Non ho mai avuto paura di nessuno. Quando la Tigre della Malesia mi ordinerà di gettarmi su Sarawak, io l’assalirò e dietro a me verranno tutti i miei uomini.

      – T’imbarcherai con l’intera banda sulla Perla di Labuan. Non occorre che ti dica che il praho deve essere zeppo di palle e di polvere.

      – Sta bene, capitano.

      – Ed io, che cosa dovrò fare, capitano? – chiese un vecchio malese, sfigurato da più di venti cicatrici.

      – Tu, Nayala, rimarrai a Mompracem con le altre bande; lascia che vadano i giovani a Sarawak!

      – Rimarrò qui, giacché me l’ordinate, e difenderò l’isola finché avrò una goccia di sangue nelle vene.

      Sandokan e Yanez si intrattennero ancora a parlare coi capitani delle bande, indi salirono nella grande capanna.

      I loro preparativi furono brevi. Nascoste sotto le vesti alcune borse contenenti grossi diamanti, per un valore di forse due milioni, e scelte le carabine, le pistole, le scimitarre ed i kriss dalla punta

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