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dato delle buone mance, si sarebbe bevuto una birra con il signor Beneveti?”

      Otto fece una pausa. “Non penso che il signor Beneveti bevesse. Non che io sappia. Non stavano mai ai bar.”

      “Ai bar? Il resort ha più bar? Plurale?”

      “Sì,” disse Otto, sempre esitante. “Ce ne sono quattro. E un paio delle stanze più costose hanno il loro.”

      Adele cercò di non lasciar trasparire la sua sorpresa. Forse le sarebbe stato necessario rivalutare il lusso e lo sfarzo di quella struttura. “Va bene. Ma il signor Beneveti, partiamo da lui. Cosa ne pensava di lui? Mance a parte.”

      Otto alzò le mani sulla difensiva e dondolò all’indietro sui talloni, come a volersi spostare verso la porta, ma poi si ricompose e rimase fermo. “Non lo conoscevo bene,” disse.

      “Non le piaceva, giusto?”

      Gli occhi dell’agente Marshall sfrecciarono su Adele, la fronte leggermente corrugata. Ma Adele mantenne lo sguardo fisso su Otto.

      L’inserviente si grattò ancora il lato del mento, risistemando un’altra volta la fibbia del cappello.

      “Ho avuto un paio di interazioni con il signor Beneveti,” disse il signor Klein con attenzione, “che non sono state esattamente piacevoli.”

      Adele annuì. “Lei è un uomo molto cortese, Otto. Rispetto il fatto che lei stia facendo il suo lavoro anche ora. Ma questa è un’indagine. Un’indagine per omicidio.”

      A quelle parole, per la prima volta l’atteggiamento di Otto mutò. Silenzioso, nervoso, esitante: la maschera si dissolse e venne sostituita da orrore e paura. La fissò. “Omicidio? Pensavo si fosse trattato dell’attacco di un orso.”

      Adele socchiuse gli occhi. “Lo dicono le notizie locali, giusto?”

      Otto annuì. “Anche i proprietari del resort. I direttori. Tutti lo stanno dicendo.”

      Adele scosse la testa. “Nein. Non sono ancora convinta. Non abbiamo ricevuto il rapporto del medico legale.”

      Otto annuì. “Oh Gott! È terribile. Nessuno si merita una cosa così, neanche…”

      “Neanche?” chiese Adele, afferrando al volo la sua allusione.

      Il signor Klein arrossì leggermente, le guance che assumevano un colore simile a quello della sua uniforme. Ma alla fine tossì e disse: “Il signor Beneveti poteva essere maleducato, a volte arrogante. Una volta ha lanciato un bicchiere contro un mio amico. Ha detto che era imbevibile, che era un deterrente contro le sbornie. Ha infradiciato il cameriere di vodka e tonic. Il ragazzo aveva semplicemente preso male l’ordine. L’aveva portato nella stanza sbagliata. Ha ricevuto un richiamo. Il signor Beneveti è andato dal direttore e ha tentato di farlo licenziare.”

      “È stato licenziato?”

      Otto scosse la testa. “No, ma gli hanno cambiato i turni. Gli hanno tagliato il monte ore in modo che non potesse interagire con loro. Gli è costato l’affitto per un paio di mesi. Noi altri lo abbiamo aiutato meglio che potevamo. Il signor Beneveti aveva un caratteraccio. Aveva soldi, un sacco. E lo sapeva.”

      Otto fece silenzio, rendendosi conto di aver forse parlato più di quanto avrebbe voluto. Scrollò le spalle imbarazzato, le guance che arrossivano di nuovo. “Ma come ho detto, erano generosi.”

      Adele inclinò la testa di lato, congiungendo le dita delle mani sotto al mento mentre osservava l’inserviente. “Nient’altro? Qualche altra interazione? Qualcun altro che potrebbe avere del rancore nei confronti della coppia italiana?”

      Otto scosse rapidamente la testa. “Io non nutro nessun rancore. Come ho detto, non ho niente di personale contro di lui. Era maleducato e insopportabile. Poteva essere un po’ dispotico, il signor Beneveti. Protettivo. Ma un sacco di clienti qui sono fatti così. Sono abbienti, e con i soldi vengono le paranoie. Non sanno mai cosa la gente voglia effettivamente da loro. È un peccato se ci si pensa.” Otto annuì con certezza, come a tentare di convincere se stesso, poi abbassò nuovamente la testa, con minore sicurezza, e si grattò il lato del viso.

      “Va bene,” disse Adele. “Non c’è nient’altro che le viene in mente?”

      Otto scosse la testa. “No, ma,” disse esitando, “quel cameriere, quello che gli aveva portato la vodka col tonic. Lui potrebbe sapere qualcosa di più. È solo un ragazzino, ha diciannove anni. Ma fa ancora parte del personale.”

      “È qui adesso?” chiese Adele.

      “Sì, devo andare a chiamarlo?”

      Adele scosse la testa. “No, vado a parlarci io. Dove si trova? Non vogliamo rubarle altro tempo, so che ha i suoi orari precisi.”

      “Va bene. Si chiama Joseph Meissner.”

      “Joseph Meissner?” chiese Beatrice Marshall.

      “Sì, lavora in uno dei bar adesso. Si chiama Tregua tra le Rupi. Dopo il corso interno di golf.”

      “C’è un corso interno di golf?” chiese Adele con tono piatto.

      “Vicino alla piscina riscaldata,” disse Otto con un sorrisino. “Benvenuta all’uno per cento.”

      Le guardò tutte e due con sorriso professionale e allenato, poi andò con esitazione verso la porta e scomparve, lasciando le due agenti di nuovo sole nella stanza.

      Adele scambiò un’occhiata con l’agente Marshall. “Hai sentito?” chiese sottovoce.

      “Ho sentito un sacco di cose,” disse lei. “A cosa ti riferisci in particolare?”

      “La storia dell’attacco dell’orso. I proprietari la ripetono. I direttori. Come se preferissero che tra le piste ci fosse un orso scatenato, piuttosto che un assassino.”

      La Marshall fischiò. “Avrebbe senso. I clienti qui pagano bene. Molto bene. I proprietari di certo non vorrebbero spaventarli.”

      Adele si rimise in piedi, chiudendo il suo portatile e dirigendosi verso la porta. Strada facendo, afferrò la giacca.

      “Sai dove si trova il Tregua tra le Rupi?” le chiese.

      “Onestamente, un drink ci starebbe proprio bene adesso.”

      “Si, ma dobbiamo parlare con questo Joseph Meissner. Pare che possa aver covato del rancore nei confronti dei Beneveti.”

      “Non pensi davvero che un garzoncello li abbia ammazzati, vero? Neanche sappiamo ancora se sia stato davvero un omicidio. Non è ancora arrivato il rapporto del medico legale.”

      Adele scrollò le spalle. Non lo disse, ma dentro di sé sapeva benissimo che lo era. Come un segugio che sente la traccia di un odore, lei lo sapeva. “Va bene,” disse. “Pensi che ci sia qualcuno che può portarci al bar?”

      Anche la Marshall prese la sua giacca, infilandosela mentre seguiva Adele. “Ci sono golf cart che si spostano ovunque qui. Le chiavi sono giù al bancone.”

      Adele resistette all’impulso di ruotare gli occhi al cielo. Golf cart a richiesta. Piscine private riscaldate accanto a campi da golf indoor. Bar privati nelle stanze. Le sembrava tutto stupefacente. Ma allo stesso tempo era anche così alieno e strano. Un modo estraneo di vivere. Però lei stessa aveva i suoi ricordi sulle piste da sci. Non erano mai venuti in un posto così bello. La sua famiglia non se l’era mai potuto permettere. Ma Adele ricordava le piste. Le belle conversazioni vicino al fuoco. I litigi di notte. Ricordava tutto.

      CAPITOLO NOVE

      Il Tregua tra le Rupi si trovava proprio al limitare del resort. Era un edificio a tre piani fatto di vetro e piattaforme circolari in legno. Sembrava innalzarsi su dei trampoli, ergendosi tanto da andare a sfiorare le cime degli alberi circostanti, e presentando una veduta incredibile sulla vallata sottostante. Adele e l’agente Marshall uscirono dal golf cart che avevano preso in prestito e si avvicinarono ai gradini in legno, che erano impreziositi da piccoli frammenti di pietre luccicanti che riflettevano la luce proveniente dall’alto.

      Adele teneva

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