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fece un cenno mentre la guardava allontanarsi. Mandò giù l’ultimo sorso di caffè e si alzò, radunando le quattro borse della spesa vicine alla sedia. Dopo essersele infilate tutte in spalla, uscì dal locale e si diresse verso l’auto.

      Quando il telefono squillò, fu decisamente complicato riuscire a rispondere con tutte le borse addosso. In realtà si sentiva sciocca con quelle cose. Non era mai stata una di quelle donne a cui piaceva fare shopping. Ma era stato un ottimo modo per legare con Rose, ed era quello che contava.

      Dopo aver spostato le borse su una spalla, riuscì finalmente a raggiungere il cellulare nella tasca all’interno del cappotto.

      “Avery Black,” disse.

      “Black,” rispose la voce secca e sempre burbera del supervisore della squadra Omicidi dell’A1, Dylan Connelly. “Dove sei in questo momento?”

      “Nel Leather District,” disse. “Che succede?”

      “Ho bisogno di te al Charles River, appena fuori città vicino a Watertown, il più rapidamente possibile.”

      Lei sentì il tono della sua voce, l’urgenza, e il cuore le perse un colpo.

      “Che cosa è?” chiese, quasi avendo paura a chiederglielo.

      Ci fu una lunga pausa, seguita da un sospiro.

      “Abbiamo trovato un corpo sotto il ghiaccio,” spiegò Connelly. “E questo devi vederlo per crederci.”

      CAPITOLO DUE

      Avery arrivò sulla scena esattamente trentasette minuti più tardi. Watertown, Massachusetts, a circa trenta chilometri dai confini cittadini di Boston, era solo una delle numerose città che condividevano il Charles River con la capitale. La Watertown Dam era a monte rispetto al Watertown Bridge. La zona intorno alla diga era per lo più rurale, proprio come la scena del crimine davanti a cui stava parcheggiando in quel momento. Secondo le sue stime la diga era a una ventina di chilometri di distanza, dato che ne mancavano ancora sei per la città di Watertown.

      Arrivata lungo il fiume, Avery passò sotto una lunga striscia di nastro che segnalava la scena del crimine. La zona era piuttosto ampia e il nastro formava un enorme rettangolo a partire da due alberi lungo la riva fino a due pali di metallo che la polizia aveva infilato nel ghiaccio solido del fiume. Connelly era sulla riva e parlava con altri due agenti. Sul fiume, una squadra di tre persone era chinata sulla lastra gelata e vi guardava all’interno.

      Oltrepassò Connelly e lo salutò con un cenno della mano. Lui lanciò un’occhiata all’orologio, fece uno sguardo colpito e le segnalò di andare avanti con un gesto.

      “La Scientifica ti aggiornerà,” disse.

      A lei andava bene. Anche se stava imparando ad apprezzare sempre di più Connelly con ogni caso, era comunque meglio preso in piccole dosi. Avery si avviò sul ghiaccio, chiedendosi se quelle poche volte in pista durante la sua infanzia le sarebbero tornate utili. A quanto pareva però, le sue abilità erano ormai svanite. Camminò lentamente, stando attenta a non scivolare. Odiava sentirsi vulnerabile e non del tutto in controllo, ma quel maledetto ghiaccio era troppo scivoloso.

      “Va tutto bene,” disse uno dei tre membri della Scientifica, notandola avvicinarsi a loro. “Hatch è cascato sul culo ben tre volte per arrivare in qui.”

      “Chiudi il becco,” replicò un altro membro della squadra, probabilmente Hatch.

      Alla fine Avery arrivò al punto dove gli uomini della Scientifica erano riuniti. Erano chinati in avanti, a guardare dentro un’area del ghiaccio tagliata di netto. Al di sotto, vide il corpo nudo di una donna. Sembrava sulla ventina. Pallore e pelle parzialmente congelata a parte, era decisamente attraente. Bellissima, addirittura.

      La Scientifica era riuscita ad agganciare il corpo sotto le braccia con dei pali di plastica. L’estremità di ogni palo era semplicemente incurvata a formare una U, ed era ricoperta di una specie di cotone. Alla destra del ghiaccio spezzato, una coperta isotermica aspettava il corpo.

      “Ed è stata trovata così?” chiese Avery.

      “Già,” disse l’uomo che supponeva si chiamasse Hatch. “Da dei bambini, niente meno. La madre ha chiamato il dipartimento locale di polizia e un’ora e quindici minuti più tardi, eccoci qui.”

      “Tu sei Avery Black, giusto?” domandò il terzo membro.

      “Esatto.”

      “Devi dare un’occhiata prima che la tiriamo fuori?”

      “Sì, se non vi dispiace.”

      I tre fecero un passo indietro. Hatch e l’uomo che lo aveva preso in giro per essere caduto sul sedere tennero stretti i pali di plastica. Avery si avvicinò leggermente; le sue dita dei piedi erano a meno di quindici centimetri dal ghiaccio rotto e dall’acqua.

      La lastra spezzata le permise di vedere la donna dalla fronte fino alle ginocchia. Sembrava quasi una figura di cera. Avery sapeva che probabilmente era per via della temperatura estrema, ma c’era qualcos’altro nella sua perfezione. Era incredibilmente magra, forse appena sopra i 45 chili. Il suo volto stava assumendo una sfumatura di blu ma a parte quello non aveva alcun difetto— nessun graffio, nessun taglio, nessun livido e nemmeno un brufolo.

      Avery notò anche che a parte i capelli fradici e parzialmente ghiacciati, non c’era un singolo pelo su tutto il suo corpo. Le gambe erano perfettamente depilate, esattamente come la sua zona pubica. Sembrava una bambola a grandezza naturale.

      Con un ultimo sguardo al corpo, Avery fece un passo indietro. “Ho finito,” annunciò alla squadra della Scientifica.

      Loro si fecero avanti e contando fino a tre, estrassero lentamente il corpo dall’acqua. Una volta fuori, la inclinarono in modo che andasse a finire il più possibile sulla coperta isotermica. Avery vide che c’era anche una barella sotto la coperta.

      Con il corpo completamente fuori dall’acqua, notò altre due cose che le sembrano strane. Per prima cosa, la donna non indossava nessun gioiello. Si chinò e vide che le sue orecchie erano forate ma che non c’erano orecchini. Poi spostò l’attenzione sulla seconda stranezza: le unghie delle mani e dei piedi erano state accuratamente tagliate, tanto da sembrare che le fosse stata fatta di recente la manicure.

      Era bizzarro, ma fu quello che le fece scattare in testa un campanello d’allarme. Con la pelle gelida che virava verso il blu sotto quelle unghie, aveva un che di inquietante. È quasi come se fosse stata lustrata, pensò.

      “Qui siamo a posto?” domandò Hatch.

      Lei annuì.

      Mentre i tre uomini coprivano il corpo e ritornavano con attenzione verso l’argine con la barella, Avery rimase vicina alla zona di ghiaccio rotto. Abbassò lo sguardo sull’acqua, pensierosa. Mise una mano in tasca, cercando qualche piccola cartaccia, ma tutto ciò che riuscì a trovare fu un elastico per capelli che le si era rotto in precedenza.

      “Black?” La chiamò Connelly dalla riva. “Che cosa stai facendo?”

      Lei si voltò indietro e lo vide in piedi vicino al ghiaccio, stando attento a non calpestarlo.

      “Sto lavorando,” gridò a sua volta lei. “Perché non pattini fin qui e mi dai una mano?”

      Il supervisore roteò gli occhi e lei si girò di nuovo verso il ghiaccio. Lasciò cadere l’elastico rotto in acqua e lo guardò galleggiare e ondeggiare per un momento. Poi fu lentamente catturato dalla pigra corrente dell’acqua sotto il ghiaccio. Fu allontanato e spinto sotto la lastra gelata alla sua sinistra, verso Watertown.

      Quindi è stata lasciata in acqua da qualche altra parte, pensò Avery, guardando lungo il fiume in direzione di Boston. Sulla riva, Connelly e l’agente con cui aveva parlato si stavano allontanando seguendo la squadra della Scientifica.

      Avery rimase sul ghiaccio, dritta in piedi. Stava iniziando a sentire molto freddo

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