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      Dopo quindici giorni di prove intelligenti e assidue sul vasto palcoscenico dell'Alfieri – prove che, se pur ce ne fosse stato bisogno, mi fecero capir meglio di quanta bontà e di quanto zelo siano animati i nostri Attori – andammo in iscena, dinanzi al pubblico delle grandi occasioni, la sera del 14 ottobre.

      L'aspettativa era molta; perchè il fine e spassionato pubblico torinese, non che la critica, che in quella città è maestra di cortesia e di sapere, aspettavano da me, se non certo un capolavoro (ben altro ingegno e ben altra coltura ci vorrebbero!), un lavoro almeno dagl'intendimenti moderni e sociali.

      La mia buona stella, e la squisita bontà del gran pubblico torinese, accorso in folla al teatro Alfieri, non che la somma valentia de' miei interpreti, fecero sì che il successo si determinasse sino dal primo atto; e si accalorasse a mano a mano che l'azione, negli atti seguenti, si disegnava nettamente.

      Il secondo atto piacque; e, come il primo, mi procacciò varie chiamate al proscenio. Ma il grande successo, quello che fa venire le lacrime agli occhi e ti fa benedire al pubblico e all'arte, si determinò al calare della tela sull'atto terzo.

      Non dimenticherò mai di aver visto quella folla, che poche ore prima paventavo tanto, sollevarsi in piedi e applaudirmi con tale assordante rumore e tale scrosciar di battimani, da commuovermi sino alle lacrime.

      Come fu benedetta per me quell'ora, quel momento indimenticabile! Come mi sentii, in quell'istante, felice, pienamente felice! Come avrei voluto ringraziare tutti quegli spettatori a uno a uno, e dir loro quanto mi sentivo grato e commosso!

      Il quarto atto coronò il lieto successo di tutto il lavoro, e mi procacciò altre numerose chiamate alla ribalta.

      La battaglia era, dunque, vinta; interamente vinta. Il pubblico di Torino aveva, d'un tratto, afferrato l'intimo intendimento del mio lavoro; e aveva, con maravigliosa prontezza, colmato le lacune e riempiti i vuoti.

      Io era, ripeto, come poche volte m'avvenne nella vita, felice, interamente felice!

      La mattina di poi, i valorosi Cauda, della Gazzetta di Torino; Abbate, della Gazzetta del Popolo; Vittorio Banzatti, della Gazzetta Piemontese; Domenico Lanza, della Gazzetta della domenica confermavano, non solo il successo completo, ma lo ravvaloravano con le loro buone osservazioni critiche, mettendo in rilievo così i pregj, come i difetti dell'opera.

      Le repliche furono nove, e sempre più liete.

      Ma avrebbe un altro gran pubblico italiano apposto il suggello della propria firma al successo torinese? Ecco il dubbio che mi travagliava, e sminuiva la mia legittima contentezza.

      Alla distanza di un sol mese, venne il giudizio de' Veneziani: un altro gran pubblico, noto per la severità e imparzialità sua: che giudica a teatro secondo il proprio sentire, e non si lascia dominare, nè persuadere, da' successi teatrali delle altre città; antico e fedele custode della gloriosa tradizione goldoniana. E fu un giudizio anche più entusiastico di quello datomi da' Torinesi. M'ebbi, al Goldoni, numerosissime chiamate, e ricordo ancora lo scrosciare degli applausi unanimi che echeggiarono e risonarono per ben otto volte nell'ampia sala dello storico teatro.

      Le repliche, anche a Venezia, si seguirono con crescente successo; e, ciò che più giova, con piena e sincera soddisfazione de' Veneziani.

      Gli egregj critici Toni (Munaro) della Venezia, Ricchetti dell'Adriatico, Mazzacolin dell'Arte drammatica, scrissero, sulla mia Danza, articoli magistrali, assai lusinghieri per la commedia, per l'autore, e per gl'interpreti.

      A giudizio così de' critici di Torino, come di Venezia, io, senza far torto agli altri nostri Attori, non troverò, facilmente, chi possa e sappia incarnare il mio Principe Lanfranchi, come Cesare Rossi. E, di vero, sin dal primo comparire in sulla scena del magnifico Attore, il pubblico capì di avere dinanzi a sè un Principe romano autentico. L'atteggiamento aristocratico della persona; l'abito elegante e severo; la truccatura felicissima, nell'aristocratica semplicità sua; il modo tutto signorile di porgere; la misurata e non istudiata commozione nelle scene capitali del terzo e del quarto atto, arrivarono a ciò che, in gergo teatrale, dicesi una vera e propria creazione.

      Anche questa volta, dunque, come per le Rozeno, m'ebbi nel sommo nostro Attore, non già un interprete, sì bene un vero e proprio collaboratore.

      Teresina Mariani, che m'ha sempre portato fortuna, e condotto sempre con l'arte sua alla vittoria – ricordo, a chi nol sappia, che l'ebbi a prima interprete nel Matrimonio d'Alberto, ne' Cugini, ne' Tordi e fringuelli, e, da ultimo, nelle Rozeno, da lei a dirittura create – fu una Duchessa Silvia quale non avrei certo potuto sperare nè più efficace, nè più calda, nè più vera. Ebbe – specie nelle due scene finali del secondo e del terzo atto, e nella gran-scena del quarto col vecchio Principe – slanci, inflessioni di voce, impeti di sincerità e di passione, da trascinare il difficile pubblico veneziano e torinese a un applauso caldo, sincero, spontaneo.

      Anche questa volta vado dunque debitore a questa Gentile, che in pochi anni ha percorso luminosamente sì grande cammino nella spinosa via dell'arte sua, le maggiori e più durevoli soddisfazioni.

      Devo anche – è giustizia riconoscere – buona parte degli unanimi applausi avuti, all'arte semplice, sobria, efficace, corretta di Carlo Rosaspina; che incarnò l'Ingegnere Salvetti con quelle doti che fanno di lui uno de' nostri primissimi attori. Nelle scene finali del primo e secondo atto, e in tutto l'atto terzo – fatica speciale del primo attore – ebbe momenti d'impeto, di passione, di sincerità da meritarsi gli applausi più entusiastici.

      Vittorio Zampieri fu, come sempre, efficacissimo, e – ciò che più giova nella Danza – singolarmente efficace. Il Tombari; N. Masi; U. Piperno; la gentile coppia Guasti; le brave signorine Annita Bergonzio e Maria Volante; gli egregj Mugnaini e Cantinelli; il sempre misurato e valoroso Colombari, recitarono da que' bravi attori che sono, e diedero non piccolo rilievo alle mie scene.

      Difficilmente, confesso, troverò degl'interpreti più coscienziosi e più amici dell'Autore.

      A tutti i miei affettuosi e sinceri ringraziamenti.

      E, ora, alla mia Danza un augurio paterno: – possa essa, con simili o con altri non meno valorosi interpreti, danzare, per lunghi anni, sulle maggiori o minori scene d'Italia! —

      Sia anche questo il tuo augurio, o caro amico lettore!

Camillo Antona-Traversi

      ATTO PRIMO

      Gran salone di ricevimento nel palazzo Lanfranchi. – Architettura del Rinascimento. – Nel fondo, a destra dello spettatore, porta altissima, formata di quattro colonne di marmo, e capitello di marmo, che comunica in una Galleria di quadri.

      A sinistra, un camino artistico, anch'esso di marmo.

      Al di sopra, in modo da coprire tutta la parete, grande arazzo. – Porte laterali. – Grandi portiere. – Mobili artistici e di lusso. – Lampadari di Venezia, con candele, e lampade a olio colorate. – Fiori. – Quadri.

      Tra i mobili del fondo, in un angolo, un piccolo porta liquori con bottiglie e bicchieri.

      Le poltrone, e i sofà devono esser disposti in modo da consentire a' personaggi di formare i gruppi.

      SCENA I

All'alzare della tela, Giacomo e Ambrogio stanno accendendo le candele e i lumi del Salone e della Galleria. – Tommaso, in frak e cravatta bianca, entra dalla destra dello spettatore, seguito da Vittorio che ha in mano lettere e carte

      Tomm. (ai servi) Accendete da per tutto… anche la Galleria… (a Vittorio) Vediamo… ho altro da dirle?.. (pensa) Ah, sì!.. (levando di tasca una carta) Bisogna spedire questo telegramma… e poi… poi non c'è più nulla!.. Può andare a dormire… (ridendo) e questo è l'ultimo ordine che le do!..

      Vitt. L'ultimo!?

      Tomm.

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