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Samos. Xisco Bonilla
Читать онлайн.Название Samos
Год выпуска 0
isbn 9788835431749
Автор произведения Xisco Bonilla
Издательство Tektime S.r.l.s.
«Va bene, vireremo verso quella barca, forse possono vederci.» Modificò la rotta dell’imbarcazione, togliendo per un momento il timone a sua sorella; quindi, iniziò a remare con l'unico remo verso la barca che sembrava avvicinarsi a loro.
La vela si avvicinò lentamente. I Teópulos diedero per scontato di essere stati individuati. Quando fu a circa cinquecento braccia di distanza, calcolò Almice, la barca virò in modo inequivocabile verso di loro. La sorte era stata decisa, avevano dei soldi, se erano pescatori, supponevano di poter pagare un passaggio per Kos; se non lo erano, sarebbe stato meglio se tutto fosse accaduto rapidamente, pensò il ragazzo. Era una imbarcazione molto più grande della barchetta malconcia di Hermes Teópulos. Una grande vela triangolare la spingeva decisamente verso di loro. Dalla piccola barca si vedevano diverse persone manovrare sul ponte. L'agitazione a bordo avvertì Almice che si stavano preparando all'abbordaggio, iniziarono a piegare la vela.
«Oh, della barca! Chi siete?» La voce proveniva da prua, un uomo di corporatura massiccia alzò le mani con un gesto amichevole. Almice si apprestò a rispondere.
«Veniamo da Samos, la tempesta ha strappato la nostra vela e andiamo alla deriva. Abbiamo bisogno di aiuto per arrivare a Kos.»
«Si vede che la vostra barca è danneggiata, salite a bordo, andiamo verso Nisyros, vicino all'isola di Kos. Immagino che potremo lasciarvi da qualche parte sull'isola.»
Le due imbarcazioni si posizionarono fianco a fianco e i giovani salirono a bordo lasciando la piccola barca vuota, alla deriva. L'uomo corpulento che aveva parlato apparve davanti a loro.
«Buongiorno, ragazzi. Sono Zamar, il capitano di questo guscio. Benvenuti sulla mia barca.» Sorrise maliziosamente. «Questi sono i miei uomini.» Fece un gesto indicando i membri del suo equipaggio. Una dozzina di uomini di varie età, trasandati e sporchi. I fratelli iniziarono a temere che non fossero esattamente pescatori. Alcuni marinai lanciavano occhiate lascive al seno di Telma, che risaltava grazie all'abito della ragazza, ancora inzuppato per la tempesta. La barca era certamente di grandi dimensioni, doveva avere diversi compartimenti per l'equipaggio e un notevole spazio di carico. Non si vedeva nessuna rete.
«Grazie per averci raccolti» ruppe il ghiaccio Almice. «Cosa possiamo offrirvi come ricompensa?»
«Non vi preoccupate di questo ora, andate a riposare, tra un paio d'ore mangeremo e parleremo di tutto.» Il capitano, sorridendo, fece un gesto perché scendessero all'interno della barca. I ragazzi, un po' sospettosi, si sentivano esausti e dopo aver parlato brevemente tra loro finirono per accettare l'invito.
L'interno della nave era spartano, scesero dei gradini di legno e si ritrovarono nella stiva. Su entrambi i lati, alcune anfore immagazzinate si sostenevano a vicenda in modo irregolare vicino a delle cuccette che dovevano servire per far riposare l'equipaggio. Il marinaio che li guidava si diresse a prua e li fece entrare in una piccola stanza. Si congedò da loro lasciando la porta aperta e i Teópulos si rilassarono. Era un piccolo recinto, più piccolo del ponte della sua nave, ma era asciutto e se si sdraiavano ci stavano perfettamente. Almice e Telma erano ancora inquieti, la fatica accumulata durante le ore della fuga aveva messo a dura prova i quattro e presto tutti finirono per arrendersi al sonno.
«Lasciatemi maledetti! Lasciatemi andare! Almice, aiutami!» Le urla di Telma svegliarono i suoi fratelli. La prima cosa che Almice pensò fu che la sorella fosse in preda ad un incubo. Aprì gli occhi e si sedette per capire cosa stesse succedendo.
«Lasciate stare mia sorella!» Il ragazzo balzò in piedi pronto a difenderla, ma un tremendo pugno lo fece cadere sulle bambine, che urlavano spaventate.
«Resta qui, moccioso!» Un marinaio barbuto lo minacciava con i pugni in guardia. Almice si alzò di nuovo e senza pensarci due volte avanzò verso il marinaio e gli diede un forte calcio tra le gambe, prendendolo di sorpresa e facendolo contorcere ululando di dolore. Il giovane gli saltò addosso. Un altro marinaio incrociò la gamba facendogli lo sgambetto e Almice, sprovveduto, cadde a faccia in giù accanto alle scale, ai piedi di Zamar. Il capitano della nave, forte e arrogante, gli stava di fronte. Almice notò il suo naso, un grosso naso aquilino mezzo schiacciato e deviato, il risultato di uno sfortunato scontro con un altro possente avversario. Una grossa cicatrice solcava la sua fronte finendo sopra il sopracciglio dell’occhio sinistro, dandogli un aspetto ancora più fiero.
«Vi ho ordinato di lasciarli riposare. Lasciatela stare!» I marinai si spaventarono quando sentirono l'ordine del capitano alle loro spalle.
«È la nostra ricompensa» recriminò uno degli uomini, quello che teneva stretta Telma per un braccio. Zamar tirò fuori un piccolo pugnale e lo portò con la velocità del pensiero al collo di quello che aveva parlato.
«Lasciala andare! Subito!» Il tono era autorevole e non lasciava dubbi. Il marinaio lasciò andare la ragazza. Telma si accovacciò piangendo accanto al fratello. «Voi tre, salite sul ponte e che non vi veda più in giro qui sotto.» Quindi abbassò lo sguardo sui ragazzi. «Per quanto riguarda voi due, è meglio che torniate nella vostra cabina.» Vi prego di scusare il mio equipaggio, sono uomini di mare e non hanno le maniere adatte a curare gli ospiti. Vi assicuro che non vi daranno più fastidio.»
I due fratelli, ancora scossi, si alzarono e tornarono insieme nella cabina. Abbracciarono le loro sorelle. Nessuno parlò. Spaventati, non sapevano se potessero fidarsi del capitano della barca. Zamar, che al momento li rispettava; si allontanò farfugliando qualcosa tra sé mentre si dirigeva verso il ponte. Passò mezzogiorno e, sebbene avessero un secchio pieno d'acqua nella loro cabina, nessuno scese per offrire loro del cibo. Si guardarono bene dall'andare a chiedere da mangiare. Lasciarono passare la giornata in silenzio, pensando nel loro intimo che era stato un errore salire su quella imbarcazine, guardandosi l'un l'altro con la paura riflessa sui loro volti fino al tardo pomeriggio.
«Si può sapere a cosa stavate pensando, idioti?» Zamar si rivolse ai tre marinai nella privacy della loro piccola sistemazione sul ponte. «Avete solo segatura in testa?» Uno dei marinai, quello che aveva preso Telma, parlò.
«Captano, ci avevi detto che in questo viaggio avremmo avuto il nostro bottino e abbiamo pensato che ...»
Zamar lo interruppe con rabbia:
«Avete pensato! Non avete nemmeno una minima idea di come stanno le cose. Forse non conoscete il valore che questi ragazzini possono avere a Tiro? Sicuramente i quattro sono ancora vergini. E voglio che lo rimangano!» ribadì l'ordine trapassandoli con gli occhi. «È chiaro?» I tre elementi annuirono. «Non hanno idea della navigazione, mi è bastato vedere la loro barca. Vogliono andare a Kos, quindi li porteremo lì.»
«Ma se noi non possiamo avvicinarci a Kos dall'anno scorso, ci cattureranno» lo interruppe l'altro marinaio in tono ironico.
«Non capite niente, stupidi. Meglio per tutti se pensano di essere liberi all'interno della nostra barca, in questo modo non ci daranno problemi finché non arriveremo a Tiro. In questo viaggio non abbiamo avuto molta fortuna con gli abbordaggi, ma questi ragazzi valgono molto più di quanto loro stessi immaginano. So che non siamo in un porto da molto tempo per riposare; ma aspettate, se qualcuno di voi fa loro il minimo danno, lo lascerò nel primo porto dove attraccheremo senza paga né bottino. Spero che vi sia chiaro, ci sono molti soldi in gioco e non lascerò che nessuno di voi rovini tutto pensando come un animale.»
La barca si stava dirigendo verso est. Navigò tutto il giorno; il mare calmo e il dolce vento da nordovest erano favorevoli. Al crepuscolo, il capitano mandò a chiamare i ragazzini nel suo alloggio. Un marinaio andò a cercarli e loro, affamati e diffidenti, si affrettarono a salire in coperta, sbirciando tutto l'equipaggio che trovavano sul loro cammino.
«Avanti, amici miei» disse Zamar sorridendo dalla porta. «Spero che abbiate riposato un po', noi abbiamo lavorato molto qui in coperta e abbiamo pensato che dopo l'incidente di stamattina fosse meglio lasciarvi riposare fino al pomeriggio.» I fratelli entrarono nella stretta cabina e si sedettero insieme su una delle panchine fissate al suolo.
«Buon