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si mise subito in marcia.

      Essere da sola in macchina era strano, ma cercò di distrarsi con il paesaggio che offriva Miami. Era diversa da tutte le altre città di mare dov’era stata. Mentre le città più piccole situate vicino alla spiaggia davano l’impressione di essere sabbiose e quasi sbiadite, tutto a Miami pareva splendere e luccicare nonostante la vicina sabbia e gli spruzzi salati dell’oceano. Qua e là vide edifici che parevano fuori luogo, trascurati e derelitti, il che servì a ricordarle che ogni cosa aveva i suoi difetti.

      Arrivò all’officina prima di quel che pensava, poiché si era distratta osservando la città. Parcheggiò in uno spazio affollato di auto e fuoristrada rotti che erano stati evidentemente saccheggiati in cerca di pezzi di ricambio. Sembrava uno di quei posti perennemente sull’orlo del fallimento.

      Prima di entrare, Mackenzie osservò sommariamente il posto da fuori. Davanti c’era un ufficio fatiscente, al momento incustodito. L’officina annessa aveva tre scomparti, dei quali solo uno conteneva un’auto; era sul ponte, ma non sembrava che qualcuno ci stesse lavorando. Nell’officina, un uomo rovistava in una cassetta degli attrezzi. Un altro si trovava più in fondo, in piedi su una scaletta, intento a frugare tra vecchie scatole di cartone.

      Mackenzie andò dall’uomo più vicino a lei, quello alla cassetta degli attrezzi. Doveva essere sulla quarantina, con i capelli unti che scendevano fino alle spalle. Sul viso aveva una lanugine che non poteva definirsi propriamente barba. Quando la vide avvicinarsi, le fece un gran sorriso.

      “Ehi, dolcezza” disse con un lieve accento del sud. “Come posso aiutarti?”

      Mackenzie gli mostrò il distintivo. “Prima di tutto, può smettere di chiamarmi dolcezza. Poi potrebbe dirmi se per caso è lei Mike Nell.”

      “Sì, sono io” disse l’uomo, osservando il distintivo quasi con timore. Quindi tornò a guardarla in viso, come cercando di decidere se si trattasse di uno scherzo.

      “Signor Nell, vorrei farle…”

      L’uomo si voltò rapidamente e la spinse. Con forza. Mackenzie incespicò all’indietro e finì con i piedi contro uno pneumatico che era a terra. Mentre cadeva sul sedere, intravide Nell scappare. Stava uscendo di corsa dall’officina, guardandosi alle spalle.

      La situazione è precipitata subito, pensò. Di sicuro è colpevole di qualcosa.

      Il suo istinto l’avrebbe spinta a impugnare la pistola, ma questo avrebbe solo provocato un gran caos. Così si rialzò per partire all’inseguimento. Nel farlo, con la mano toccò un oggetto che era stato lasciato a terra. Era una chiave inglese, forse quella usata per rimuovere lo pneumatico sul quale era inciampata.

      La raccolse e si mise subito in piedi. Si precipitò fuori dall’officina e vide Nell sul marciapiede, che stava per attraversare la strada. Mackenzie guardò velocemente a destra e a sinistra poi, vedendo che non c’erano macchine in arrivo, portò indietro il braccio.

      Lanciò la chiave inglese con tutta la sua forza, facendole percorrere i cinque metri che la separavano da Nell e colpendolo in pieno alla schiena. L’uomo emise un grido di dolore e sorpresa prima di barcollare in avanti e cadere in ginocchio, finendo quasi di faccia a terra.

      Mackenzie lo raggiunse di corsa, premendogli un ginocchio sulla schiena, senza lasciargli nemmeno il tempo di provare a rimettersi in piedi.

      Gli bloccò le braccia dietro la schiena con presa ferrea. L’uomo tentò di divincolarsi, poi però si accorse che il movimento non avrebbe fatto altro che aumentare il dolore, dato che aveva le spalle tirate all’indietro. Con una rapidità che ormai aveva sviluppato grazie a mesi di pratica, Mackenzie prese un paio di manette dalla cintura e le schiaffò ai polsi di Nell.

      “È stata una mossa stupida” gli disse. “Volevo solo farle qualche domanda… ma ho già avuto la risposta che cercavo.”

      Nell non disse nulla, ma si arrese all’idea di non poterle sfuggire. Mentre li superavano delle macchine, li raggiunse di corsa l’altro uomo dell’officina.

      “Che cavolo significa?” chiese.

      “Il signor Nell ha appena aggredito un’agente dell’FBI” disse Mackenzie. “Temo che non potrà completare il suo turno di lavoro.”

***

      Mackenzie osservò Mike Nell dal finto specchio nella stanza di fianco a quella degli interrogatori. Appariva nervoso e imbarazzato e aveva ancora in volto la stessa smorfia da quando Mackenzie l’aveva fatto rialzare da terra ammanettato davanti al suo datore di lavoro. Si mordeva nervosamente un labbro, il che era un segnale che probabilmente sentiva il bisogno di una sigaretta o un drink.

      Mackenzie smise di osservarlo per studiare il fascicolo che aveva in mano. Raccontava la breve ma problematica storia di Mike Nell, scappato di casa a sedici anni, arrestato per piccoli furti e violenza aggravata per la prima volta a diciotto. Gli ultimi dodici anni della sua vita ritraevano un perdente problematico: aggressione, furto, effrazione, qualche soggiorno in prigione.

      Al fianco di Mackenzie, Dagney e il capitano Rodriguez osservavano Nell con un’espressione vicina al disprezzo.

      “Suppongo che lo abbiate visto molte volte in passato?” domandò Mackenzie.

      “Già” disse Rodriguez. “E per qualche motivo, i giudici continuano a fargli una tirata d’orecchi e basta. La pena più lunga che ha scontato è quella per cui è appena uscito con la condizionale, e anche quella è stata solo di un anno. Se salta fuori che questo coglione è responsabile degli omicidi, i giudici dovranno mettersi la coda tra le gambe.”

      Mackenzie passò il fascicolo a Dagney e si avviò alla porta. “Bene, adesso vediamo cos’ha da dirci” disse.

      Uscì dalla stanza e rimase un momento nel corridoio prima di dirigersi a interrogare Mike Nell. Prese il cellulare e controllò se ci fossero messaggi da parte di Harrison. Immaginò che ormai fosse in aeroporto, e magari aveva parlato con altri famigliari per capire cosa stesse succedendo a casa… Era sinceramente dispiaciuta per lui e, anche se non lo conosceva così bene, avrebbe voluto poter fare di più.

      Mettendo da parte le sue emozioni per il momento, rimise in tasca il cellulare ed entrò nella stanza degli interrogatori. Mike Nell la guardò senza celare la propria espressione sprezzante. Adesso però c’era anche altro. Non faceva nulla per nascondere il fatto che la stesse squadrando da capo a piedi, indugiando con lo sguardo più del necessario sui suoi fianchi.

      “Quello che vede le piace, signor Nell?” gli domando sedendosi.

      Evidentemente perplesso per la domanda, Nell fece una risatina nervosa e disse “Direi di sì.”

      “Suppongo che sappia di essere nei guai per aver messo le mani addosso ad un agente dell’FBI, anche se si è trattato soltanto di una spinta.”

      “E la chiave inglese che mi sono beccato?” chiese.

      “Avrebbe preferito la pistola? Magari un proiettile in un polpaccio o una spalla per rallentarla?”

      Nell non aveva niente da controbattere.

      “È chiaro che non diventeremo amici” disse Mackenzie, “perciò saltiamo le formalità. Voglio sapere tutti i posti in cui è stato nell’ultima settimana.”

      “È una lista lunga” disse Nell con fare provocatorio.

      “Già, sono certa che un uomo come lei abbia un sacco di giri. Cominciamo da due sere fa. Dove si trovava tra le sei di sera e le sei del mattino seguente?”

      “Due notti fa? Ero fuori con un amico. Abbiamo giocato a carte e ci siamo bevuti qualcosa. Niente di particolare.”

      “C’è qualcuno che potrebbe confermare la sua versione a parte il suo amico?”

      Nell scrollò le spalle. “Non lo so. C’erano altre persone che hanno giocato a carte con noi. Ma di che diavolo stiamo parlando?”

      Mackenzie non vedeva il senso di tergiversare. Se non fosse stata così distratta da quello che stava succedendo a Harrison, lo avrebbe torchiato per bene prima di arrivare al punto, sperando che si sarebbe contraddetto se era lui il colpevole.

      “Una

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