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ad Adele. “Sono la detective Klopp,” disse. “Addetta alle normative del distretto di polizia, ma mi hanno chiesto di essere presente per questo colloquio.”

      L’agente Marshall restava in silenzio in fondo alla stanza, il suo bloc notes aperto, gli occhi che si spostavano veloci tra i presenti. Adele si mosse un poco sulla sua sedia, le mani premute contro la superficie fredda del tavolo di metallo. Aspettò che il signor Carmichael bevesse un sorso del suo caffè fumante. L’uomo schioccò le labbra e sussultò un poco per la temperatura bollente della bevanda.

      “L’ha già interrogato?” chiese Adele rivolgendosi alla detective Klopp.

      “Ja. Sono qui solo per verificare ed eventualmente aiutare in ogni modo possibile.”

      Adele si ricompose e indicò il camionista. “Bene, gli stavo giusto chiedendo se gli veniva in mente qualsiasi altro particolare riguardo a ieri notte.”

      “E come stavo dicendo,” rispose il signor Carmichael sommessamente, “non mi viene in mente nulla. Niente macchine, nessun altro. Solo la ragazza, con le sue impronte insanguinate.”

      “Come ci ha già detto,” disse la detective Klopp annuendo. “E ci ha già riportato anche le folli e tirate affermazioni che ha fatto la giovane.”

      L’autista esitò davanti a quelle parole. “Ha detto che ce n’erano degli altri,” disse, deglutendo e poi sollevando la mano per dare enfasi al suo discorso. “Ha detto che qualcuno li aveva catturati e che li avrebbe uccisi tutti.”

      Adele però stava guardando la detective tedesca. “Non crede che il commento della ragazza vada preso sul serio?”

      La detective Klopp stava scuotendo la testa. I suoi capelli erano raccolti in un ordinato chignon e il suo volto presentava minime tracce di make-up. Aveva gli zigomi alti e i suoi occhi erano indagatori mentre osservava Adele. “La ragazza era malnutrita, congelata e in mezzo alla foresta,” disse. “Prendere seriamente tutto ciò che può avere detto,” disse schiarendo la gola e spostandosi un poco, “soprattutto se riferito da un portavoce, potrebbe essere poco consigliabile a questo punto.”

      Adele si voltò verso l’agente Marshall, poi tornò a guardare la donna. “Questa è la posizione ufficiale di questo dipartimento?”

      La detective Klopp sorrise con calore al signor Carmichael, poi si rivolse ad Adele, ma sempre con gli occhi fissi sul camionista. “Sì. Herman,” disse, “le racconti come si è comportata la ragazza quando l’ha vista all’inizio.”

      Il camionista si spostò sulla sua sedia, a disagio. “Beh, come stavo dicendo, ha detto che ce n’erano degli altri. Ma quando mi sono avvicinato a lei, non ha detto proprio niente. In effetti, era quasi come se non mi vedesse. Sono uscito di strada con il mio camion per evitarla. Era in piedi in mezzo alla statale. Senza nessun vestito addosso.” Arrossì un poco, schiarendosi la gola e scuotendo la testa. “Brutto affare. Brutto affare. Ad ogni modo la fräulein era lì in piedi, e sembrava che non mi vedesse, fino a che non le sono stato proprio vicino. Stavo anche parlando, ma lei fissava dritto davanti a sé.”

      La detective Klopp agitò una mano come a voler mostrare qualcosa di sospeso nell’aria. “Come ho detto,” riprese, “potrebbe non essere la strategia migliore quella di prendere la ragazza alla lettera.”

      Adele abbassò la testa per dimostrare che aveva sentito. Insistette con la stessa linea di interrogatorio per altri pochi minuti, ma il camionista non le fornì nessuna informazione che il direttore Foucault non avesse già dato loro: qualcuno, secondo la ragazza, teneva in prigionia altre persone. La ragazza era sembrata scossa, per ovvie ragioni. Era ricoperta di lividi e piccoli tagli per aver corso nella foresta. A parte questo, l’uomo non aveva altro da aggiungere.

      Adele lo ringraziò e si alzò dal tavolo. John la tempestò di domande in francese, ma lei lo ignorò e disse alla Marshall, mentre uscivano dalla sala interrogatori: “Dov’è questo ospedale?”

      L’agente la guardò. “Vuoi parlarle di persona?”

      “Da come sembra, non pare possibile.”

      La Marshall scosse la testa. “È in coma. Ma posso portarti all’ospedale se vuoi.”

      Adele annuì. “Magari i dottori hanno trovato qualcosa che all’inizio era loro sfuggito. Il camionista comunque non sarà molto di aiuto.”

      Adele aveva addosso una sensazione sbagliata. La premonizione del direttore Foucault si riversò anche su di lei. Questa era una brutta faccenda. Qualcosa riguardo a questo caso le sembrava ai limiti, inquietante. Adele stava iniziando a provare una sensazione simile. Non era sicura del perché. Ma in qualche modo non era certa di voler assistere alla conclusione di questa indagine. Il suo stomaco era un groviglio quando uscì dalla centrale di polizia. Si diresse verso l’auto, preparandosi ad andare in ospedale.

      CAPITOLO SEI

      “Questa volta il caffè non lo vado a prendere,” disse John austero.

      Adele scosse la testa mentre avanzava in direzione dell’ingresso dell’ospedale.

      L’agente Marshall era già vicina alle porte di vetro rotanti. Sorrise educatamente e fece segno a lei e John di seguirla. I tre agenti entrarono nella lobby dell’ospedale e vennero accolti dall’odore dolce e nauseante di detergenti e disinfettanti. Adele sentì subito un prurito dietro al collo. Scosse la testa. C’era qualcosa negli ospedali che le dava sempre i brividi. Segretamente sperava che se mai si dovesse ammalare gravemente, la gente la lasciasse morire in pace nel suo letto, piuttosto che trascinarla in un posto orribile come quello. E neanche i dottori le piacevano particolarmente.

      John andò dritto al bancone dell’accoglienza e parlò in francese: “Mademoiselle. Ha dei medici che parlano francese che si occupano di Amanda Johnson?”

      La donna dietro al banco lo fissò esitante. Guardò uno dei suoi colleghi, ma il giovane uomo scrollò le spalle.

      L’agente Marshall si avvicinò, toccando delicatamente il gomito di John. Parlò sommessamente e con rapidità agli infermieri e alla fine vennero tutti accompagnati a un ascensore in fondo all’ampio atrio. Passarono accanto a un paio di piante in vaso finte. Di nuovo Adele pensò a quanto odiava gli ospedali.

      “Va tutto bene?” le chiese John, mentre le porte dell’ascensore si aprivano con un ding e loro entravano.

      “Tutto ok,” rispose lei senza tanti giri di parole.

      “Stai sudando,” le disse. “Fa freddo. Perché stai sudando?”

      “Non sto sudando, taci.” Adele si girò, ma quando John riportò la sua attenzione sulla Marshall, mettendosi a chiacchierare con la giovane agente mentre l’ascensore arrivava al piano, si passò una mano sulla fronte. Umida. Stava sudando. Dannazione. Doveva sforzarsi di tenere a bada le proprie emozioni, anche in un posto come questo.

      Uscirono dall’ascensore e si trovarono davanti un altro lungo corridoio con finestre di vetro da entrambi i lati. In lontananza si udivano suoni di macchinari: un altro rumore che le dava lo stesso effetto di unghie su una lavagna.

      “Sei sicura di stare bene?” le mormorò John in un orecchio.

      “Sto bene. Andiamo a vedere se riusciamo a trovare questo dottore.”

      La Marshall, sentendo la conversazione, disse educatamente: “Il capo reparto che si occupa del caso di Amanda sa parlare inglese. Ho richiesto che ci aspettasse fuori dalla sua stanza. Da questa parte.”

      La Marshall fece strada attraverso tre porte chiuse. Due avevano tende, ma una era aperta, con tre infermiere all’interno che indossavano i loro camici verdi e stavano tentando di sollevare un uomo debole e anziano per metterlo su un lettino con ruote.

      La scena, gli odori, i bip bip dei macchinari. Tutto l’insieme provocò in Adele un altro spasmo di timore esistenziale. Per qualche motivo, pensò a Robert. Pensò alla sua tosse, alla sua età. Forse avrebbe fatto bene a correre un altro paio di ore domani. Sì, questo le avrebbe schiarito le idee.

      Alla fine si fermarono davanti a una porta a vetri aperta. C’era un uomo che li stava

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