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e quella della famiglia reale, e apriva con solennità l'istrumento. Myosotis sedeva risolutamente davanti alla tastiera e si poneva a studiare.

      Un pomeriggio, quattro mesi dopo, tornando di corsa a Rose Cottage, ella andò difilato in cucina, e davanti a Jessie che stava impastando un Yorkshire pudding, distese ed aprì il primo quaderno del Diabelli.

      – Vedi queste cose nere? – disse. – Sono note. Ed io le so suonare.

      E poggiato il quaderno all'orlo dell'asse infarinato, suonò sulla tavola da cucina, alzando molto le dita e cantando la melodia:

      – Ta, tatà tatà tatà, ta, ta....

      Jessie colle mani infarinate sui fianchi, fu assai impressionata.

      – Ma guarda un po', ma guarda un po'! – esclamava. E nei suoi occhi rossi salivano le lagrime di meraviglia e di ammirazione.

      – Ta, tatà tatà tatà tatà, ta, ta – continuava Myosotis.

      E a Jessie le lagrime traboccarono dagli occhi e caddero giù per le guancie; e non potè nè nasconderle nè asciugarle perchè aveva le mani infarinate.

      Tre giorni dopo, arrivava da Leeds il pianoforte. E il dottore in poltrona, e Leslie in piedi, e Jessie rigida in una sedia accanto alla porta, ascoltarono rapiti la Sonatina del Diabelli per ben otto o dieci o dodici volte di seguito; mentre in cucina il pollo – immolato per la grande occasione – bruciava nella casseruola, e Whisky in piedi sulla tavola, ne divorava i fegatini e il cuore.

      VII

      Di ritorno da Felixstowe, Mrs Russel, a cui la timida e dolce ritrosia delle due fanciulle era assai piaciuta, le invitò a venire ogni sabato a giocare al tennis colle sue figlie e la figlia del nuovo pastore anglicano. Le due fanciulle vi andarono, ma essendo molto timide e non sapendo giocare al tennis non si divertirono troppo, e il sabato seguente non vi andarono più.

      Ma da quella visita riportarono una cosa nuova nella loro vita; un libro prestato da Nelly Russel: «Jane Eyre», di Charlotte Brontë. Non avevano mai letto un romanzo e fu per loro un avvenimento. In Rose Cottage non si parlava che delle sofferenze di Jane, della dolcezza di Helen, della fierezza di Rochester; Myosotis lo leggeva ad alta voce, la sera, a Leslie che ascoltava colle guancie accese e le mani strette in grembo, e al papà che ogni tanto sonnecchiava. Ma le ragazze lo svegliavano per rileggergli i passi più emozionanti, e poi andavano in cucina a leggerli anche a Jessie.

      Ma quella crollava la testa sotto la cuffia bianca inamidata: – A me non piacciono quelle storie. Meglio leggere la Bibbia: si capisce meno, ma si sa che fa bene.

      La sera che il libro fu terminato, Myosotis riprese rassegnata la sciarpa che stava ricamando per Leslie; ma Leslie tenne il libro tra le mani, quasi le dolesse separarsene.

      – È strano, – sospirò essa, facendo scorrere tra le dita le nitide pagine ormai lette, – è strano che nei libri accadono tante cose!… Invece nella vita non accade mai niente.

      – Perchè dici questo? – chiese la sorella maggiore volgendo su lei gli occhi teneri e inquieti. – Ti annoi, forse?

      – Non so se m'annoio – rispose Leslie, pensierosa. – Non so precisamente che cosa voglia dire «annoiarsi».

      – Già, – fece Myosotis, contemplando la diafana, biondissima sorellina. E seguendo il filo dei suoi pensieri dovette dirsi che, in fondo, non sapevano nè l'una nè l'altra che cosa volesse dire annoiarsi o divertirsi, gioire o soffrire.

      La vita non aveva finora offerto alle loro labbra che la pura inconsapevolezza d'ogni cosa, come un fresco e insapore sorso d'acqua montanina.

      – Perchè proprio a questa Jane – continuò Leslie, sfogliando il libro con nostalgica lentezza – vanno a capitare tante cose? Non è verosimile. Poteva accaderle niente, come a noi.

      Myosotis rise. – Ma è appunto perchè le sono capitate tante cose, che l'autore ha scritto il romanzo. Di una ragazza a cui non succede niente, nessuno scrive.

      – Già, sarà così – disse Leslie pensierosa. – La nostra vita!… Come è bianca e vuota! Certo di noi nessuno scriverà.

      VIII

      Verso la fine di quell'estate, in cui Myosotis compiva diciannove anni e Leslie quindici, venne a stare a Wild-Forest, in una villa signorile da tanti anni chiusa, una signora dal bel nome aristocratico: Lady Randolph Grey.

      Grande, grassa, coi capelli tinti di rosso, la carnagione di un biancore abbagliante, si vedeva uscire dal cancello della villa, vestita di scuro con un largo cappello alla Rembrandt sui capelli color rame, e traversare il paese con calmo e dignitoso incesso.

      Non faceva nulla per far parlare di sè. Ma Wild-Forest tuttavia ne parlava. Commentava il suo contegno serio e composto ogni domenica in chiesa; e assaporava con piacere i puddings profumati di cannella e garofano ch'essa mandava a tutte le vecchie povere del villaggio.

      Non si sapeva troppo chi fosse. Delle sue tre domestiche, una sola usciva a far compere nel paese e non parlava con nessuno. Ma, forse per qualche velata indiscrezione dello chauffeur – poichè Lady Randolph aveva anche una Rolls-Royce verde scura e uno chauffeur in livrea dello stesso colore —, si sussurrava che era una dama di alto casato: chi dava per certo che era sorella di Lord Randolph Churchill, e chi sosteneva con non minore convinzione che era invece la moglie di Lord Edward Grey.

      Il suo primo nome aveva un dolce suono esotico: «Miranda», che i villici di Wild-Forest rotolavano in bocca come una caramella di gomma.

      Il Pastore protestante e lo Squire colle loro signore le avevano subito fatto visita; ma essa, pur ricevendoli con regale affabilità, non aveva reso la cortesia se non col lasciare alle loro porte uno stemmato biglietto di visita.

      Viceversa, dopo qualche settimana di solitudine, cominciò a ricevere molte visite da Londra; e, specialmente al «week-end», cioè ogni Venerdì e Sabato, si udiva per le silenziose vie del villaggio un gran rantolare e russare e tossire d'automobili.

      La domenica andava sempre lei sola in chiesa; i suoi ospiti rimanevano nella villa delle Acacie. I buoni rustici, avviandosi alla chiesa, li scorgevano talvolta traverso l'alta siepe d'edera e di bosso: stavano languidamente sdraiati sotto agli alberi nelle poltrone di vimini, fumando sigarette (le donne come gli uomini) ed esponendo all'aria (gli uomini come le donne) le eleganti caviglie calzate di seta variopinta.

      Si faceva sottovoce i nomi degli ospiti: quello dai baffi bianchi doveva esser Mr. Asquith, e le due signorine vestite di rosso erano senza dubbio le sue figlie. C'era anche il Duca di Norfolk.... in incognito. E quel biondino snello e pallido, vestito di grigio, si sussurrava a bassa voce che doveva essere.... Sì, sì! nientemeno che il principe di Galles!… Traverso le siepi i contadini sostavano, trattenendo con riverenza il respiro, a mirare quelle caviglie iridescenti a quadretti rossi e verdi, appartenenti a Sua Altezza.... E quando, in chiesa, il reverendo Pastore recitava come di precetto la preghiera per la Famiglia Reale, tutti gli occhi si volgevano a Lady Miranda Randolph Grey, che inginocchiata piamente nel suo banco, chinava un po' più basso sulle guantate mani il cappello piumato e la nuca tizianesca, quasi fosse questa preghiera un favore speciale e personale che la congregazione chiedesse per lei all'Onnipotente.

      Una domenica, uscendo dalla funzione, col capo d'oro soavemente chino sopra il suo libro di preci, e percorrendo il viale del piccolo cimitero che circondava la chiesa, ella si imbattè faccia a faccia colle due figlie del dottor Harding. Quelle levarono a lei i limpidi sguardi; e quando furono passate ella ebbe l'impressione d'aver sfiorato qualche cosa di primaverile, di mattinale e d'alato.

      – Chi sono quelle due fanciulle giovanissime, biondissime, vestite d'azzurro, che ho visto or ora? – si degnò essa di chiedere a Mrs Russel che, ferma sulla strada davanti al cancello del cimitero, aspettava il passaggio e il saluto della illustre dama.

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