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della matita sentesi invogliato di rappresentare coi mezzi dell'arte pittorica ciò che l'autore seppe con rara maestria descrivere. Il sig. Gallina, valente artista, già noto per alcuni pregiati lavori, formò dodici composizioni dei casi più interessanti del suddetto romanzo, e queste, da lui stesso litografate, verranno impresse nello Stabilimento Ricordi. Il formato della stampa sarà di oncie 8¾ per 6½; giusta dimensione per ornamento di un quartiere. La collezione verrà divisa in sei fascicoli, di due stampe per ciascuno, e se ne pubblicherà un fascicolo ogni mese. Il prezzo di ogni stampa è fissato a paoli 9 in carta della China e a paoli 6 in carta velina». L'
Eco di Milano [ann. II, n.º. 51, 29 aprile 1829, p. 204] le lodò, «tanto per l'invenzione, quanto per l'esecuzione». Francesco Pastori [
Bibliografia italiana ossia Giornale generale di tutto quanto si stampa in Italia, libri, carte geografiche, litografie e novità musicali, ann. I [1828], p. 76] trovò «lodevole» il pensiero del sig. Gallina di dare disegnati in litografia i quadri principali del bellissimo romanzo del sig. Manzoni»; ed ebbe a dire «che l'impresa, ben pensata e lodevolmente eseguita, prestava materia di gradevolissimo ornamento».
29
Costumi vestiti alla festa da ballo data dal Signor Conte Batthyany (sic), Milano, litografia Elena. [Ogni fascicolo costava 20 lire italiane].
30
La Minerva Ticinese, fasc. 50, 16 decembre 1829.
31
Il «giudizio del conte O' Mahony sui Promessi Sposi di Alessandro Manzoni» fu ristampato, con la traduzione italiana a fronte, a pp. 391-413 del tom. III dell'edizione del Romanzo fatta a Lugano, presso Francesco Veladini e comp., nel 1829.
32
L'Eco, ann. VI, n. 1, 2 gennaio 1833.
33
Revue encyclopèdique, tom. XXXVI [octobre 1827], pp. 411-412.
34
Revue encyclopèdique, tom. XXXVIII [avril 1828], pp. 376-389.
35
Non senza interesse sono due lettere del Niccolini a Salvatore Viale, una del 21 e una del 5 luglio '28. La prima è questa: «Il Globo ha delle dottrine ultra-romantiche, e nella Rivista il Salfi sta pedantescamente attaccato ai precetti dei classici. Questa, per chi la discerne, è disputa in gran parte di nomi, ma pur divide la repubblica letteraria in due fazioni e offusca coi pregiudizi l'intelletto. Il Salfi accusa il Manzoni nel suo articolo sugli Sposi promessi d'essere fautore delle istituzioni monastiche. Quest'accusa è ingiusta, e non può cadere in mente di chiunque legga spassionatamente quel libro, ed io che intimamente conosco l'autore, e sono stato la persona colla quale ei più conversasse in Firenze, posso far fede che la sua pietà è scevra di superstizione, e che non ama i frati». Nell'altra scrive: «A me premeva d'investigare le ragioni del silenzio del Salfi, ma senza però ch'ei mi potesse credere un accattalodi… Io amo più di conservare la dignità dell'animo, che mostrarmi ghiotto d'uno sciocco articolo di quel canuto e solenne buffone. E meritamente io lo chiamo così, perchè non v'è pazienza che sostenga di leggere i suoi imbratti sull'opere ch'escono in Italia: egli loda quello che fra noi si disprezza, o s'ignora, mentre maltratta e calunnia il Manzoni, primo ornamento delle lettere italiane».
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Giuseppe Giusti racconta in una sua lettera, scritta nell'aprile del '36: «Finalmente ho parlato a Sismondi, e per due volte mi son trattenuto seco lungamente… Parlammo di Manzoni, e qui apparve singolarmente l'uomo grande. Io introdussi il discorso colla massima delicatezza, ma a bella posta, perchè voleva chiarirmi d'un dubbio, nato in me alla prima lettura di quel libro del Manzoni, ove confuta gli ultimi due capitoli della Storia delle Repubbliche. Sismondi parlò di quell'opera, dicendo che era ammirato della maniera urbana con la quale fu distesa: lodò la sincerità dell'autore, e ne compianse le ultime disgrazie, le quali, secondo lui, hanno contribuito non poco a confermarlo ne' suoi principii; aggiunse poi, sempre moderatamente, che gli pareva che si fosse partito da un punto molto diverso dal suo, poichè esso considerava le cose come sono attualmente, e Manzoni come dovrebbero essere. Nè so dirti quanto fossi contento di vedere che io non m'era ingannato. Credei bene di dirgli che gl'Italiani non avevano fatto gran plauso a quel libro, e che anzi, senza scemare in nulla la debita reverenza al Manzoni, era stato riguardato piuttosto come un errore, o almeno come un'opera suggerita da qualcuno che lo avvicina per secondi fini, i quali, dall'altro canto, non capiscono nell'animo integerrimo di quel sommo italiano».
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Mamiani T., Manzoni e Leopardi; nella Nuova Antologia; XXIII, 760-762.
38
Tragedie e poesie varie di Alessandro Manzoni, colle prose analoghe ed un'apposita prefazione del barone Camillo Ugoni —Quindicesima edizione– Lugano, Giuseppe Ruggia e C., 1830; in 16º. di pp. XXVIII-272. La «prefazione» dell'Ugoni abbraccia le pp. V-XXVIII e porta la data: «Parigi, 19 novembre 1829». Ne diede un cenno il Tommaseo nell'Antologia, tom. XXXIX, n. 151, luglio 1830, p. 136.
39
Il Nuovo Ricoglitore, ann. III, part. I, n. 30, giugno 1827, pp. 446-451.
40
Cfr. Gazzetta di Milano dell'11 luglio 1827.
41
Corriere delle Dame, n. 36, 8 settembre 1827, pagine 285-287.
42
Gazzetta di Milano del 15 ottobre 1827.
43
Da una lettera di Giovanni Pagni (il noto Farinello Semoli delle baruffe del Monti con la Crusca) al marchese Gian Giacomo Trivulzio, scritta da Firenze il 5 ottobre 1827, tolgo questo brano: «Ha passato in Toscana, tra Livorno e Firenze, una cinquantina di giorni il celebre Manzoni, decoro di questa capitale. Non può credere quanto sia stato onorato e distinto dalla maggior parte dei letterati e dei nobili più culti, che si son dati la premura di conoscerlo e di ammirarne il carattere. S. A. R. [il Granduca Leopoldo II] lo ha invitato alla sua mensa, trattenendosi molto con esso lui ed ha voluto mostrargli in persona la preziosa ricchissima sua biblioteca. Io ho avuto il piacere di far compagnia alla sua famiglia, che avevo conosciuta a Milano, e che, dotata di morali virtù, è degna di tanto padre di famiglia».
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È un'allusione al Sergianni Caracciolo, dramma storico del prof. G. B. De Cristoforis, Milano, 1826; in-8º. del quale parlò il Tommaseo nell'Antologia, n. LXIX, settembre 1826, pp. 104-111. Alle Melodie liriche di Samuele Biava di Bergamo dette «gran lode» il Cantù nel Ricoglitore. Invece la Biblioteca italiana «tolse a provare che poteano mostrarsi ai giovani come agli Spartani l'ilota ubriaco. Il colpo era diretto a sbalzarlo d'impiego: ma uscì una risposta, forte sino alla violenza, e segnata C. C., dove era difeso il Biava e investito il suo avversario. Fu atto generoso, perchè quell'avversario avea in mano i processi e potea mandarlo allo Spielberg; onde va data lode al difensore, che era Carlo Cattaneo». Cfr. Cantù C., Italiani illustri ritratti; III, 79.
45
La Vespa, ann. I [1827], pp. 17-20, 38-43 e 96-103.
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Nacque l'8 settembre del 1799; involto nelle cospirazioni del '21, «negò denunziare i compagni ed ebbe da Ferdinando III, Granduca di Toscana, per carcere un convento di frati in paese ameno, di dove lo trasse a Roma lo zio monsignore [Giovanni] Marchetti, dotto uomo, ma più illiberale del Principe lorenese, che fu ben lieto dell'esser libero da quel prigione». Cfr. Tommaseo N., Di Giampietro Vieusseux e dell'andamento della civiltà italiana in un quarto di secolo, memorie, Firenze, 1863; p. 44. «Passati gli anni successivi in privati impieghi, non però alieni da' cari studi, in Rimini e indi a Roma, appena tornato a Empoli nel settembre del '29, fu sorpreso da febbri violente, che si volsero in tisi, e il 16 decembre tolto a' viventi». Così il Montani [Antologia, n.º 108, decembre 1829, pp. 96-97], che aggiunge: «Ei meditava, dicesi, un'opera storica; e forse per consacrarvisi avea rifiutata la sopraintendenza agli studi nel Seminario di S. Marino, offertagli dal celebre Borghesi a nome de' magistrati di quella Repubblica… Ultimo scritto di lui, e soggetto d'ancor
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