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Mattia, questi, bianco in viso come un cadavere e col presentimento di una sventura, fece del suo meglio per far rinvenire la madre, mentre si correva precipitosamente al paese alla ricerca del medico.

      La signora Chiara ricuperò il sentimento e trovandosi fra le braccia di Mattia, si sforzò di sorridere, ma solo a stento pervenne ad articolare poche parole:

      –Non vi spaventate. Non è nulla… proprio nulla.

      Ma il medico, giunto senz'indugio, ritenne dover suo d'onest'uomo di non tenere celata al professore la verità. Era stato un insulto apoplettico quello che aveva colpito la signora: lieve per fortuna e tale da non dare peranco luogo a timori di una imminente catastrofe: le estremità inferiori eran però paralizzate del tutto e, attesa la tarda età dell'ammalata, il caso si presentava ad ogni modo grave abbastanza.

      Alle parole confortatrici del medico, Mattia non credette. Tutte le terribili conseguenze di una disgrazia si delinearono prontamente con crudele evidenza nel suo pensiero. Alla possibilità di perdere la sua adorata madre non aveva mai potuto riflettere. Ora, dinanzi a questa minaccia, egli sentì fiaccate tutte le proprie forze.

      Ma la speranza rinacque ancora. A poco a poco la signora Chiara parve riaversi. La parola che nelle prime settimane, dopo la sera fatale, le usciva con un po' di stento dalle labbra, si rifece limpida e spedita; le idee si mantenevano ordinatissime e precise. Soltanto gli occhi servivano ben poco alla signora e le gambe potevano dirsi interamente perdute.

      Il medico aveva incorato Mattia a consolarsi.

      –Vostra madre vi rimarrà ancora per molto tempo. Con assidue cure è anche sperabile di poter ottenere un qualche miglioramento. La cosa principale è quella di averla strappata alla morte.

      Il professore aveva alzato gli occhi al cielo con uno slancio di contentezza.

      –Ah! sì! purchè non me la portino via! purchè io la veda, purchè io la sappia vicina a me!

      La sua caldissima pietà filiale gli metteva sulle labbra tali parole. Ed era un sentimento di perdonabile egoismo al quale quest'uomo semplice e buono obbediva nel pronunciarle.

      Ma la vita, cui la povera signora Sant'Angelo trovavasi ormai condannata, era per certo peggiore d'ogni morte.

      Stremata di forze, per intere settimane non poteva abbandonare il letto. Passava notti angosciose, insonni o tormentate da incubi penosi. Ne' giorni buoni, quando la temperatura era mite e il medico aveva dato il suo consenso, la adagiavano sopra una grande poltrona, in cui rimaneva, colle gambe ravvolte in una grossa coltre, per qualche ora.

      In pochi mesi ella fu ridotta pressochè irreconoscibile. Il suo corpo sempre magro s'era quasi ischeletrito; la pelle del viso s'era fatta grinzosa e di un pallore cadaverico; paralizzata dal male ne' suoi movimenti, aveva una necessità di cure continue, tanto che quando lasciava il suo letto conveniva recarla a forza di braccia fino al seggiolone.

      A tutto ciò attendeva Loreta, forte, instancabile, paziente. Amorosa come una figlia, come un angelo, resistente ad ogni strapazzo, ella non lasciava neppure per un momento la signora Chiara. Dormiva accanto a lei, nella stessa stanza, molte notti senza spogliarsi, attenta ad ogni chiamata. Quella vita di fatiche la sfiniva. Le tracce della stanchezza si dipingevano sul suo volto. Ma rifiutava con risolutezza ogni osservazione.

      Una volta il medico, profondamente impressionato, ne aveva tenuto parola al professore Mattia.

      –Bisogna provvedere. Questa giovane fa dei miracoli. Ma le forze di uno valgono per uno. Se continua così si ammalerà anche lei.

      E propose di far venire una suora dall'ospitale di Udine.

      Quando Loreta udì questo, protestò energicamente. Non lo avrebbe permesso mai più. Non temessero per lei: si sentiva forte; era giovane, non soffriva punto: anzi era per lei una dolcezza il sentirsi utile, il potersi mostrare grata alla sua benefattrice. D'altronde, qualunque disposizione avessero presa, sarebbe riuscita dispiacevole anche alla signora…

      Ed era vero. L'ammalata non voleva che Loreta. Qualunque cura le fosse resa da altri di casa, la uggiva e la rendeva malcontenta. Nelle sue veglie, nelle ore in cui era assalita da' suoi dolori, ne' momenti in cui il male pareva aggravarsi, non chiamava che Loreta. La voce di lei la pacificava, la mano di lei posata sulla sua fronte pareva le inducesse la calma nello spirito.

      –Loreta… – le aveva detto un giorno che si sentiva un po' meglio e l'avevano posta nel suo seggiolone, accanto alla finestra aperta per la quale entrava il salubre profumo della campagna, – Loreta, tu sei per me più buona d'una santa. Che cosa mai potrei io fare per mostrarti la mia riconoscenza?

      La giovane aveva risposto, con un sorriso che illuminò la sua bella faccia magrissima:

      –Che cosa dite, signora! Io faccio il mio dovere: nulla più. Sono felice nel farlo e sono sicura che Dio mi accorderà la grazia di vedervi presto guarita.

      –Guarita!

      La vecchierella alzava gli occhi, che più non discernevano, verso il cielo, seria, con un tremito cupo nella voce:

      –Guarita!..

      E la testa bianca le ricadeva sul petto, gravemente, mentre una lagrima scorreva grossa tra le rughe del suo povero viso.

      Perchè, se nella signora Sant'Angelo il male aveva infrante le forze, lo spirito conservava la sua pura e serena limpidezza, interamente. E quelle immagini che già da lungo tempo la assediavano, ora le apparivano dinanzi con più penosa e sinistra evidenza.

      Una volta che don Letterio Prandina era venuto da Udine per visitarla, – come del resto negli ultimi tempi faceva con molta frequenza, – la vecchia signora si lasciò andare con lui ad uno slancio di confidenza.

      –Vedete, don Letterio, tutti quelli che mi circondano vanno a gara perchè io non possa accorgermi del mio stato… Io mi sforzo di far credere a tutti ch'essi riescono nel loro intento. Ma non è così. So che i miei giorni sono contati. E attendo senza timori che Dio mi chiami. Ma il mio povero Mattia… lasciarlo, lasciarlo così!

      Don Letterio aveva procurato di consolarla con dolci parole:

      –La Provvidenza non abbandona mai i buoni! Anche Mattia troverà un giorno la sua felicità!

      –Avete ragione, Prè Letterio: la provvidenza c'è, c'è per tutti. E bisogna sperare. Ah! se io potessi sperare che Loreta resti per sempre accanto al mio figliuolo…

      –Se questo sarà il volere di Dio…

      Prè Letterio troncò così quel discorso. Egli comprendeva perfettamente quale sentimento di bontà inspirava il voto della signora Sant'Angelo. Era un sentimento a cui egli con tutto il suo cuore applaudiva. Ma da uomo pratico del mondo e della vita una riflessione lo sopraffaceva. Ed era quella della gravità grandissima che quel fatto avrebbe potuto avere nell'esistenza del professore: gravità che quella madre amorosa, sotto l'impulso della sua passione, era ben lunge dal poter misurare.

      La signora Sant'Angelo si acquietò alle parole del vecchio amico, limitandosi a commentarle con un lungo sospiro, nel quale ella poneva tutto il fervore della sua anima piena di fede. E per alcuni giorni non toccò più con alcuno quell'argomento.

      Ma il suo stato di prostrazione andava aumentando con rapido ed allarmante progresso. Distesa nel suo lettuccio, colle spalle affondate ne' cuscini, rimaneva ormai lunghe ore immobile, cogli occhi chiusi, colle mani piccole e bianche raccolte sullo scarno petto. Loreta le stava accanto continuamente. Mattia, nervoso, col volto pallido, andava e veniva per la stanza, girandosi spesso a sedere in un angolo, donde fissava, cogli occhi ardenti, intensamente, la sua cara ammalata, in una espressione di alto ed appassionato dolore. Quando poi la signora ridestavasi e chiamava, accorreva al suo fianco, tergendosi rapidamente le lagrime; e più di una volta Loreta doveva trattenerlo, perchè nell'impeto suo, non desse a comprendere alla sofferente lo stato di angoscia in cui egli si trovava.

      Una sera, che Loreta erasi allontanata per pochi momenti, la signora Chiara aveva voluto accanto a sè il figliuolo. Era una sera triste sul finire dell'ottobre. Sulla campagna piovigginava. E per l'aria, già fredda, veniva lento dalle chiese di Tricesimo e de' villaggi vicini il rintocco delle campane. La vecchia pareva si fosse raccolta ad ascoltare que' suoni,

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