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r Salazar Calle

      Ndura. Figlio della giungla

NduraFiglio della giunglaDiJavier Salazar CalleTitolo originale: Ndura. Hijo de la selvaCopyright © Javier Salazar Calle, 20201ª EdizioneTraduzione diCaterina Pittalomo

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      Dedicato a tutti coloro che, come me, vivono avventure e viaggiano senza muoversi, perché fanno si che il potere dell'immaginazione sopravviva in questo mondo.

      Dedicato specialmente al mio migliore amico, che è morto molti anni fa e a mio figlio Alex, che ha ereditato il suo nome e per il quale ho grandi sogni.

Comincia l’avventura…

      

      Sono nel mezzo dell'Africa profonda. Seduto, appoggiato al tronco di un albero. Mi è salita la febbre; il mio corpo ha convulsioni e brividi sempre più frequenti; un dolore non localizzato è l'unica cosa che percepisco del mio organismo. Non riesco a smettere di tremare. Sono in cima a una collina. Dietro di me la giungla; una giungla lussureggiante, selvaggia e spietata. Davanti a me scompare come per magia; solo ceppi sparsi, resti di un disboscamento intensivo, danno un'idea di quello che c'era una volta. Sullo sfondo si distinguono le prime case di una città incipiente. Fango, foglie e mattoni mescolati. Civiltà.

      Sono a migliaia di chilometri da casa mia, dalla mia gente, dalla mia famiglia, dalla mia ragazza, dai miei amici… Mi manca persino il mio lavoro. La vita comoda, il poter bere con il semplice gesto di aprire un rubinetto e mangiare semplicemente ordinando in qualsiasi bar… e dormire in un letto, caldo, asciutto e sicuro, soprattutto sicuro. Come mi manca quella tranquillità! Quando l'unica incertezza era sapere come avrei passato il mio tempo libero nel pomeriggio quando sarei uscito dal lavoro. Quanto mi sembrano assurde, adesso, le preoccupazioni di prima: il mutuo, lo stipendio, la discussione con l'amico, il cibo che non mi piace, la partita di calcio! In particolare per il cibo…

      È chiaro che il bisogno di sopravvivenza cambia il punto di vista delle persone. Almeno a me è successo questo. Che cosa sto facendo così lontano da casa mia, morente, ai margini della giungla equatoriale dell'Africa centrale? Come sono finito in questa situazione dantesca e apparentemente irrimediabile? Qual è la genesi di questa storia?

      Ripasso mentalmente le terribili circostanze che mi hanno portato sull'orlo della morte, all'ingresso dell'autostrada di transito verso l'aldilà, alla più che probabile estinzione della mia storia nel libro della vita…

      

      Guardai l'orologio. Il nostro aereo di ritorno in Spagna sarebbe partito dopo due ore. Alex, Juan e io eravamo già nella zona commerciale dell'aeroporto di Windhoek, finendo gli ultimi resti della moneta locale e, per inciso, acquistando quel regalo che sempre si lascia per la fine. Avevamo già mangiato e rimanevano solo i negozi. Comprai per mio padre un coltello con un manico di legno e con scolpito il nome del paese, la Namibia, e tutti i tipi di figure di animali finemente scolpiti in legno per le altre persone. In particolare per Elena, la mia ragazza, comprai una bellissima giraffa scolpita a mano in un tipico villaggio della savana africana. Alex si comprò una cerbottana e molte frecce, secondo lui per giocare con il bersaglio delle freccette e variare un po’ il gioco, per dargli, diciamo, un incentivo più tribale. Per un'ora vagammo qua e là, zaino sulle spalle, godendoci gli ultimi momenti in quel paese che era così esotico per noi. Fino a quando non ci chiamarono a bordo. Dato che avevamo già registrato il bagaglio, andammo direttamente alla porta indicata e presto eravamo nei nostri posti sull'aereo, un vecchio modello a quattro motori ad elica, dopo aver scattato un paio di foto. Il nostro safari fuoristrada di quindici giorni nell'aspra savana africana volgeva al termine e, sebbene ci sarebbero mancate quelle terre, eravamo già in vena di una doccia calda e un pasto in perfetto stile spagnolo. Comunque, era un peccato andarsene in quel momento perché ci era stato detto che dopo qualche giorno ci sarebbe stata una delle eclissi di sole più impressionanti degli ultimi decenni e che la zona dell'Africa dove eravamo stati era la migliore per vederla chiaramente.

      Io ero il più lanciato e avventuriero dei tre e avevo finito per coinvolgerli e farli venire con me, una cosa era avere spirito avventuriero, un’altra era partire senza compagnia.

      Inizialmente erano stati riluttanti all’idea di abbandonare i loro piani per una vacanza rilassante nel nord Italia per, in principio, uno scomodo safari fotografico in un luogo con temperature superiori a 40° gradi tutto il giorno e senza ombra per ripararsi. Ma terminata l’esperienza, non se pentivano affatto, al contrario, l’avrebbero ripetuta senza pensarci due volte. L’aereo ci avrebbe portato più di mille chilometri a nord, fino a un altro aeroporto internazionale, dove ci sarebbe stato il collegamento con le comode e moderne compagnie aeree europee per tornare a casa.

      Dopo il decollo dell’aereo, ci dedicammo a vedere le fotografie del viaggio nella fotocamera digitale di Alex. C’era una foto divertentissima di Alex e Juan che correvano terrorizzati e dietro di loro uno gnu di pessimo umore, alla carica. Mentre loro, tra risate e ricordi, finivano di vederle, io mi persi nei miei pensieri guardando dal finestrino, vedendo le nuvole che ci passavano intorno. Mi sentivo molto bene tornando a casa con i miei due migliori amici, che conoscevo dalla scuola, da un’avventura meravigliosa in un paese incredibile. Era stato come essere in un reportage del National Geographic, uno di quelli che mi piaceva tanto vedere in televisione mentre mangiavo. Un safari in 4x4 sulle tracce delle grandi migrazioni degli gnu, fotografando le mandrie di elefanti o vedendo i famosi leoni a pochi metri di distanza nel mezzo della savana africana selvaggia. Avevamo visto combattimenti tra ippopotami, coccodrilli in attesa, in cerca di una preda, iene desiderose di carogne, avvoltoi che volteggiavano in circolo sopra alcune carcasse, alcuni strani rettili, tutti i tipi di insetti. Ci eravamo accampati in tende in mezzo al nulla, cenando alla luce del fuoco con un limpido cielo stellato… un'esperienza meravigliosa. Soprattutto la visita al Parco nazionale di Etosha.

      Sotto, in contrasto con quanto visto fino a quel momento, tutto era un enorme macchia verde, stavamo attraversando l'area dell'equatore. La giungla ricopriva tutto. Un verde infinito senza fine. Qualcosa del genere sarebbe stato l'obiettivo del nostro viaggio successivo, una risalita in barca del Rio delle Amazzoni, con soste per godersi le ingenti forme di vita del luogo. Avevamo già visto l'immensità della savana disboscata e a quel punto volevamo vedere l'imponenza di un mare di vegetazione e la vita straripare. Essere in grado di avanzare a colpi di macete nella giungla quasi impraticabile, imparare a procurarsi il cibo, incontrare tribù perdute della civiltà, vedere animali e piante esotiche… ma ehi, sarebbe stato l'anno successivo se fossi riuscito a convincere di nuovo i miei amici, e se no, anche il nord Italia non era poi così male.

      Un forte rumore, come un'esplosione, seguito da un movimento molto improvviso dell'aereo mi fece uscire dal

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