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ci può capitare. I casi son tanti!…

      — Voi direte bene, — soggiunse Pinocchio, — ma io non mangerò mai una frutta, che non sia sbucciata. Le bucce non le posso soffrire. ― E quel buon uomo di Geppetto, cavato fuori un coltellino, e armatosi di santa pazienza, sbucciò le tre pere, e pose tutte le bucce sopra un angolo della tavola.

      Quando Pinocchio in due bocconi ebbe mangiata la prima pera, fece l’atto di buttar via il torsolo: ma Geppetto gli trattenne il braccio, dicendogli:

      — Non lo buttar via: tutto in questo mondo può far comodo.

      — Ma io il torsolo non lo mangio davvero!… — gridò il burattino, rivoltandosi come una vipera.

      — Chi lo sa! I casi son tanti!… — ripetè Geppetto, senza riscaldarsi.

      Fatto sta che i tre torsoli, invece di essere gettati fuori dalla finestra, vennero posati sull’angolo della tavola in compagnia delle bucce.

      Mangiate o, per dir meglio, divorate le tre pere, Pinocchio fece un lunghissimo sbadiglio e disse piagnucolando:

      — Ho dell’altra fame!

      — Ma io, ragazzo mio, non ho più nulla da darti.

      — Proprio nulla, nulla?

      — Ci avrei soltanto queste bucce e questi torsoli di pera. — Pazienza! — disse Pinocchio — se non c’è altro, mangerò una buccia. —

      E cominciò a masticare. Da principio storse un po’ la bocca; ma poi, una dietro l’altra, spolverò in un soffio tutte le bucce: e dopo le bucce, anche i torsoli, e quand’ebbe finito di mangiare ogni cosa, si battè tutto contento le mani sul corpo, e disse gongolando:

      — Ora sì che sto bene!

      — Vedi dunque, — osservò Geppetto, — che avevo ragione io quando ti dicevo che non bisogna avvezzarsi nè troppo sofistici nè troppo delicati di palato. Caro mio, non si sa mai quel che ci può capitare in questo mondo. I casi son tanti!… —

      VIII.

      Geppetto rifà i piedi a Pinocchio e vende la propria casacca per comprargli l’Abbecedario.

      Il burattino, appena che si fu levata la fame, cominciò subito a bofonchiare e a piangere, perchè voleva un paio di piedi nuovi. Ma Geppetto, per punirlo della monelleria fatta lo lasciò piangere e disperarsi per una mezza giornata; poi gli disse: — E perchè dovrei rifarti i piedi? Forse per vederti scappar di nuovo da casa tua?

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      Lo lasciò piangere e disperarsi per una mezza giornata.

      — Vi prometto, — disse il burattino singhiozzando, — che da oggi in poi sarò buono…

      — Tutti i ragazzi — replicò Geppetto, — quando vogliono ottenere qualcosa, dicono così.

      — Vi prometto che anderò a scuola, studierò e mi farò onore…

      — Tutti i ragazzi, quando vogliono ottenere qualcosa, ripetono la medesima storia.

      — Ma io non sono come gli altri ragazzi! Io sono più buono di tutti e dico sempre la verità. Vi prometto, babbo, che imparerò un’arte, e che sarò la consolazione e il bastone della vostra vecchiaia. —

      Geppetto che, sebbene facesse il viso di tiranno, aveva gli occhi pieni di pianto e il cuore grosso dalla passione di vedere il suo povero Pinocchio in quello stato compassionevole, non rispose altre parole: ma, presi in mano gli arnesi del mestiere e due pezzetti di legno stagionato, si pose a lavorare di grandissimo impegno.

      E in meno d’un’ora, i piedi erano bell’e fatti; due piedini svelti, asciutti e nervosi, come se fossero modellati da un artista di genio.

      Allora Geppetto disse al burattino:

      — Chiudi gli occhi e dormi! — E Pinocchio chiuse gli occhi e fece finta di dormire. E nel tempo che si fingeva addormentato, Geppetto con un po’ di colla sciolta in un guscio d’uovo gli appiccicò i due piedi al loro posto, e glieli appiccicò così bene,che non si vedeva nemmeno il segno dell’attaccatura.

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      Principiò a fare mille sgambetti.

      Appena il burattino si accorse di avere i piedi, saltò giù dalla tavola dove stava disteso, e principiò a fare mille sgambetti e mille capriòle, come se fosse ammattito dalla gran contentezza.

      — Per ricompensarvi di quanto avete fatto per me — disse Pinocchio al suo babbo — voglio subito andare a scuola.

      — Bravo ragazzo.

      — Ma per andare a scuola ho bisogno d’un po’ di vestito. —

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      Gli fece.... un berrettino di midolla di pane.

      Geppetto, che era povero e non aveva in tasca nemmeno un centesimo, gli fece allora un vestituccio di carta fiorita, un paio di scarpe di scorza d’albero e un berrettino di midolla di pane.

      Pinocchio corse subito a specchiarsi in una catinella piena d’acqua e rimase così contento di sè, che disse pavoneggiandosi:

      — Paio proprio un signore!

      — Davvero; — replicò Geppetto, — perchè, tienlo a mente, non è il vestito bello che fa il signore, ma è piuttosto il vestito pulito.

      — A proposito, — soggiunse il burattino, — per andare alla scuola mi manca sempre qualcosa: anzi mi manca il più e il meglio.

      — Cioè?

      — Mi manca l’Abbecedario.

      — Hai ragione: ma come si fa per averlo?

      — È facilissimo: si va da un libraio e si compra.

      — E i quattrini?

      — Io non ce l’ho.

      — Nemmeno io, — soggiunse il buon vecchio, facendosi tristo.

      E Pinocchio, sebbene fosse un ragazzo allegrissimo, si fece tristo anche lui: perchè la miseria, quando è miseria davvero, la intendono tutti: anche i ragazzi.

      — Pazienza! — gridò Geppetto tutt’a un tratto rizzandosi in piedi; e infilatasi la vecchia casacca di fustagno, tutta toppe e rimendi, uscì correndo di casa.

      Dopo poco tornò: e quando tornò aveva in mano l’Abbecedario per il figliuolo, ma la casacca non l’aveva più. Il pover’uomo era in maniche di camicia, e fuori nevicava.

      — E la casacca, babbo?

      — L’ho venduta.

      — Perchè l’avete venduta?

      — Perchè mi faceva caldo.―

      Pinocchio capì questa risposta a volo, e non potendo frenare l’impeto del suo buon cuore, saltò al collo di Geppetto e cominciò a baciarlo per tutto il viso.

      IX.

      Pinocchio vende l’Abbecedario per andare a vedere il teatrino dei burattini.

      Smesso che fu di nevicare, Pinocchio col suo bravo Abbecedario nuovo sotto il braccio, prese la strada che menava alla scuola: e strada facendo, fantasticava nel suo cervellino mille ragionamenti e mille castelli in aria, uno più bello dell’altro.

      E discorrendo da sè solo, diceva:

      — Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere: domani poi imparerò a scrivere, e domani l’altro imparerò a fare i numeri. Poi, colla mia abilità, guadagnerò molti quattrini e coi primi quattrini che mi verranno in tasca, voglio subito fare al mio babbo una bella casacca di panno.

      Ma

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