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tiri papeschi fruttarono da un lato la presagita rottura, ma dall'altro eziandio augumento di forze ai nemici, imperciocchè svegliatisi proprio su l'orlo del precipizio si assembrassero ad Ulma per provvedere alla necessità della guerra: presto andava la Germania in fiamme: le chiese, le cattedre, i fori, e le campagne echeggiavano del grido popolesco (il quale se durasse quanto è potente, non continuerebbe a strascinare la sua catena il mondo) Patria e Libertà; si arrolano soldati, si muniscono terre, si mandano oratori agli Svizzeri ed ai Veneziani per averli confederati, alla peggio amici coperti o neutrali. I Veneziani scaltriti ricevono gli oratori a braccia quadre, e subito si mettono a zelare gl'interessi dei protestanti con inestimabile ardore: cotesti buoni Alemanni maravigliavansi possedere nei veneziani senatori così sviscerati fratelli; il fatto era che i Veneziani, aborrendo cotesta guerra come pericolosa alla Repubblica e alla Italia, ragionavano così: se cesare vince, mangia il papa e noi; se perde, questi bestioni di luterani inondano la Italia per vendicarsi del papa, e a tutti i principi italiani tocca a pagare i cocci. Per queste cose non mancarono di farne ufficio col papa per parole e per lettere, ma senza pro, essendo ormai tratti i dadi.

      I pelaghi di Carlo nella massima parte scorbacchiati qualche cosa fruttarono sempre; se gli si smagliò in parte la rete, fu merito del papa, e se la legò al dito: i principi brandeburghesi di Bareit e di Aaspak pertanto lasciaronsi pigliare; Maurizio di Sassonia per non parere pattuì con Ferdinando re dei Romani che si sarebbe mantenuto neutrale di mezzo finchè l'elettore Giovanfederigo non dichiarasse la guerra allo imperatore; in questa riuniranno le armi, ed assalito e vinto lo elettore, terranno lo stato ai suoi aderenti ed a lui, poi di santo accordo se lo divideranno: consiglio iniquo che partorì pessimi frutti a Maurizio, però che chi comincia il conto con la cupidità ordinariamente lo salda col danno. Cesare si valse eziandio delle nozze, profittevoli sempre alla casa di Austria; di due sue nepoti una allogò in casa di Baviera, l'altra in quella del duca di Cleves; vero è che questa era stata promessa al principe di Navarra, ma l'interesse scioglie bene altri nodi che questi non sono.

      Di giorno in giorno crescono le offese. Il langravio Filippo, foggia di Aiace germanico di forma gigante, armato da capo a piedi di piastra e di maglia, andava iattando bastargli l'animo dentro tre mesi rincacciare lo imperatore fuori dei confini germanici; insieme uniti i principi collegati mandano intorno un bando: veruno si attenti pigliare soldo sotto principe che il proprio naturale non sia; la sentenza di cesare contro l'arcivescovo di Colonia (della bolla papale non si parla nè manco) dichiarano irrita, nulla e come non avvenuta; straziano di scede la corte romana e il vescovo di Augusta e, meglio di tutto questo, fanno massa di gente in Augusta e in Ulma: maravigliosi il numero delle milizie accorse e le cause tanto diverse che le mossero ad assembrarsi sotto le bandiere dei protestanti; il vincolo dei vassalli ai baroni tuttavia gagliardo in Germania, l'esercizio lungo nelle armi avendo da quasi mezzo secolo combattuto ora dalla parte di Francia ed ora di Austria secondochè la passione agitava o l'interesse persuadeva, la pace di Francia con l'Inghilterra conchiusa in cotesti giorni, per la quale di parecchi soldati, i quali dal menare le mani in fuori altro non sanno fare, stavano disperati a qual santo votarsi; ci era poi dove più dove meno la rabbia religiosa, che ubbriaca più trista del vino assai: per ultimo il naturale istinto dell'uomo, che lo spinge a ribellarsi contro la forza, finchè non arrivi il tempo, e arriverà tardi, dove da un lato l'amore, dall'altro la conoscenza compartiranno alla persuasione l'autorità che adesso usurpa la forza congiunta con la frode, o no: insomma corre fama che nel giro di pochi giorni si radunassero 70000 fanti, 15000 cavalli, centoventi pezzi di artiglierie, ottocento cariaggi di munizioni, ottomila somieri, seimila guastatori: il più bello e fiorito esercito che fosse stato riunito fin lì, e bada che lo avevano posto insieme i soli principi di Sassonia, Assia, Vurtemberga, Analto e le città imperiali Augusta Ulma e Strasburgo. Se i collegati, rotti gl'indugi, avessero di subito assalito lo imperatore rinchiuso in Ratisbona città luterana, epperò tentennante, con soli attorno tremila Spagnuoli e cinquecento Tedeschi, non ha dubbio che lo avrebbero facilmente oppresso; e tuttavia nol fecero o perchè tardi per natura, o perchè sentissero una tal quale esitanza a percotere prima una istituzione così venerata come il sacro romano impero, o per qualunque altra causa a noi ignota. — Gingillaronsi i protestanti a scrivere certa lettera a Carlo, la quale non sarebbe stata accolta quando mai avesse contenuto proposte discrete; figurarsi se piena di enormezze come cotesta era! Chiedevano la pace generale della Germania, un concilio nazionale, e sia pure a Trento a patto che a loro sia libero andarvi o no, e si componga di padri o teologhi per metà cattolici, per metà luterani; siedano giudici lo imperatore con gli altri principi laici di Germania, ed altre più cose assai. Ghignò di rabbia Carlo al ricevimento di cotesto messaggio, conciossiachè, sebbene con parole onorate, egli insomma contenesse la proposta di renunzia alla corona, atto che per allora egli non si sentiva voglia di fare; onde contro suo solito, ordinariamente circospetto, non curando il pericolo dentro cui si versava, postergato ogni obbligo di consultare la dieta, di propria autorità metteva al bando dello impero l'elettore di Sassonia, il langravio di Assia e chiunque si accontasse con loro, i vassalli sciolti dal giuramento, chiunque avesse loro corso addosso per ammazzarli ed usurparne i beni, invece di pena, avria conseguito grazia e favori. Di rimando i protestanti spedirono al campo imperiale un araldo il quale con tutte le solennità che ordinavano i tempi gli dichiarava i principi collegati non riconoscerlo più per imperatore, e chiamare a decidere cui di loro avesse torto giudice Dio: protestare contro il bando perchè a quel modo decretato era atto tirannico e sovversivo delle libertà del corpo germanico. — Carlo accommiatò l'araldo incombenzandolo dire ai suoi signori: «simile protesta prima della battaglia non valere un bagattino, e dopo anco meno, perchè la forza legittima ogni cosa.»

      Pertanto la guerra era dichiarata: secondo i giudizi umani lo imperatore si credeva l'avesse dovuta perdere; in ogni caso sarebbe andata per le lunghe, ed entrambe le parti ne sarebbero rimaste offese sì che quando anche ne fosse riuscito vittorioso Carlo, per parecchio tempo non gli sarebbe rimasta balìa da levare un dito. La occasione offeriva il ciuffo a chi volesse afferrarlo: il Burlamacchi voleva e sapeva.

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