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cambio Pandesia concedeva a Volis e ai suoi uomini molte piccole libertà, come quei campi per gli allenamenti e armi vere. Era un piccolo assaggio di libertà che li faceva sentire ancora veri guerrieri, anche se era solo un’illusione. Non erano uomini liberi e tutti lo sapevano. Vivevano in un precario equilibrio tra libertà e schiavitù che non andava giù a nessuno.

      Ma qui almeno, al Cancello del Combattente, questi uomini erano liberi come un tempo, guerrieri che potevano competere, allenarsi e affinare le loro abilità. Rappresentavano il meglio di Escalon, erano i guerrieri migliori che Pandesia avesse da offrire, tutti veterani de Le Fiamme, e tutti impegnati nei turni lì, ad appena un giorno di viaggio di distanza. Ciò che Kyra voleva più di ogni cosa era entrare a far parte dei loro ranghi, mettersi alla prova, essere collocata di servizio a Le Fiamme, combattere contro veri troll che attraversavano e aiutare a proteggere il regno dall’invasione.

      Ovviamente sapeva che non le sarebbe mai stato permesso. Era troppo giovane per essere reclutata ed era una ragazza. Non c’erano altre ragazze nei ranghi e anche se ce ne fossero state, suo padre non gliel’avrebbe mai permesso. Anche i suoi uomini l’avevano guardata come una bambina quando aveva iniziato a fare loro visita anni fa. Erano divertiti dalla sua presenza, come una spettatrice che stava a guardare. Ma dopo che gli uomini se n’erano andati lei era rimasta, da sola, allenandosi ogni giorno e ogni notte nei campi vuoti, usando le loro armi e i loro bersagli. Inizialmente si erano sorpresi arrivando il giorno seguente e trovando segni di frecce nei loro bersagli, ancora più stupiti quando quei segni erano al centro. Ma nel tempo vi si erano abituati.

      Kyra aveva iniziato a guadagnarsi il loro rispetto, soprattutto nelle rare occasioni in cui le era stato permesso di unirsi a loro. A tutt’oggi, dopo due anni, tutti sapevano che lei era capace di colpire i bersagli che la maggior parte di essi non era in grado di raggiungere, e la loro tolleranza nei suoi confronti si era trasformata in qualcos’altro: rispetto. Ovviamente lei non aveva combattuto in battaglia, come quegli uomini; non aveva mai ucciso un uomo né era stata di guardia a Le Fiamme, neppure aveva incontrato un troll in battaglia. Non era in grado di far roteare una spada, un’ascia da guerra o un’alabarda, né combattere corpo a corpo come facevano quegli uomini. Non aveva per niente la loro forza fisica e la cosa le dispiaceva immensamente.

      Ma Kyra aveva capito di avere un’abilità naturale con due armi, ciascuna delle quali la rendeva, nonostante la sua corporatura e il suo sesso, un avversario formidabile: il suo arco e il suo bastone. Il primo lo aveva acquisito naturalmente, mentre nel secondo era incappata accidentalmente, lune prima, quando si era trovata a non poter sollevare una spada neanche con due mani. In quel momento gli uomini avevano riso della sua incapacità di brandire una spada e come insulto uno di essi le aveva lanciato un bastone.

      “Vediamo se magari sei capace di sollevare questo bastoncino!” le aveva gridato, e tutti gli altri avevano riso. Kyra non aveva mai dimenticato la vergogna di quel momento.

      All’inizio gli uomini di suo padre avevano visto il suo bastone come uno scherzo; del resto loro lo usavano solo come arma da allenamento. Loro erano uomini coraggiosi che brandivano spade a doppia mano, asce ed alabarde, uomini che potevano tagliare un albero con un solo colpo. Guardavano il suo bastone come un giocattolo e questo le aveva guadagnato ancora meno rispetto di quanto già non avesse.

      Ma lei aveva trasformato uno scherzo in un’inaspettata arma di vendetta, un’arma da temere. Un’arma contro la quale ora neppure gli uomini di suo padre sapevano difendersi. Kyra era rimasta sorpresa dalla sua leggerezza, e ancora più sorpresa di scoprire che era naturalmente piuttosto brava nel maneggiarlo, tanto veloce da colpire mentre i soldati ancora stavano sollevando le spade. Più di un uomo contro cui aveva combattuto era rimasto ricoperto di lividi: un colpo alla volta si era costruita la strada verso il rispetto.

      Nel corso di interminabili notti di allenamento da sola, Kyra aveva imparato a padroneggiare mosse che stupivano gli uomini, mosse che nessuno di loro neppure capiva. Si erano fatti sempre più interessati al suo bastone e lei aveva insegnato loro come usarlo. Nella mente di Kyra il suo arco e il suo bastone si completavano a vicenda e le erano egualmente necessari: l’arco per il combattimento a lunga distanza e il bastone per quello ravvicinato.

      Kyra aveva anche scoperto di avere un innato dono che mancava a quegli uomini: era agile. Era come un pesciolino in un mare di squali che si muovevano lentamente, e mentre quegli uomini adulti avevano grande forza, Kyra poteva danzare attorno a loro, poteva balzare in aria, poteva saltarli e atterrare rotolando, o in piedi. E quando la sua agilità si incontrava con il suo bastone e la sua tecnica, la combinazione era letale.

      “Cosa ci fa lei qui?” chiese una voce burbera.

      Kyra, a lato dei campi di allenamento accanto ad Anvin e Vidar, udì l’avvicinarsi dei cavalli e si voltò per vedere Maltren affiancato da una manciata di amici soldati, ancora con il fiatone mentre teneva la spada, fresco di allenamento. La guardò con disdegno e lo stomaco le si serrò. Di tutti gli uomini di suo padre, Maltren era l’unico che non la apprezzava. Per qualche motivo l’aveva odiata dal primo momento che l’aveva vista.

      Maltren era in sella al suo cavallo ed era furente: con il suo naso piatto e la sua brutta faccia era un uomo che amava odiare e sembrava aver trovato in Kyra il suo bersaglio. Si era sempre opposto alla sua presenza lì, probabilmente perché era una ragazza.

      “Dovresti essere al forte di tuo padre,” le disse, “ad occuparti dei preparativi per la festa con tutte le altre giovani e ignoranti ragazze.”

      Leo, accanto a Kyra, ringhiò contro Maltren e lei gli mise una mano rassicurante sulla testa, trattenendolo.

      “E poi perché quel lupo viene lasciato entrare nel nostro campo?” aggiunse Maltren.

      Anvin e Vidar lanciarono a Maltren un’occhiata seria e fredda, tirando Kyra da parte. Ma lei rimase ferma al suo posto e gli sorrise, sapendo di avere la loro protezione e che lui non poteva costringerla ad andarsene.

      “Forse dovresti tornare ad allenarti,” ribatté lei con voce derisoria, “e non preoccuparti del via vai di giovani e ignoranti ragazze.”

      Maltren arrossì, incapace di rispondere. Si voltò, pronto ad andarsene, ma non senza averle lanciato un’ultima frecciatina.

      “Usiamo le lance oggi,” le disse. “Faresti meglio a stare alla larga dagli uomini veri che lanciano vere armi.”

      Si voltò e se ne andò con gli altri. Kyra lo guardò andare: la sua gioia di essere lì era ora smussata dalla sua presenza.

      Anvin le lanciò un’occhiata consolatoria e le pose una mano sulla spalla.

      “La prima lezione di un guerriero,” le disse, “è di imparare a convivere con quelli che ti odiano. Che ti piaccia o no, ti ritroverai a combattere fianco a fianco con loro, la tua vita dipenderà da loro. Molto spesso i tuoi peggiori nemici non vengono da fuori, ma da dentro.”

      “E quelli che non sanno combattere hanno la lingua lunga,” disse una voce.

      Kyra si voltò e vide Arthfael che si avvicinava, sorridendo, giungendo velocemente al suo fianco come sempre. Come Anvin e Vidar, Arthfael, un nobile e fiero guerriero con la testa calva e una lunga e folta barba nera, aveva un debole per lei. Era uno dei migliori con la spada, veniva raramente battuto e stava sempre dalla sua parte. Fu confortata dalla sua presenza.

      “Sono solo parole,” aggiunse Arthfael. “Se Maltren fosse un guerriero migliore, si preoccuperebbe di più di se stesso che degli altri.”

      Anvin, Vidar e Arthfael montarono a cavallo e partirono insieme agli altri. Kyra rimase a guardarli, pensando. Perché alcune persone odiavano? si chiedeva. Non sapeva se avrebbe mai capito.

      Mentre attraversavano il campo, percorrendo ampi cerchi, Kyra osservò con ammirazione i grossi cavalli da guerra, bramando il giorno in cui avrebbe potuto averne uno tutto per sé. Guardò gli uomini che facevano il giro del campo, galoppando lungo il muro di cinta con i cavalli che talvolta scivolavano nella neve. Gli uomini afferrarono delle lance che i loro scudieri gli porgevano e finendo il giro le lanciarono contro distanti bersagli: scudi che pendevano da dei rami. Quando colpivano si levava il caratteristico clangore del metallo.

      Lanciare mentre si

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