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Sotto il velame: Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro. Giovanni Pascoli
Читать онлайн.Название Sotto il velame: Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro
Год выпуска 0
isbn 4064066070403
Автор произведения Giovanni Pascoli
Жанр Языкознание
Издательство Bookwire
diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d'ira,
voci alte e fioche;
qua la contentezza che si dimostra col canto:[168]
Summae Deus clementiae nel seno del grande ardore allora udii cantando...
e vidi spirti per la fiamma...
Son contenti nel foco: come dire cantano nel seno del grande ardore, per la fiamma.
I primi dunque che, con la scorta di Virgilio, Dante vide, invocano la morte, senza la quale non possono passare l'Acheronte. Non possono, perchè l'Acheronte non si passa che da morti, ed essi sono vivi. Vivi, sì, di cieca vita, ma vivi; non ben morti, diciamo. Ma Dante passa; dunque ben muore.
Noi profondiamo nel miro gurge; e sentiamo il freddo e la vertigine dell'abisso: Noi scendiamo nel cupo del pensiero Dantesco, per la prima volta dopo sei secoli.
II.
Quella che le anime triste cogli angeli ignavi invocano, è la seconda morte: seconda, pur morte. Qual è questa seconda morte? E quella, come dice S. Agostino,[169] che tocca all'anima. “Sebbene veracemente l'anima sia detta immortale, pure ha una cotal sua morte... La morte dell'anima è quando l'abbandona Dio, come del corpo, quando lo abbandona l'anima...„ E si chiama seconda, perchè segue, perchè è dopo la prima. Ora sì quelli che sono passati oltre Acheronte e che abitano nei cerchi dell'inferno, sono morti di questa seconda morte, perchè la loro anima è abbandonata da Dio; e non sono morti della medesima seconda morte gli sciaurati del vestibolo, perchè sono sdegnati bensì dalla misericordia, ma anche dalla giustizia; e sì Dante di questa seconda morte non poteva morire, perchè non era morto della prima; che la seconda segue la prima. Dunque, se, per passare Acheronte, egli doveva morire, morire della prima doveva e non della seconda. E della prima, egli ci significa che morì.
Di vero, al tremor della terra, egli si sentì bagnar di sudore, del sudore di morte; al balenar della luce vermiglia, cessò ogni suo sentimento: cadde: parve addormirsi. E quel sonno fu l'alto sonno. E da quell'alto sonno, dove si risvegliò? Si risvegliò nel regno dei morti, regno sconosciuto e deforme. Egli guardava e riguardava:[170]
fiso riguardai
per conoscer lo loco dov'io fossi.
Vero è che in su la proda mi trovai
della valle d'abisso.
Vero è, per quanto inverosimile. Nel regno dei morti si trovò, nella tomba dove si trovano i morti. Quella era la grande tomba. Dante lo dice:[171]
Loco è laggiù, da Belzebù remoto
tanto quanto la tomba si distende.
L'aura che v'è dentro è aura morta.[172] Per un pertugio tondo si vede luce: pertugio di sepolcro.
Morì, adunque. Alla morte lo condusse Virgilio. Eppure questi dice:[173]
fui mandato ad esso
per lui campare, e non v'era altra via che questa per la quale io mi son messo.
Per la via della morte? per scamparlo da morte, s'era messo per la via della morte?
Sì. Il pensiero scorre limpido ma profondo; e, perchè profondo sebben limpido, è come l'acqua di Letè, che nulla nasconde, e pur si muove,
bruna bruna
sotto l'ombra perpetua...
sotto l'ombra del mistero cristiano.
Dice S. Paolo:[174] “Ignorate, o fratelli, che quanti fummo battezzati In Gesù Cristo, fummo battezzati nella morte di lui? Siamo stati seppelliti, mediante il battesimo, con lui alla morte (in mortem), affinchè come esso risorse dai morti, per la gloria del padre, così noi camminiamo nella novità della vita„. Da questo e altri luoghi dell'apostolo delle genti, i mistici, e a capo di loro S. Agostino, hanno tratti molti profondi concetti, i quali Dante ha atteggiati e dramatizzati per sempre. In lui e per lui l'astrazione palpita e il mistero cammina e si vede. Or noi vediamo qui Dante morire ed essere seppellito, poichè alla fine esce da una tomba. Non è egli seppellito alla morte? non egli è seppellito dopo il battesimo? sì che poi cammina per la via nuova del solingo piano, sotto ignote stelle, presso acque ignote[175]. Nè tuttavia risorge allora veramente, come vedremo. Sì. Abbiamo detto che il vestibolo rappresenta lo stato dell'anima di chi non fece atto di libero arbitrio, come se non avesse ricevuto quel lume di grazia, che fa discernere il bene dal male. Questo lume, questa prudenza si infonde col battesimo negli uomini, per non parlare qui degli angeli. Or quelli sciaurati è come se non fossero battezzati. E simile è la selva al vestibolo, e Dante nella selva era come un ignavo nel vestibolo. Dunque era come non battezzato.[176] Il suo uscir dal vestibolo, passando l'Acheronte, è come dunque il suo passar la selva: è riacquistare quel lume e quella libertà che il battesimo infonde.
Ora il battesimo è appunto la morte mistica dell'anima.[177] Noi siamo battezzati nella morte di Gesù. E Gesù, per ciò che morì (sono parole di Paolo), morì al peccato; il che dichiara S. Agostino dicendo che non propriamente al peccato morì, ma alla carne cioè alla somiglianza del peccato.[178] E noi perciò in lui, cioè nella sua morte, cioè nel nostro battesimo, moriamo al peccato. E il peccato è la morte; dunque moriamo alla morte. Dante muore alla morte, cioè rinasce alla vita, perchè quella morte mistica è una natività.[179]
Ora se chi muore, prima era vivo, anche chi rinasce, doveva prima essere morto. Questo noi dobbiamo aspettarci che Dante dica di sè, se ciò che dimostrai vero, è vero. Ebbene sì, Dante prima d'uscir dalla selva, la quale è uguale al vestibolo, era morto, o quasi morto. La selva
tanto è amara che poco è più morte.
E abbiamo spiegato perchè egli era quasi morto, non morto del tutto. Egli aveva avuto il lume di grazia, e questo di quando in quando tornava a splendere per lui. E così quelli del vestibolo il lume l'ebbero, se il volere non lo vollero avere; e sono perciò anch'essi quasi morti, non al tutto morti. Difatti invocano la morte. Ma vivi del tutto non sono per ciò, che la loro vita è cieca e bassa.
Ma una differenza è pur essenziale tra l'errante nella selva e i correnti nel vestibolo. Questa: che l'uno è corporalmente vivo, gli altri sono corporalmente morti. Or la morte che Dante patisce dentro la selva è una quasi morte dell'anima, come quella che hanno gl'ignavi. Che cosa libera l'uno e che cosa libererebbe gli altri da questo destino, da questa quasi morte? Il passo della selva e il passo dell'Acheronte. L'uno, con esso, muore alla morte, cioè rinasce alla vita; gli altri avrebbero quella che invocano, la seconda morte. L'Acheronte, per uno corporalmente vivo, è la morte mistica, ossia la rinascita; per uno corporalmente morto, è la morte spirituale. Chi lo passa muore; se è corporalmente vivo, alla morte; se è corporalmente morto, della morte: alla morte e della morte seconda.
Gl'ignavi, se volevano morire di quella morte mistica che è morte alla morte e nascita alla vita, dovevano, quando erano vivi, uscir dalla selva, dove chi si aggira è come morto, e vive non vivo. Ma essi, no, non furono mai vivi, e si aggirarono sempre per la selva, in cui era bensì luce, e luce di luna piena, ma quale essi non usarono per uscire dai pruni della servitù. Non vollero essi quella morte che è la vita, e perciò vivi non furono. Per essere vivi, dovevano mettersi per quel passo: morire. Errarono invece irresoluti nel fioco lume della selva selvaggia, come ora corrono senza effetto nel fioco lume del vestibolo. La selva aveva il passo, per il quale potevano trovar la morte che è vita; il vestibolo anch'esso ha un passo, per il quale essi non saprebbero trovare se non quella morte che è la morte totale, dell'anima. Ma nè per quello vollero mettersi, quand'erano corporalmente vivi, e così non vissero mai, perchè non morirono della