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mormorò lei. “Sono dovuta andare dal veterinario a salutare Chester. Pensavo di averlo detto.”

      Sapeva benissimo di non averlo fatto, dato che se n’era andata di punto in bianco dal negozio di Tom, frastornata, ma una piccola bugia innocente a volte era necessaria per evitare discussioni maggiori.

      “Gina mi ha raccontato tutto di Punch e Judy,” si intromise Frankie. “Voglio comprare il pagliaccio, ma la mamma ha detto che non posso.”

      “Mi fa paura,” disse Naomi, guardando la marionetta con una smorfia. “E lo vuoi solo perché ha i capelli rossi. Non ci giocheresti mai.”

      Lacey guardò Gina con espressione dispiaciuta. Non le era venuto in mente che l’amica sarebbe rimasta incastrata con la sua famiglia mentre lei faceva la sua sessione di pet-therapy con Chester. Eppure Gina non sembrava per niente stressata, ma piuttosto positiva. Dopotutto era una che amava stare con la gente. E non aveva neanche lo stesso passato che lei aveva vissuto con loro.

      “Allora, cosa facciamo oggi?” chiese Shirley con il suo tono leggermente irritato. “Non voglio starmene seduta nel tuo negozio per un’eternità.” Anche se non lo disse a voce alta, era più che evidente che Shirley si sentiva piuttosto a disagio nel negozio di antiquariato di Lacey. Il suo naso arricciato e la postura rigida erano un segnale inequivocabile.

      Naomi si unì a lei. “Sì, Lacey, cosa facciamo oggi? Abbiamo visto la spiaggia. Le scogliere. Le pecore. Abbiamo mangiato pasticcini appena sfornati e bevuto tè dalla teiera. Cos’altro c’è da fare qua in giro?”

      “Tom ha detto che dovremmo bere il cream tea del pomeriggio,” disse Frankie. Guardò Lacey con espressione interrogativa. “Cos’è il cream tea? È come un frullato caldo?”

      Lacey rise. “Capisco come tu sia arrivato a questa conclusione, ma no, il cream tea non è un frullato caldo. Il cream tea è quando bevi una tazza di tè con uno scone alla marmellata e la panna,” gli spiegò.

      “Gli scone!” ripeté Frankie. “Li ho mangiati. La mamma me li prepara nelle occasioni speciali.”

      Sorpresa, Lacey si voltò a guardare la sorella. Naomi stava fingendo di non ascoltare più la conversazione, per l’ovvio motivo che la persona che aveva fatto loro conoscere gli scone era stato loro padre, e lo aveva fatto proprio a Wilfordshire.

      “Beh, Wilfordshire ha i migliori scone di tutto il Regno Unito,” disse Lacey, rivolgendosi di nuovo a Frankie. “Devi provarli prima di tornare a casa. Posso suggerire un’adorabile sala da tè sulle colline, e lì c’è anche una bellissima residenza signorile che si chiama Villa Penrose.” Se la sua famiglia avesse fatto tutto il giro fino alla villa, lei avrebbe avuto almeno un paio d’ore di respiro prima che il loro viaggio li costringesse a stare ancora più vicini.

      “Altro cibo?” disse Shirley con un sospiro sdegnoso. “Onestamente, come fanno gli inglesi a non essere tutti sovrappeso? Pare che ci sia un pasto dopo l’altro, qui.”

      Gina iniziò a ridere, dandosi dei colpetti sulla pancia leggermente arrotondata. “Alcuni di noi lo sono.”

      Boudicca emise un piccolo verso, come se volesse protestare contro l’auto-ironia della padrona.

      “Non possiamo restare qui?” chiese Frankie. Era seduto a gambe incrociate sul pavimento accanto a un baule aperto, circondato da giocattoli antichi.

      “Ti annoieresti nel giro di cinque minuti,” commentò Naomi.

      Shirley non sembrava per niente contenta della richiesta di Frankie. “No, Frankie. La nonna non se ne vuole stare seduta in una stanza buia e polverosa tutto il giorno. Non è salutare per i miei polmoni. E non posso neanche dire che l’odore mi piaccia molto.”

      Diciamo che sono più che altro i ricordi a non essere graditi, pensò Lacey, la mente che andava al ricordo del vecchio negozio di antiquariato del padre a New York. Ma ovviamente non disse niente a voce alta. Parlare di suo padre era peccato.

      Frankie si alzò in piedi, lasciando il suo mucchio di giocattoli sul pavimento, e andò alla porta. Naomi e Shirley lo seguirono.

      “Almeno abbiamo solo un giorno da passare qui,” disse Naomi a Shirley mentre aprivano la porta. “Domani partiamo per Dover.”

      Il campanello tintinnò mentre la porta si richiudeva dietro di loro.

      Non appena se ne furono andati, Lacey si accasciò in avanti sul bancone e si lasciò andare a un profondo sospiro. Dubitava fortemente che nella pittoresca cittadina balneare di Dover ci sarebbe stato qualcosa di sufficiente a tenere occupata la sua famiglia, se Wilfordshire li aveva annoiati così rapidamente.

      Gina si mise a ridere. “Dimmi che sono pazza, ma potrei giurare che tua sorella ha appena detto che domani vanno a Dover.”

      Lacey posò gli occhi stanchi sull’amica e annuì tristemente. “Tom li ha invitati a venire con noi.”

      Dietro alla sua montatura rossa, Gina sgranò gli occhi. “Oh.”

      “Proprio oh,” rispose Lacey, prendendosi la testa tra le mani.

      Sarebbe stato un lunghissimo viaggio.

      CAPITOLO SETTE

      “Questa è la tua auto?” chiese Naomi di primo mattino l’indomani. Lo disse con il suo tipico tono, mentre sollevava la sua valigia per metterla nel bagagliaio della Volvo. “Cioè, sei migliorata in materia di uomini, ma cosa diamine è successo al tuo gusto nei veicoli?”

      “Mi serviva qualcosa per muovermi e andare in giro,” rispose Lacey, mettendosi subito sulla difensiva nei confronti della sua berlina, di seconda mano e brutta in modo unico. “Non avevo idea che mi sarei stabilita qui a Wilfordshire.” Lasciò cadere le sue borse nel baule dell’auto. “E poi, con il tempo sono arrivata ad amarla.”

      Naomi ruotò gli occhi. “Facevi sembrare così stravagante la tua vita qui, Lacey. E invece salta fuori che lo è veramente, stravagante!”

      Rise della propria aspra battuta, poi si accomodò sul sedile posteriore dell’auto. Lacey fece un profondo respiro per calmare i nervi che già erano a fior di pelle.

      Era riuscita a superare un’altra serata con la sua famiglia, per lo più grazie alla calmante presenza di Tom e al suggerimento di guardare insieme un epico film fantasy della durata di tre ore. Sembrava quasi che Shirley stesse iniziando a provare una certa simpatia per lui, e c’erano voluti solo altri due piatti di alta ristorazione fatti a mano per portarla a quel punto, dopo la Homity pie. Le linguine alla prugna di Tom avevano fatto faville e la sua sorpresa mattutina con gli hot cross bun per la colazione sembrava aver concluso l’affare.

      Proprio in quel momento, Tom apparve al suo fianco, le braccia cariche di bagagli. La stampa floreale di una delle borse le fece capire che appartenevano a Shirley.

      “Mia madre ti ha fatto portare i suoi bagagli?” chiese Lacey, prendendo una delle valigie. “Come se fossi una specie di facchino?” Era mortificata.

      “Mi sono offerto io,” le rispose Tom, come se non fosse un grosso problema.

      Frankie saltò fuori dalla porta del Crag Cottage e montò in macchina, andando dritto al sedile del passeggero. Gridò “Colpito!” e si tuffò a bomba all’interno.

      “Non penso proprio, signorino,” disse Lacey avvicinandosi al lato del passeggero prima che lui potesse chiudere la portiera. “Quello è il posto di Tom.”

      “Ma io soffro di mal d’auto,” disse Frankie.

      Naomi sporse la testa dal sedile posteriore e aggiunse: “È vero. Meglio farlo sedere davanti, sorellina. Non vogliamo certo che si metta a vomitare.”

      Lacey strinse i denti.

      Tom le rivolse uno sguardo comprensivo mentre le porgeva un pezzo di carta.

      “Che cos’è?” gli chiese.

      “Le indicazioni per arrivare alla locanda,” le disse lui prima di infilarsi sul sedile posteriore.

      Lacey aprì il pezzo

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